«Io senza Dio» – Q&A

Fra il 2020 e il 2021 L’Eterno Assente ha proposto la rubrica «Io senza Dio»: una serie di domande su Dio, l’ateismo, la teologia, la religione, la fede, i credenti e quant’altro, rivolte a chi non crede. La partecipazione è stata ampia, con molte risposte, spesso ben argomentate, alcune divertenti e/o provocatorie. Poiché sarebbe stato un peccato che andassero disperse da un lato nei meandri di Facebook e dall’altro fra le pagine del blog, tutte le risposte sono state raccolte qui. Le risposte sono state leggermente corrette sul piano formale, senza modificare la sostanza, associate al nome (e solo al nome) di chi le ha formulate e pubblicate nell’ordine in cui sono state ricevute a suo tempo.


Io sono ateo.
Se prendo in considerazione quello che si intende quando si parla di Dio, non posso ignorare che tali affermazioni non siano il frutto di un’evidenza ma di una raffinazione di concetti vari che vengono accettati soltanto a causa della nostra cultura.
In fondo quello che sappiamo è che i nostri pensieri sono prodotti dal nostro cervello e che questi sono la rielaborazione di input esterni. Sappiamo che tale cervello è il prodotto di un lungo processo evolutivo, che è dato da un contesto materiale, che ha avuto bisogno di un determinato ambiente eccetera.
Dio, quello più astratto, è la pretesa che esista un ente con questi elementi però senza il contesto che li renda possibili. Se non fossimo immersi in questa cultura che ci fa pensare che l’esistenza di Dio sia una domanda lecita da farsi, ne vedremmo tutta l’assurdità e probabilmente non la riterremmo nemmeno una delle domande fondamentali.
Esiste pur sempre la possibilità di indovinarla sparando nel mucchio, ma se fossi agnostico per questo motivo, nonostante non ci sia assolutamente niente che renda tale concetto credibile, io… dovrei essere agnostico su tutto, in quanto ritengo che buona parte delle teorie del complotto, la «Trama» di D&D, buona parte dei libri fantasy e fantascientifici che mi sono letto siano tutti molto più credibili dell’idea di Dio. Anche di quello più astratto e metafisico.
Ne sono certo, quant’è vero che se mi butto dal balcone non finisco nell’Isola che non c’è.
– Anonimo

Mi associo a chi ha notato la «esternalità» della definizione di «ateo». Lo sono, ma la vedo un po’ come definirsi «non mangiatore di acciughe con la Nutella» per definire qualcuno che, semplicemente, si nutre in maniera normale e ragionevole.
O, girata, nell’altro senso: se vi fa piacere credere a Paperoga demiurgo o all’Ordine creato da una scoreggia di ornitorinco cosmico fate pure… ma non pretendete di valutare me secondo i vostri parametri senza alcun fondamento!
– Ayzad

Sono ateo, ma trovo che la religione sia necessaria.
L’uomo non è razionale, non ha onestà intellettuale, è razzista eccetera.
Senza delle regole sarebbe il massacro.
Pertanto le regole devono venire fissate dallo Stato (laico?) oppure dalla religione.
Lo stato può avere derivazioni negative (fascismo, nazismo, potere, usurpazione eccetera).
La religione è più antica, più radicata nell’animo dell’uomo, più facilmente accettabile e comprensibile.
È chiaro che per il 99% della popolazione il rispetto delle regole avviene per paura della punizione e non perchè è giusto! Pertanto deve esserci il deterrente. Motivo per cui esiste Dio.
– Marco

