Il sorteggio? Anche no, grazie

Un sistema molto antico. Più efficace del suffragio universale, com’è ovvio. Ma mai quanto l’epistocrazia.


Che rapporti devono stabilire le autorità con tutti questi cittadini capaci di esprimersi, che oggi strillano a bordo campo? Innanzitutto, devono accoglierli con gioia, piuttosto che con diffidenza. Poiché dietro tutta questa collera, in diretta o fuori onda, si nasconde anche un aspetto positivo, vale a dire l’impegno. È un dono impacchettato col filo spinato. (…) Se si tratta il cittadino autonomo come un animale elettorale, egli si comporterà come tale, ma se lo si tratta come un adulto, si comporterà da adulto. Il legame tra le autorità e i loro subordinati non è più quello tra i genitori e la prole, ma quello che intercorre tra persone adulte. I politici farebbero bene a guardare attraverso il filo spinato, ad avere fiducia nel cittadino, a prendere sul serio le sue emozioni e ad apprezzare la sua esperienza. Bisogna invitarlo. Dargli il potere. E perché questo rimanga un processo equo: sorteggiarlo.

In queste frasi, verso la conclusione del saggio, si trovano la tesi centrale dello storico fiammingo David van Reybrouck e insieme il fallimento di quella stessa tesi. La tesi: la democrazia elettorale è moribonda e bisognerà sostituirla con una democrazia fondata almeno in parte sul sorteggio. Il fallimento: la fiducia dell’autore nella capacità dei sorteggiati di amministrare in modo efficace la res publica.

In «Against Democracy» Jason Brennan se la prendeva con la democrazia, suggeriva di sostituirla con l’epistocrazia e argomentava con convincente efficacia. In «Contro le elezioni» van Reybrouck vede la crisi del sistema, ma per superarla va a rispolverare l’antico metodo del sorteggio. Lo fa in un saggio che si fa leggere con piacere (sebbene sia un po’ troppo legato alle realtà politiche del Nord Europa) e, per quanto condivisibile solo in parte, costringe a riflettere sui fondamenti della democrazia e propone un modello interessante e non privo di qualche pregio.

van Reybrouck la chiama «sindrome di stanchezza democratica»: le persone apprezzano la democrazia come sistema politico in teoria, ma disprezzano la sua implementazione pratica, con queste istituzioni, questi partiti, questi politici. La sua analisi è convincente: il problema è la perdita della legittimità e dell’efficacia del sistema democratico elettorale. Infatti proprio le elezioni hanno instaurato una nuova aristocrazia priva della fiducia popolare perché non più rappresentativa. Da cui derivano i movimenti populisti e la loro esasperazione delle emozioni più bieche. La soluzione? Il sorteggio dei membri degli organi legislativi in una democrazia aleatoria: la sola capace di garantire sia la legittimità sia l’efficacia.

Il sorteggio è una pratica molto antica: lo troviamo già nell’Atene periclea. Ma poi anche nell’Europa medievale e rinascimentale, a Venezia, a Firenze e in Aragona. Fino alle soglie della modernità e alle due grandi rivoluzioni: quella americana e quella francese. Da quel momento prende il sopravvento il meccanismo dell’elezione, voluto con forza e convinzione dai padri fondatori delle democrazie moderne. Perché? van Reybrouck vede con chiarezza il loro scopo: intendevano selezionare una classe dirigente competente. In sostanza, puntavano a introdurre una vera aristocrazia. Nel senso letterale: il reale governo dei migliori («Aristoi»), perché scelti in base al merito e non alla nascita. I padri fondatori non lo nascondono affatto, e l’autore produce ampia dovizia di citazioni.

Ebbene, proprio lì, secondo van Reybrouck, sta il peccato originale: i migliori non rappresentano davvero il popolo. Che dunque oggi finisce per detestare la realizzazione pratica del sistema democratico, per odiare la «casta» e per ascoltare il canto delle sirene populiste.

Invece per un epistocratico quella forma di vera aristocrazia fondata sul merito è un’ottima pensata. Purtroppo mandata in vacca dall’estensione del suffragio fin quasi all’universalità, senza alcuna condizione sulla competenza degli elettori. Il sistema ha funzionato finché il merito ha mantenuto una certa autorevolezza. Era un sistema efficace e percepito come rappresentativo e quindi legittimo. Tuttavia, nel momento in cui l’ignoranza e l’irrazionalità sono diventate non solo accettabili ma motivi di vanto perché elementi distintivi della genuinità popolare, ecco lo sfacelo: se sei competente e dotato di pensiero critico non rappresenti più l’elettore medio e dunque ai suoi occhi il tuo potere non è più legittimo. Il risultato è lì da vedere nel presente: la maggioranza disprezza la cultura e la razionalità, vota seguendo l’ignoranza e la pancia e non elegge più i migliori ma i mediocri. Così arrivano al potere incompetenti e creduloni.

Il sorteggio risolve il problema? No, è ovvio: a maggior ragione i sorteggiati sono rappresentativi della media. Ma van Reybrouck non è per nulla sprovveduto e, senza darlo troppo a vedere, suggerisce più volte un meccanismo di correzione: i sorteggiati nella democrazia aleatoria vengono affiancati da un apparato di esperti e di assistenti con il preciso compito di documentarli e fornir loro informazioni fattuali. Insomma, van Reybrouck vuole anche lui un’epistocrazia, ma selezionata per sorteggio.

L’idea non è del tutto bacata. Lo storico fiammingo elenca una serie di vantaggi oggettivi: fine della politica di mestiere, dello strapotere dei media, delle frottole da campagna elettorale. Ma il sorteggio, se effettuato in modo onesto, garantisce soprattutto la legittimità popolare. E l’efficacia, insieme alla legittimità condizione indispensabile per la democrazia anche secondo van Reybrouck?

L’efficacia possiamo tanto salutarla, mi sa. Perché sì, certo, i sorteggiati vengono informati e documentati. Allora però i casi possibili sono due.

  1. I sorteggiati diventano dei legislatori competenti e critici. Dei vulcaniani, secondo Jason Brennan. Ma a quel punto non sono più rappresentativi. E le loro decisioni, informate e razionali, vengono rifiutate dalla maggioranza del popolo, ignorante e irrazionale.
  2. Informazione e documentazione sono poco utili o perfino inutili, sicché i sorteggiati restano in maggioranza ignoranti e irrazionali. Degli hooligan, secondo Jason Brennan. Rappresentativi, certo. Ma dannosi per la collettività. Anzi ancora più dannosi, proprio perché ammantati della rappresentatività ottenuta dal sorteggio.

In conclusione, l’errore di van Reybrouck sta nell’eccessiva fiducia nella maggioranza del popolo. Andiamo a rileggere quanto scrive:

Se si tratta il cittadino autonomo come un animale elettorale, egli si comporterà come tale, ma se lo si tratta come un adulto, si comporterà da adulto. Il legame tra le autorità e i loro subordinati non è più quello tra i genitori e la prole, ma quello che intercorre tra persone adulte. I politici farebbero bene a guardare attraverso il filo spinato, ad avere fiducia nel cittadino, a prendere sul serio le sue emozioni e ad apprezzare la sua esperienza.

Poi andiamo a frugare fra i post e i commenti nei social media. Infine confrontiamo i due risultati.

Superfluo aggiungere altro.

Choam Goldberg

D. van Reybrouck, «Contro le elezioni», Feltrinelli


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