C’è bambino e bambino

Due storie diverse. Due destini distanti. E ipocrisia a carrettate.


Chiamatemi Ismaele. Anche se non sono un baleniere. Come potrei? Ho meno di un anno di vita: sono nato il 4 agosto 2016. Però mi chiamo davvero Ismaele. Anzi Isma’il.

Vivo sul limitare del deserto. Anche se adesso non so bene dove mi trovo. Nell’ospedale di un campo profughi, mi sembra di capire. Hanno dovuto amputarmi una gamba, altrimenti sarebbe andata in cancrena. Vabbe’. Alla mia mamma è andata peggio: lei la scheggia se l’è beccata nella pancia ed è morta dissanguata. Mio padre non so dov’è: lo danno per disperso. Ora io sono affidato ai miei zii. Nessuno sa se me la caverò, perché l’infezione è ancora in corso. Fra qualche giorno potrei essere morto. Comunque, con i loro modesti strumenti d’emergenza, i medici si occupano di me fin da quando sono arrivato qui, poche ore dopo l’attacco.

Già, l’attacco. C’era una festa, nel villaggio. C’erano armi che sparavano per aria. Lo so: è un po’ da coglioni. Però dalle mie parti si usa così, per festeggiare. Poi non s’è capito cos’è successo. A un certo punto hanno cominciato a piovere bombe ed è esploso tutto. Sangue ovunque. Urla. Lamenti. Io ho perso conoscenza e mi sono svegliato su un pick-up in corsa. Con un dolore atroce. Poi sono svenuto di nuovo. Devono avermi imbottito di morfina.

Ho saputo che erano stati dei droni militari. L’intelligence aveva scambiato il villaggio per un campo di addestramento di terroristi. L’hanno bombardato, poi hanno scoperto l’errore e si sono scusati per i «danni collaterali». Non volevano colpire proprio me. Si sono sbagliati. È molto consolante. Lo spiega il giornale che gira qui nel campo. E sì, leggo anch’io il giornale: sono un bambino molto precoce.

A ripensarci, sarei voluto essere davvero un baleniere. O almeno avere un mio capitano Achab, per infilzare e abbattere quelle balene bianche volanti e assassine. Invece niente: io sono solo un «danno collaterale».

Sullo stesso giornale ho letto una storia triste. In Inghilterra c’è un bambino nato anche lui il 4 agosto 2016. Anche lui sta male. Lui però non è stato bombardato. Poverino, è nato con una malattia terribile e ora è incosciente, sommerso in una sofferenza costante, ricoverato in un modernissimo ospedale di Londra. I medici le hanno provate tutte per salvarlo, ma invano. Perciò hanno pensato che è meglio lasciarlo andare nel Paradiso dei bambini. Se c’è un Paradiso dei bambini, ché mica ne sono più tanto sicuro. Invece il suo papà e la sua mamma si sono impuntati: «Bisogna provare delle terapie sperimentali», hanno detto. Anche se le probabilità di successo sono pari a zero. Ma non fa niente: bisogna tentare lo stesso. Dei dottoroni americani lo visiteranno e magari lo porteranno negli Stati Uniti. Intanto milioni di persone nel mondo pregano tanto tanto perché si salvi. Non so se pregano anche per me, ma ho qualche dubbio.

Per aiutare i dottoroni americani e i genitori a protrarre la sua inutile sofferenza ora si è mossa pure la politica. Pare che gli vogliano concedere un permesso speciale per la residenza permanente. «Perché la vita è sacra», dicono. Così potrà andare a morire in America. Sono contento per lui. Sono proprio bravi, gli Americani.

Adesso ho un quesito per voi: indovinate di quale esercito erano i droni che hanno bombardato il mio villaggio.

Quindi scusate, ma anche vaffanculo.

Choam Goldberg


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