«A me non piace la definizione di “ateo” perché ad affibbiarmela sono coloro che credono in Dio e guardano il mondo esclusivamente dal loro punto di vista, dividendolo in quanti credono o non credono. In questa etichettatura c’è tutta la prepotenza del loro schema mentale, che fa della loro fede la discriminante tra gli uomini.» (Umberto Galimberti)
Fatta la doverosa citazione, da parte mia posso soltanto dire che, se essere ateo significa negare l’esistenza di un Dio massimamente buono, onnisciente e onnipotente, l’esistenza di un Dio creatore trascendente del mondo naturale, negare che esista un’entità qualsiasi giudicata correttamente come una divinità, o che ci sia un essere che meriti di essere adorato, che ci sia qualcosa di divino, che ci siano o ci siano mai stati profeti o persone attraverso le quali gli esseri divini parlano e agiscono, negare che ci siano libri o testi che sono stati composti con l’aiuto di un Dio o di un’altra divinità qualsiasi e che ogni libro o testo esistente tragga la sua autorità dall’essere stato composto con tale aiuto, allora sono ateo.
Se essere ateo vuol dire negare che le cosiddette esperienze mistiche, le apparizioni e compagnia bella rivelino alcunché di vero riguardo al mondo, allora sono ateo. Se essere ateo significa negare l’affermazione che mediante la preghiera gli individui possono invocare l’aiuto di esseri divini, allora sono ateo. Se essere ateo significa negare l’esistenza di persone soprannaturali, compresi gli angeli, i fantasmi, gli spiriti e i demoni, allora sono ateo. Se essere ateo significa negare che ci sia mai stata una nascita verginale, una resurrezione e un’assunzione al cielo, che ci sarà una seconda venuta, un rapimento e un giorno del Giudizio, che vi siano anime immortali, che gli uomini sopravvivano in qualche modo alla morte corporale o che le anime si reincarnino, che l’uomo sia provvisto di una parte spirituale reale, la cosiddetta anima, che sopravvive alla sua morte, allora sono ateo. Se essere ateo significa negare che ci sia un aldilà, che esistano persone che hanno il potere di comunicare con i morti, allora sono ateo. Se essere ateo significa negare l’esistenza di miracoli nel senso letterale del termine, che vi siano riti che sappiano trasformare il pane e il vino in carne e sangue, che certi atti verbali siano moralmente sbagliati in quanto blasfemi perché si rifiuta l’esistenza di alcunché verso cui sia possibile essere blasfemi, negare che vi siano atti moralmente sbagliati in quanto casi di peccato perché si rifiuta il peccato come categoria morale, negare che ci siano un paradiso e un inferno e giudicare che in sé l’idea di premi e punizioni eterni sia moralmente ripugnante, allora sì, sono decisamente ateo.
Detto questo, e descritta la mia posizione, devo spendere due parole anche sul mio atteggiamento. Ecco, il mio atteggiamento di ateo è un atteggiamento di tipo scientifico, ovvero credo e valuto meritevole di attenzione soltanto ciò che la scienza ha dimostrato essere vero con prove, esperimenti, dimostrazioni e tutti gli altri strumenti che essa utilizza per dare fondatezza alle sue affermazioni. Ma la scienza, e qui sta la sua bellezza, non fornisce verità, dogmi, certezze granitiche. Tutto ciò che essa rivela è soggetta a revisione, confutazione, smentita, in qualunque momento, di fronte a nuove prove, nuove evidenze, nuove scoperte. E questo è un atteggiamento di tipo agnostico, tutto è vero fino a prova contraria, e su ciò di cui non ho evidenza non mi esprimo e non me ne occupo.
E quindi, concludendo e scusandomi per essere stato così prolisso, posso dire di essere ateo come posizione e agnostico come atteggiamento.
– Nathan

Ateo, in quanto riconosco che, sebbene a livello probabilistico sarebbe più prudente e logico dirsi agnostici, tale probabilità è talmente ridicola – e cade praticamente a zero nel caso delle divinità abramitiche – da rendere la posizione di negazione assoluta quella più sensata.
– Emiliano

Mi piace la posizione di R. Carnap: «Stante l’impossibilità assoluta di definire Dio, le pseudo-definizioni sono soltanto parole il cui contenuto non è verificabile, dunque è fuori questione discutere dell’esistenza o della non esistenza di un tale essere.» Da «Storia dell’ateismo», G. Minois, p. 564, E. Riuniti, 2000.
– Giorgio

Oggi: atea. Agnostica lo sono stata, come di passaggio. Appartengo alla generazione «born in the sixties» e devo dire che religione, famiglia, lavoro non sono mai stati davvero dei postulati incrollabili. Ce l’hanno venduta per vera, quella vita, ma il tarlo del dubbio lo abbiamo sempre avuto. Andare in chiesa era normale. Negli anni Settanta un bambino delle elementari era battezzato e andava a catechismo. Erano rari «quelli che non». C’è stato un periodo, nella mia vita, in cui tratti del religioso convivevano con quelli del non-religioso. È un lungo e travagliato passaggio – come una muta di pelle – da una condizione di certezza a un altro di consapevolezza molto più lucida. Per definire il periodo di transizione tante cose andrebbero dette, ma ora mi va solo di affermare che è stato brutto: c’è una parte del sistema-Chiesa che non è sano e tende ad autoperpetuarsi, rendendo «sbagliata» un’emancipazione che è soltanto inevitabile. Dopo, la meritata serenità e una sana indifferenza.
– Susanna

Atea più o meno dai 12 anni, da quando la frase di mia nonna «Dio ha voluto tuo padre con sé perché era troppo buono» ha cominciato a farmi porre molte molte domande e mi ha portata a pensare che un Dio così non vale proprio la pena che esista. La crescita mi ha portata molto più lontana, cioè mi ha portata a riflettere su quanto la religione sia e sia stata un danno per la nostra società. Non riesco a non pensare che senza la religione l’uomo avrebbe acquisito qualche percentuale in più nell’uso del suo cervello e non riesco a non pensare che le religioni abbiano reciso profondamente ogni legame che noi avremmo dovuto stabilire con il pianeta e il cosmo. La religione è oppressione, è assenza dello sviluppo di un pensiero proprio, è decadenza, e Dio è soltanto un mezzo.
– Anna

Atea. Non ho bisogno né di pensare che esistano divinità trascendenti né di lasciarmi aperta la «scappatoia» di ammettere che possano esistere.
Anche perché, se esistesse davvero qualcosa di simile alla nostra idea filosofica di divinità, sarebbe talmente estranea e incomprensibile che non avrebbe senso cercare di venire in contatto con essa in qualche modo e men che mai stabilire con essa un qualunque tipo di relazione.
– Barbara

