Che cos’è la scienza? – 7/7

Di tre colpe viene accusata la scienza: il dogmatismo, l’arroganza e l’aridità. Commento con un’unica parola: puttanate.


Se c’è un’attività intellettuale non dogmatica, quella è la ricerca scientifica. Eppure molti – di solito quelli che di scienza non capiscono un cazzo – sostengono che gli scienziati rifiutano sempre di ammettere la falsità delle proprie teorie e, anche se posti di fronte ad argomenti cogenti, ne negano a priori la validità. È la classica cazzata dei complottisti, dai no vax ai terrapiattisti, e non merita neanche una risposta circostanziata. Tuttavia bisogna rispondere a una domanda: càpita, almeno qualche volta, che gli scienziati siano dogmatici?

La risposta – è sgradevole ammetterlo, ma così è – è affermativa: sì, talvolta alcuni scienziati sono dogmatici. Peggio: possono essere ostinati fino all’ottusità. E sì, possono arrivare a mentire, barare, perfino boicottare le carriere dei loro critici, addirittura falsificare i risultati degli esperimenti: la storia della scienza non è avara di esempi di nefandezze. Presi uno per uno, gli scienziati non sono esseri umani né migliori né peggiori di tutti gli altri. Degli esseri umani hanno tutti i difetti, compresi l’ottusità, il dogmatismo, la disonestà e la stronzaggine. D’altronde è difficile, per chiunque abbia lavorato per molti anni allo sviluppo di una teoria, accettare che essa sia respinta senza appello da un risultato sperimentale: questa però è una spiegazione, non una giustificazione.

Tuttavia la scienza va considerata come un’attività intellettuale collettiva: con questa prospettiva, il suo carattere autocorrettivo è innegabile. Magari i singoli ricercatori si attaccano alle proprie idee sbagliate come patelle agli scogli, ma sul lungo termine la verità scientifica supera ogni resistenza e si impone. Alla peggio, come sosteneva Planck, perché i vecchi tetragoni crepano e i giovani aperti alle nuove teorie li sostituiscono. In questo sta la libertà nella ricerca scientifica: chiunque può attaccare e criticare la teoria più accettata creata dallo scienziato più autorevole, purché porti degli argomenti a sostegno della propria ipotesi. Argomenti razionali: nuovi calcoli, nuove misure, nuove osservazioni. Non importa che tu sia un giovane sfigato di un centro di ricerca minuscolo in un Paese poverissimo: magari il grande barone accademico ti sputerà in testa perché attacchi la sua amata teoria, ma la comunità scientifica nel suo complesso ti giudicherà solo per la forza dei tuoi argomenti, non per i tuoi titoli. Se i tuoi argomenti sono solidi, alla lunga la spunteranno e la teoria del grande barone verrà superata.

La seconda presunta colpa della scienza è l’arroganza. «La scienza pretende di saper spiegare tutto. La scienza toglie il mistero alla realtà»: un’altra stronzata che mi sono sentito ripetere. Ah ah. Niente affatto: la scienza non spiega tutto. Anzi, la scienza nel mistero ci sguazza. La scienza esiste proprio perché il mistero esiste. Se la scienza avesse già chiarito, giustificato, dimostrato tutto, sarebbe defunta. Invece là fuori c’è una quantità pazzesca di misteri tuttora inspiegati. Per esempio, non si sa da che cosa è composto l’universo: qual è la natura della materia oscura e dell’energia oscura? Si sa che ci sono, ma non si sa che cosa sono. E non si sa come è nata la vita. Nemmeno si sa come si sviluppa la coscienza. I grandi e i piccoli misteri inspiegati – e qui sì, qui sta la grande ambizione della scienza – non sono però inspiegabili per principio. La scienza non ha la pretesa di saper spiegare tutto, però vuole almeno provarci. Con la ragionevole speranza di riuscirci, considerando quanto è riuscita a ottenere negli ultimi quattro secoli. E con la ragionevole certezza che ogni scoperta compiuta e ogni mistero chiarito susciteranno nuove domande e nuovi enigmi, in una sfida intellettuale senza fine.

