Marco 16,15

Il messaggio del Vangelo può, anzi deve essere portato a tutti gli uomini? E come possiamo sapere se sono davvero uomini?


La cornetta calò lenta sul telefono. Padre Michele chiuse gli occhi e sospirò. Poche volte aveva assaporato quella sensazione di spossato trionfo spirituale. Chiuse il Vangelo, si alzò dalla poltrona, spense la luce e uscì dallo studio. La luna rischiarava il corridoio. Torpido, quasi affranto, Michele scese in chiesa. Nella penombra, si inginocchiò nella cappella della Vergine. E si impose qualche minuto di silenzio interiore prima di pregare a lungo.

Un’ora più tardi, tornando alla propria cella, padre Michele ripercorse con la memoria il poderoso confronto intellettuale delle ultime settimane. Tutto era cominciato con quella telefonata. Di solito erano madri single che non riuscivano a sbarcare il lunario e chiedevano aiuto al convento. Oppure prostitute, piccoli delinquenti, balordi in cerca di una redenzione sociale prima che religiosa. Ma Ivano Almansi no. Lui cercava Dio, nientemeno. Lo cercava eppure lo odiava. Non lo aveva trovato durante i molti anni trascorsi negli Stati Uniti a frugare nel genoma per ricostruire le intricate vicende dell’evoluzione umana. E neppure l’Elohim incontrato nel Qoèlet letto in sinagoga durante l’infanzia, così remoto nella propria imperscrutabilità, rispondeva al suo bisogno di senso. Orgoglioso figlio dei Lumi e della Ragione, Almansi percepiva un’urgenza di completezza che il suo panteismo spinoziano, lucido ma freddo, non riusciva più a soddisfare. Ecco quindi l’idea: cercare il più acuto dei teologi domenicani per sollecitare un confronto intellettuale schizofrenico, che inconsciamente anelava a una conversione riluttante. Un confronto tutto a distanza, per non lasciare spazio ad altro che non fosse la comunicazione verbale.

E padre Michele l’aveva spuntata. Oh, certo, era stata una battaglia tremenda, con Almansi che offriva gli argomenti possenti di una solidissima cultura filosofica. Ma la fede si era aperta un varco sempre più ampio nelle crepe irrazionali di quel pensiero intrappolato nell’aporia filosofica. Michele aveva esplorato gli oscuri e inconfessabili bassifondi dell’anima che si celano dietro ogni arroganza intellettuale e li aveva rischiarati con la luce della Verità. Fino alla capitolazione di quella notte: Ivano Almansi era scoppiato in un lungo, squassante pianto liberatorio. L’indomani sarebbe venuto in convento. Finalmente si sarebbero incontrati di persona. Michele lo avrebbe battezzato, e un’altra anima sarebbe stata accolta fra le braccia del Padre. Un’anima tanto più preziosa quanto più lontana da Dio era stata in passato.

Nel silenzio della cella, poco prima di spegnere la lampada sul comodino, padre Michele rivolse l’ultima grata preghiera alla Vergine. Solo grazie alla sua intercessione quella conversione era stata possibile.

«Come mai torni a quest’ora?». La voce di Daniela, dalla sua stanza, è impastata per il sonno. Ovvio, alle tre di notte! Gli sforzi di Alessandra per muoversi in silenzio sono stati vani.

«Scusa, Dani, ma… ho appena chiuso».

Il silenzio è più interrogativo di una domanda esplicita. Poi la zazzera ribelle della compagna di appartamento fa capolino dalla porta socchiusa, su un viso assonnato ma interrogativo: «Chiuso?».

«Chiuso. Finito. Ho sbaraccato tutto», spiega Alessandra. «Uff! L’esperimento I.A. è terminato. Ho spento le macchine e staccato il sintetizzatore vocale. L’ultimo shutdown. Questo weekend lo passo a scrivere e lunedì consegno la tesi di dottorato a Cerutti».

«Fantastico!». Daniela adesso s’è svegliata del tutto ed esce in corridoio in pigiama. Già pregusta la festicciola notturna che le aspetta. L’occasione merita quasi un’incursione nella riserva segreta di fumo. «E hai deciso anche il titolo, finalmente?».

«Sì: “Applicazione sperimentale del Test di Turing alla fenomenologia della conversione religiosa”».

Choam Goldberg


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