Se ragionassi razionalmente ed esclusivamente sulle prove dell’esistenza di un Dio dovrei considerarmi agnostico, visto che in mano non ho prove della sua esistenza come della sua non esistenza. Il fatto è che io vado oltre all’aspetto dell’esistenza e il mio essere ateo è strutturato su fondamenta ben più profonde e introspettive. Non mi interesserebbe avvicinarmi a un Dio nemmeno esistesse, perché si è sempre rivelato assolutamente inutile e assente e pertanto la sua rivelazione potrebbe solo generarmi un «embeh… ‘sticazzi». Io rinnego Dio a prescindere perché non lo riconosco, non mi interessa, non è il mio Dio. Sarei un ipocrita paraculo se mi piegassi davanti a lui solo se scoprissi che esiste (e lui lo saprebbe), anzi sarebbe la volta buona che potrei togliermi la soddisfazione di insultarlo e quindi, se lui esistesse, saprebbe anche questo. Che sia per questo motivo che mi sta alla larga?
– Pablo

99,99% ateo, perché il rasoio di Occam e la teiera di Russell insieme non lasciano spazio a preistoriche divinità. 0,01% che esista Chtulhu.
– Diego

Atea agnostica e anticlericale. Di educazione cattolica, ero quella che faceva troppe domande a catechismo. Percepivo già allora la religione come macabra, spaventosa e senza senso. I credenti mi sembravano dei posseduti, annebbiati, disperati. La fede in Dio, imposta come sudditanza emotiva, però c’era. In gioventù si è trasformata in un sentimento più universale, una sorta di panteismo new age ma ancora intriso di dogmi. Il ragionamento unito ad alcune letture (Russell, Dawkins, Gould) mi ha salvato spero per sempre da questo condizionamento. La sensazione di liberazione è stata bellissima. Auguro a tutti di provarla! Il mio approccio è stato analitico ma anche chirurgico nell’eliminazione delle credenze. Ad esempio: ho un pensiero in cui credo passivamente. Mi chiedo: è mio o non è mio? Da dove arriva? Perché ci credo? Posso liberarmene? Così mi sono ripulita da tante idee, ad esempio quella subdola del karma, fino ad arrivare a una condizione di «non credo a nulla, osservo tutto». L’ateismo mi ha resa molto felice e molto più…
– Serena

Ateo. Anticlericale e disprezza-preti. Di ogni tipo.
Ateo perché non ho bisogno della certezza matematica per capire che un Dio creatore è impossibile che esista.
Anticlericale perché chiese e sacerdoti sono il cancro dell’umanità.
– Gluigi

Agnostico, ma nel senso di «me ne fotto».
Perchè credo che credere – bella, eh? – sia estremamente offensivo per l’intelligenza umana.
A meno di non osservare il tutto con occhio medico, diciamo.
N gruppi di persone si affidano a N amici immaginari – di cui rivendicano la assoluta supremazia sugli altri! – per evitare di affrontare la propria paura della realtà…
E il problema (vero) è che rompono il cazzo anche a noialtri.
– Matteo

Non credo in Dio. Se credo in qualcosa, quel qualcosa è l’universo e il caso. Mi sto per laureare in Scienze della comunicazione con una tesi sulle tecniche comunicative di un ente di ricerca. Sono anticlericale, nata in una famiglia di ferventi credenti da entrambe le parti: il ramo paterno della mia famiglia è più attaccato alla forma fine a sé stessa di quanto non lo sia quello materno. Ho fatto tutti i sacramenti e credevo di credere. Avevo il terrore altrimenti di finire all’inferno. Da un vescovo mi fu suggerito perfino di diventare suora. Poi a vent’anni la svolta: subii una violenza da parte di un ragazzo conosciuto in un bar e nello stesso periodo lessi il libro «Povera santa, povero assassino». Mi resi conto che non avevo sbagliato, non era stata colpa mia. Fu l’inizio di un lungo percorso.
– Susanna

Vivo a Roma, dove ho trascorso un periodo a studiare per diventare sociologo; posso vantare un passato da ex credente convinto divenuto agnostico debole dopo aver letto alcuni contributi di Daniel Clement Dennett, Sam Harris, Richard Dawkins e aver approfondito la vicenda di Filippo Giordano Bruno da Nola (principalmente attraverso un testo di Luigi Firpo del 1993 al quale sono rimasto esposto nel febbraio del 1994). Mi considero agnostico debole poiché ritengo che l’esistenza di un eventuale Dio non sia stata fino ad ora dimostrata scientificamente (in termini di fisica e di chimica) e le mie cognizioni scientifiche non sono approfondite a un livello tale da permettermi di escludere che la scienza futura possa scandagliare la natura di un eventuale essere soprannaturale. Certamente chi si occupa di scienza ne sa molto più di me. Persone come Edoardo Boncinelli, fisico passato alla biologia, sostengono, fornendo le necessarie evidenze empiriche, che già la scienza presente possa prescindere dall’intervento di un eventuale Dio. L’astrofisico Stephen Hawking sosteneva che la teologia non fosse necessaria. L’amico e compagno di militanza Riccardo Zanello ha evidenziato il conflitto presente nella mia testa e, di riflesso, nelle mie azioni. Riccardo mi ha indotto a riflettere sull’orientamento, sul riferimento della mia convinzione agnostica. Spronato da quell’innesco di riflessione, mi chiedo rispetto a che cosa mi ritengo agnostico. Convengo con le atee e con gli atei che le divinità della Bibbia, del Corano e dei testi fondativi dei diversi culti diffusi sul pianeta non possono esistere. Sulla scorta di Bertrand Russell sospendo il giudizio in merito all’eventuale Dio la cui esistenza sarà svelata dalle scienziate e dagli scienziati del futuro. Ciò, sempre secondo Bertrand Russell, mi avvicina notevolmente alle posizioni atee. In sintesi cerco di capire e mi impegno in favore della costruzione di uno Stato «equidistante» (leggi «laico»). Sono socio UAAR dal 30 settembre del 2014. Spero di imparare, dalle non credenti e dai non credenti, a dimostrare di avere torto e a sbagliare in modo sempre più proficuo per la collettività. I diritti non piovono dal cielo!
– Duccio