Terza e ultima presunta colpa della scienza: l’aridità. «La scienza toglie poesia alla realtà. Se lo descrivi con il metodo scientifico, il mondo perde ogni fascino, ogni incanto, ogni bellezza»: ho sentito anche questo, cazzo. E niente, per rispondere non trovo parole migliori di quelle di Richard Feynman:

Ho un amico artista che a volte ha delle opinioni che non mi trovano d’accordo. Sollevando un fiore, dice «Guarda com’è bello», e mi troverà d’accordo. Poi dice «Io come artista posso vedere quanto è bello questo fiore, ma tu, come scienziato, lo scomporrai in mille pezzi, trasformandolo in una cosa noiosa», e io penso che è assurdo. Prima di tutto credo che la bellezza che lui vede sia disponibile per tutti, anche per me. Sebbene io possa non essere così raffinato esteticamente quanto lui, posso apprezzare la bellezza di un fiore. Allo stesso tempo vedo molte più cose del fiore di quelle che vede lui. Posso immaginare le cellule che lo formano, le complicate reazioni che succedono al suo interno, che pure hanno una bellezza. Voglio dire che non c’è solo la bellezza in questa dimensione, a un centimetro di distanza: c’è anche la bellezza in dimensioni più piccole, la struttura interna, i meccanismi. Il fatto che i colori del fiore si siano evoluti per attirare gli insetti per impollinarli è interessante: significa che gli insetti possono vedere i colori. Aggiunge una domanda: questo senso del bello esiste anche nelle forme inferiori? Perché è bello? Tutti tipi di domande interessanti che la conoscenza scientifica aggiunge solo all’eccitazione, al mistero di un fiore. Aggiunge solo. Non capisco come possa sottrarre.
Richard Feynman

In conclusione, abbiamo appena sfiorato la natura e le caratteristiche della scienza, senza addentrarci nelle sottigliezze del dibattito epistemologico. Che sono tante e affascinanti. Oltretutto, ogni disciplina necessita di una riflessione peculiare. Infatti si sono sviluppate la filosofia della fisica, la filosofia della biologia e quant’altro. E poi un conto è l’iperuranio della teoria del metodo scientifico e tutt’altra faccenda è invece la prassi quotidiana nei laboratori, come ha mostrato Bruno Latour con i suoi studi di sociologia della scienza.

Nondimeno questa breve panoramica ci è bastata per comprendere come la ricerca scientifica sia una delle attività più nobili e meritevoli alle quali un essere umano possa dedicare la propria esistenza. Un’attività impegnativa, più per l’onestà intellettuale e lo spirito critico rivolto soprattutto verso sé stessi che richiede, piuttosto che per le difficoltà tecniche che presenta. Non ci dà verità assolute, non ci dà certezze. Ci offre qualche risposta provvisoria, ma soprattutto ci costringe a capire quali sono le domande giuste da porre a noi stessi e alla realtà intorno a noi. Ci impone uno sguardo disincantato ma realistico. In cambio ci regala una grande libertà intellettuale, una straordinaria responsabilità e un’inesauribile scorta di sfide intellettuali. Unico limite alla libertà umana di pensare il mondo: la realtà dei fatti.

È poco? Io non penso. In ogni caso è il massimo a cui possiamo aspirare se vogliamo mantenere acceso il cervello. L’alternativa è la fede cieca e ottusa in dogmi indimostrabili e pericolosi.

Noi sentiamo che, anche una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto una risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppur toccati. Certo allora non resta più domanda alcuna; e appunto questa è la risposta.
– Ludwig Wittgenstein, «Tractatus logico-philosophicus» 6.52

(7/7 – fine)

Choam Goldberg

(Foto: Free-Photos da Pixabay)


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