Benchè io abbia frequentato l’Apostolato liturgico di Musica sacra, sono ed ero anche allora ateo. Non chiedetemi però perchè ci andavo. Tutto sommato mi sono anche divertito. Prima di allora ero credente e – credetemi – parlavo con Gesù e sentivo anche le risposte. Poi ho preso coscienza – oppure credo – che quel Gesù che mi parlava era solamente una semplice voce nella mia testa. Sì, lo so, non ditelo, si chiama schizofrenia, ma ne siamo usciti. Però se da una parte non credo in nessun Dio personale, men che meno nel Dio abramitico, dall’altra parte sono decisamente incacchiato che non ci sia. Mi piaceva la storia di vivere sempre. Mi piaceva molto. Ammetto che invece ho una gran paura di finire del buio e di non vedere più nessuno, ma soprattutto di non avere nemmeno i miei ricordi. Quelli brutti non mi mancheranno di certo. Quelli belli invece sì, e la cosa mi tormenta alquanto.
– Raffaele

Sono atea e penso che se la fede religiosa sparisse dalla faccia della Terra, se le religioni fossero considerate da tutti come mitologie, credenze antiche e prive di qualsiasi fondamento, saremmo una specie migliore, per certi aspetti.
Rispetto le persone, non le loro idee.
– Anna

Mi considero ateo. Ovvero convinto della non esistenza di Dio. Vedo la cosa dal punto di vista bayesiano (sono un fisico, abbiate pazienza…). Partendo dalla premessa che non sia possibile in alcun modo dimostrare o smentire l’esistenza di Dio – che altrimenti sarebbe indagabile tramite la scienza, e quindi assimilabile a un fenomeno naturale –, valuto la cosa dal punto di vista della probabilità bayesiana: in base a ciò che osservo e penso, che probabilità c’è che esista un Dio con tutte le proprietà e le caratteristiche che le religioni gli assegnano? E trovo questa probabilità così bassa da considerarla ai fini pratici nulla. Non capisco, onestamente, l’essere agnostici. Implica, dal mio punto di vista, non avere un’opinione sull’esistenza di Dio. Non capisco come ciò sia possibile.
Aggiungo che trovo insopportabile, proprio per quanto ho scritto sopra, l’attitudine mentale molto in voga in Italia di potersi definire al limite agnostico, ma non ateo, e però credente va invece bene, anzi, in genere è segno di completezza. Quanto meno credente e ateo dovrebbero essere posizioni ugualmente lecite, sebbene opposte. Invece da noi un credente è una persona completa, mentre un ateo è visto come un povero di spirito, una persona a cui manca qualcosa.
– Stefano

Non credo in nessun dio ma considerando la mia forma mentis – peraltro autodidatta e quindi lacunosa – sono propensa a considerare che in ambito etico l’unica verità che esiste è che la Verità non esiste.
Con questi presupposti preferisco definirmi agnostica, perché non riesco a considerare vero ciò che non posso provare, e non mettere in discussione le verità altrui.
– Ivana

La mia deconversione è iniziata in un monastero buddista. Una notte lungo il sentiero verso il campo base per l’everest in Nepal dopo una tempesta la Luna si rispecchiava sui ghiacciai himalayani, e nonostante la Luna si vedevano anche le stelle. Pensai tra me e me che l’universo era troppo immenso e la nostra mente troppo limitata per poter ardire di ficcarci dentro una divinità…
– Ernesto

Mi ritengo decisamente ateo nei comportamenti e nella filosofia di vita, ma tengo anche a precisare che secondo me tecnicamente è sbagliato essere atei così come è sbagliato essere credenti. Questo perché, così come non è possibile dimostrare l’esistenza di Dio, non è nemmeno possibile dimostrare la sua non esistenza. Per questa ragione l’ateismo, cioè il negare che Dio esista, finisce per essere una professione di fede esattamente come il credere in Dio.
Diverso è invece vivere come se Dio non ci fosse, che non è negarne attivamente l’esistenza ma semplicemente ignorare il problema.
– Giulio


Disgusto. Grazie per avermelo chiesto.
– Pier Paolo

Un rispettabile «forse» per quel che riguarda un dio filosofico. Un sonoro «vaffanculo» per quel che riguarda la speculazione che ne viene fuori grazie alla disperazione e all’ingenuità della povera gente.
– Paolo

Non provo disgusto per l’idea di un dio, ma provo disgusto per chi ci crede: beceri creduloni!
– Ntn

L’idea di dio, per talun* necessaria, mi lascia indifferente come l’idea – che so – del mostro volante degli spaghetti: è solo un bisogno per alcun*.
– Alessandra

Vorrei fare ragionare i credenti…
Ma, se Dio esiste ed è nostro padre onnipotente, perché ci fa soffrire e morire? Se nei fatti – e l’amore si dimostra solo con i fatti – si comporta come uno psicopatico criminale assassino – come confermato, tra l’altro, dalla nostra intelligenza media che ci ha «donato», insufficiente a farci usare il libero arbitrio a fin di bene! –, perché adorarlo e amarlo? Che dignità si può avere ad amare una cosa/divinità o quello che è, così?
– Stefano

Prima provavo rabbia perché per gran parte della mia vita gli ho creduto. Oggi, serenamente ateo, provo indifferenza e, a volte, fastidio verso l’invadenza cattolica nella vita degli italiani.
– Patrizio

Antropologicamente è un’idea interessante per comprendere l’umano e la potenza creativa evocativa e di astrazione. Dall’idea di dio fino alla sua inculturazione nelle forme di religioni ci sono aspetti del tutto contraddittori, dalla caratteristica di motivare le eccellenze umane fino ai più abbietti e violenti comportamenti, la qual cosa dimostra l’imperfezione umana così come quella di questa idea di entità sovraterrena, è totale astrazione dell’umano in tutta la sua contraddizione esistenziale, e anche da questo punto di vista interessante da studiare e meditare, con attenzione e spirito critico, ma con mente salda: chi non rientra in questa categoria ne è avviluppato e trascinato in un legame di dipendenza psicologica che chiamano «religione».
– Fabrizio

Forse tuttora, anche inconsciamente, provo ancora rabbia e frustrazione. Posso dire di aver lasciato definitivamente la religione solo pochi anni fa (intorno ai 35), e si può immaginare come possa essere difficile abbandonare certe sicurezze e ideologie che, tutto sommato, fanno molto comodo e danno sicurezza.
– Paolo

Provo tristezza perché, nonostante non abbiamo più bisogno di un creatore per spiegarci l’esistenza, ci sono ancora i credenti.
– Anna Angie

Io non so se dio esiste, ma se non esiste ci fa una figura migliore. (Cit.)
– Anna

Senz’altro rabbia quando tale idea porta i credenti a giudicare gli altri a intromettersi nella libertà altrui. Escludendo tale aspetto e prendendo solo l’idea in sé, direi un misto fra indifferenza, perplessità e a volte anche un po’ di ilarità al pensiero che qualcuno possa credere a certe cose.
– Luca

Dio non esiste e non mi infastidisce. Piuttosto le sue pecorelle sono fastidiose come le zanzare e le mosche.
– Margot

L’idea di dio mi lascia indifferente. Piuttosto sono i suoi sedicenti seguaci: questi sono abilissimi a rigirarmi le cose in nome suo.
– Lavinia

Indifferenza e ironia.
– Giovanni

Primo problema: quale divinità? Tutto sommato le vecchie divinità pagane mi sono anche simpatiche, comprese quelle che chiedevano sacrifici umani. Scemi coloro che «rispondevano». Il Dio abramitico non è cattivo: è che lo disegnano così. Di sicuro l’hanno disegnato molto male, in tutti i sensi. Non l’hanno di certo trattato bene: io, fossi in lui, mi incazzerei e non poco. Li sterminerei tutti, anche se non sono cattivo, ma tanto non si meritano altro. I miei sentimenti sono più verso coloro che lo hanno creato e che lo adorano: da una parte provo pena, tanta pena, dall’altra se vogliono dare i soldi come a Wanna Marchi, be’, sono cavoli loro, fanno più che bene a truffarli, e tra le altre cose è anche legale! Se rinasco voglio fare il papocchio!
– Raffaele

Resto basita di fronte all’idiozia con sprazzi di imbecillità di chi ci crede.
– Anna

Indifferenza verso dio, blando disprezzo per chi ci crede, disgusto per l’utilizzo che se ne fa.
– Jacopo

Rifiuto deciso. Non indifferenza, non odio, non rabbia: semplicemente «Non ho bisogno di te».
– Silvia

Dio chi?
– Stefano

Esiste, non esiste… cazzi suoi. Decisamente non ho bisogno di chicchessia.
– Andrea

L’idea di dio in sé non saprei: probabilmente se nessuno me ne avesse parlato, non mi sarebbe mai venuta in mente. Purtroppo l’idea di dio, intesa come credenza organizzata, mi evoca tutta una serie di cose spiacevoli legate a esperienze personali, ai contenuti della fede cattolica, all’influenza della Chiesa nella società.
– Frank

Tenerezza, empatia, simpatia. Credo che non esista, ma penso che se esiste dev’essere un bel po’ scazzato vedendo come la maggioranza dei credenti lo descrive. Lo descrivono come un essere vanaglorioso e superbo che pretende di essere adorato, con la fissa del sesso. Nel suo nome hanno sempre fatto un sacco di nefandezze e molti continuano a farle. In nome di Dio (Allah) opprimono donne, ammazzano omosessuali, decapitano gente. Immagino come deve sentirsi, povero Dio, diffamato così. A me, come ho detto, sta simpatico. È la religione che mi fa vomitare.
– Lucio

Per anni indifferenza. Poi ho capito come questa moneta serva per acquistare – e togliere dal mercato – dei diritti. Rallenta il progresso e giustifica posizioni razziste, omofobe e misogine, quindi mi fa incazzare l’uso che si fa di questa fiabetta da quattro soldi.
– Manuela

Provo indifferenza verso l’idea di dio e una certa compassione mista a disprezzo per l’ottusità dei credenti.
– Patrizio


Sì, ho ricevuto un educazione religiosa e tutta la filiera dei sacramenti, più per inerzia che per convinzione della famiglia (e per far piacere ai nonni).
In casa invece ho ricevuto un’educazione più orientata a farmi cercare di capire le cose con la mia testa.
Devo dire che questa, combinata con l’indisponibilità a ogni tipo di dialogo e messa in discussione da parte degli educatori religiosi, è stata strumentale per le mie successive evoluzioni.
– Fizz

Vivevo all’estero in piccole comunità e quindi era prassi fare certi passi (battesimo eccetera), andare a Messa per stare con gli altri, per il quieto vivere.
A 14 anni invocai Dio, non ricevetti risposta e da lì cominciai a pensare e a informarmi. Risultato? Ateo.
– Marco

Mio nonno (1893) non permise mai a mia nonna di votare perché temeva che avrebbe votato per i preti (DC). Quando io ebbi l’età per prima comunione e la cresima – nel 1951 si faceva tutto nello stesso giorno e in latino – fui mandato al catechismo nella chiesa parrocchiale, contro la volontà del nonno. Ci andavo malvolentieri anche perché il nonno mi diceva di stare attento ai preti, che erano tutti porcaccioni e cattivi. Ripetevo, con i miei compagni, come un pappagallo le preghierine che il prete ci insegnava, senza capire nulla di quello che significavano. E poi per me il dio era Manitù, quello di cui leggevo su «Tex», e le sue praterie erano piene di cavalli e bisonti. C’era una preghiera che a un certo punto richiedeva di dire che era «tutta colpa mia», battendosi il petto e ripetendola tre volte. A quel punto io invece di autoaccusarmi dicevo «tutta colpa sua» e indicavo il Gianni, mio vicino, che invece diceva che la colpa era sua. Il prete se ne accorse, si infuriò e mi cazziò fino a farmi piangere. Quando ci fu il giorno della prima comunione mi dovetti confessare, avevo imparato quali erano i comandamenti, ma mi sembrava di non averne infranto nessuno, a eccezione di «non desiderare la roba degli altri» e «non commettere atti impuri». In effetti avevo desiderato i soldatini del Gianni, ma non li avevo mai rubati né rotti. Perciò optai per gli atti impuri. Il confessore mi chiese cosa fossero ‘sti atti e io restai muto: pensavo che già avevo confessato, perché mai voleva sapere anche che cos’erano? Non bastava la mia confessione? Insistette per farmi dire che cosa fossero quegli atti e io improvvisai: sono passato di corsa davanti alla chiesa senza farmi il segno della croce! Me la cavai con qualche preghierina in latino da ripetere qualche volta. Finita la cresima e la comunione, mi ripromisi di non andare più dai preti, anche se lì c’era l’oratorio con il campo da calcio e il calciobalilla. Andai molte volte con il nonno a pescare in Po e a lui raccontai quelle cose. Ne era fiero. La mia esperienza con la Chiesa è tutta qui. Mi è sempre parso incredibile tutto quanto sentivo circa Dio, la Madonna, i santi, i miracoli, e sviluppai una specie di idiosincrasia per quel mondo fuori dal mondo che ancora oggi mi porto dentro.
– Bruno

Altroché se l’ho ricevuta! Ma non perché i miei fossero così tanto convinti o bigotti. Diciamo quasi per abitudine, prassi, tradizione. Battesimo, comunione e cresima, feste comandate, occasioni di ritrovo con amici e parenti, regali, e vaffanculo quale fosse il messaggio o le cazzate trasmesse e impartite al pupo. Io poi mi sono spinto oltre. Attratto dal chitarrista del coro, ho imparato da lui ogni segreto della chitarra, e questo mi dava anche una «spinta» per andare in chiesa la domenica mattina e in oratorio al pomeriggio. Finché ho sostituito lo stesso chitarrista, che era cinque-sei anni più grande di me, nello stesso coro della chiesa. L’ho fatto fino ai diciotto anni. Poi ci fu la svolta. Mi si chiese qualcosa di più: fare il catechista per i regazzini che dovevano fare la comunione. Ed è stato allora che, obbligato ad avvicinarmi ai testi «sacri», ho finalmente letto tutti gli orrori che contenevano. Prima, come tutti, ascoltavo inerme ciò che veniva pronunciato durante le Messe e finiva lì. Ma, dovendo approfondire l’argomento e imparando a mia volta che quello lo puoi dire (ai regazzini), questo è scritto così ma lo devi dire cosà, questo non lo si può mai dire, aprii finalmente gli occhi. Finita la «stagione», finalmente consapevole che avevo vissuto per un bel periodo della mia vita in una bolla di cui non avevo mai sondato i contorni, divenni ateo e mollai tutto: preti, coro, oratorio, catechismi e quant’altro.
– Nathan

Con genitori saggi e non credenti ma con le assurde pretese di una nonna materna bigotta a oltranza, ho subìto quella che mi è poi apparsa come una violenza: l’abuso non richiesto del battesimo. Ne seguì – ovvio – la cresima, subìta sempre per desiderio della nonna. Per necessità sono stato anche in un collegio di preti, senza fortunatamente subire violenze verbali e fisiche. Ma a 13 anni ci ho ragionato e tutto è finito. Molti anni fa ho scritto in Comune che non volevo più essere cattolico. Sono diventato ateo e tuttora ne sono convinto e molto fiero. Detesto tutte le religioni.
– Pierluigi

Principalmente attraverso il catechismo, nemmeno troppo dogmatico e integralista. Mi ha pesato di più il «sistema» valoriale cattolico che implicitamente era presente nell’ambiente familiare e sociale del paese di provincia: senso di colpa, vergogna eccetera.
– Mirko

Sì, da una mamma cattolica praticante. Da quello che ricordo, la domenica sono sempre andata a Messa.
Ho frequentato il catechismo e l’Azione cattolica. Sono stata catechista dai 14 ai 16 anni. Lo facevo in maniera quasi meccanica: la Messa mi annoiava e non trovavo alcun senso nelle parole che leggevo sui testi di catechismo, ma nella mia famiglia non avrei potuto fare altro.
Però, non appena ho potuto, ho cominciato a disertare le messe domenicali: dicevo che ci andavo e invece facevo lunghe passeggiate da sola nelle campagne.
Credo di essere sempre stata molto curiosa, e questo ha contribuito a spezzare l’automatismo, ma non è stato facile per via dei sensi di colpa e la paura del giudizio delle persone alle quali volevo bene.
– Filo

Da piccola andavo in chiesa tutte le domeniche, cantavo, pregavo, mi inginocchiavo. Ricordo anche un mese di maggio in cui sono andata dalle suore a dire il rosario. È stata un’esperienza di cui ricordo solo un particolare: le suore avevano regalato a tutte noi bambine – non ricordo maschi, ma non ne sono certissima – una coroncina con dieci grani. Eravamo alle Elementari, ma credo le suore ci conoscessero dai tempi dell’asilo. In base alla nostra personalità e al nostro comportamento ci hanno assegnato un colore diverso: le coroncine azzurre corrispondevano ai misteri gloriosi (per bambine superbuone), le rosa ai misteri gaudiosi (per bambine buone) e quelli rossi ai misteri dolorosi (per bambine che dovevano diventare più buone grazie all’aiuto di Maria). Se oggi qualcuno mi chiede cosa posso dire del rituale legato al rosario, non so assolutamente cosa rispondere, non ne ricordo nulla. Ma questo sì: misteri gloriosi, gaudiosi, dolorosi. E io, per fortuna, ero rosa…
– Susanna

Non in famiglia fortunatamente. Sono stato battezzato solo perché mia sorella grande in quel momento voleva fare la prima comunione come tutti, quindi hanno fatto i sacramenti a lei e anche al neonato.
A scuola é durata pochissimo, ho fatto malvolentieri religione fino alla prima comunione, il giorno dopo ho chiesto e ottenuto dai miei di venir esonerato da religione. Avevo otto anni e lo ritengo il momento in cui sono diventato ateo. Tra l’altro era buffo, perché durante l’ora di religione me ne sono stato poi per anni in biblioteca con una testimone di Geova. Gli unici due che non partecipavano. E non ho 90 anni, ma 38!
– Marc

Assolutamente, purtroppo. Messa tutte le domeniche, catechismo, preghiere prima di coricarsi. Da adolescente leggevo e cantavo in chiesa. Credevo di credere, in realtà ero sobillata, avevo paura di finire all’inferno. Da una decina d’anni ho smesso di avere paura, e non hanno più nessun potere su di me.
– Susanna

Ricevuta e poi impartita: nasco in una famiglia cattolica che mi indirizza al catechismo, ma in età più adulta prendo uno svarione per l’evangelismo e, durante la mia militanza di 10 anni presso di loro, trovo il tempo di prendere un diploma in teologia e ministero ecclesiale. Prima della «folgorazione atea» mi viene affidata a volte la predicazione domenicale e continuativamente la catechesi (in ambito evangelico «scuola domenicale») dei ragazzi. L’educazione religiosa ricevuta da bambino è stata più che altro formale, della serie «si fa perché si deve». Successivamente me la sono andata a cercare, pensando potesse rappresentare una risposta valida agli interrogativi che tutti ci poniamo.
– Emiliano

Sì, purtroppo. Forse solo per tradizione però che per vera fede. Tutto questo ha innescato un senso critico in me sin da quando avevo otto anni – credo – e mi preparavo per la comunione. Tutte le boiate che sentivo, incoerenti e senza un filo logico, mi hanno portata a leggere la Bibbia e altri testi «sacri» per cercare di capirci qualcosa e per poter rispondere a tono in primis alla mia famiglia che professa una religione che non conosce, o che conosce solo in parte, o che modifica a suo piacimento secondo le esigenze che si presentano. Ancora oggi è una continua lotta.
– Selenia

No. Non sono mai stato condizionato nelle mie scelte personali riguardo alla religione e io non mi sono mai sentito «diverso» anche se non andavo a catechismo ed ero esonerato dall’ora di religione. Ovviamente nessun sacramento, anche se su questo fronte dovrei aprire un capitolo a parte che sono disposto a raccontare ma solo se mi verrà chiesto di farlo, più che altro per non dilungare oltre il dovuto questo commento.
Ok, allora vi racconto ma è lunga, perciò cercherò in qualche modo di essere sintetico abbreviando certi passaggi. Io e mia (ora ex da cinque anni) moglie ci siamo sposati nel 1998 in Comune perché la mia posizione di ateo non poteva concederle il matrimonio in chiesa come avrebbe desiderato. Sapemmo solo molto, molto tempo dopo che sarebbe stato possibile fare un matrimonio «misto» ma oramai era troppo tardi e ci eravamo già sposati. Lei ovviamente era assolutamente cosciente della mia mancanza di fede – non ero nemmeno battezzato – e pertanto l’unica strada percorribile per sposarci era quella, nonostante lei fosse credente – anche se poco praticante, ma sorvoliamo su questo punto – e il suo desiderio, coltivato fin da giovane, era quello di celebrare il matrimonio in abito bianco nella chiesa del suo paese di residenza. Purtroppo per lei, ho infranto questo suo desiderio. Per farla breve, nonostante passassero gli anni, io continuavo a percepire la sua sofferenza interiore per quella celebrazione mancata, per non aver consacrato il suo/nostro matrimonio in chiesa. Consapevole del suo sacrificio nella rinuncia a questo tipo di rito, decisi di andarle incontro procedendo a una «riabilitazione», accettando spontaneamente – lei non mi fece mai particolare pressione – di fare i sacramenti (battesimo, comunione e cresima, se non ricordo male) per poterla risposare in chiesa. Nel 2003 cominciò questo mio percorso di avvicinamento alla Chiesa con il prete del paese che veniva a casa nostra, di sera, per farmi una specie di catechismo – sinceramente non ricordo se questo avvenne prima o dopo il battesimo) – e per indottrinarmi sulla religione cristiana. Sta di fatto che io, francamente, mi sentivo un imbecille ad ascoltare il prete con fare attento e da pseudodevoto, ma per la causa ero disposto anche a fare questo. L’importante per me era fare questo regalo a mia moglie, quello era l’unico vero e sentito obiettivo. Insomma, nel 2003 fui battezzato e nel contempo cresimato e presi la mia prima – schifosissima, gusto orrendo – ostia per la prima comunione. Tutto questo avvenne in una chiesetta in una frazione dispersa del paese dove abitavamo. Non fu invitato nessuno dei parenti tranne mio cognato che fu il padrino, e la cosa si concluse così, quasi all’insaputa di tutti. Dopo questo evento «importantissimo» dovemmo affrontare i corsi prematrimoniali per poterci sposare in chiesa. Fortunatamente i suddetti corsi furono poco più che simbolici perché di fatto noi eravamo già sposati da diversi anni e sarebbe stato oggettivamente inutile seguire tutte le lezioni. Così riuscimmo a svincolarci almeno da questa tortura. Finalmente nell’aprile del 2004 ci risposammo in chiesa. Celebrammo tutto come se fosse stata la prima volta: abito bianco per lei, pranzo e festeggiamenti come di consuetudine con un semplice ridimensionamento degli invitati. Bene, opera compiuta, tutti felici e contenti. Bene un cazzo. Felice un cazzo. Ora ero un cristiano fatto e finito. Io, ateo da sempre e consapevole delle mie personali battaglie interiori per trovare risposte ai miei perché, ero diventato uno «schiavo» del sistema e appartenevo a quella fazione che ero sempre riuscito a tenere a distanza dalla mia persona. La scelta nobile del fine del mio percorso giustificava questo «insulto» verso me stesso, alleggeriva il peso – più dettato dall’orgoglio che da altro – di questa affiliazione che non mi è mai appartenuta. Fu solo nel 2011 che scoprii che era possibile sbattezzarsi e da lì si risvegliò dentro di me la voglia di tirarmi fuori da questa situazione che non mi apparteneva, anche per una questione di correttezza verso tutte le parti in causa. Allora provai a informarmi tramite l’UAAR su come poterlo fare. Premetto che la mia prima preoccupazione era legata alle conseguenze che sarebbero accadute al mio/nostro matrimonio in chiesa. Se con il mio sbattezzo avessi reso vana la consacrazione tanto desiderata da mia moglie, non avrei mai proceduto con l’iter di sbattezzo. Una volta rassicurato sul fatto che il matrimonio in chiesa avrebbe mantenuto il suo valore sacro, ho provveduto a preparare la raccomandata. Non lo dissi nemmeno a lei perché sapevo che non avrebbe capito fino in fondo quanto questo mi pesasse e non volevo se ne preoccupasse. Glielo dissi a sbattezzo avvenuto, rassicurandola sul fatto che il nostro matrimonio era «salvo». Fu nell’aprile del 2012 che finalmente mi liberai di questo fardello e tornai padrone della mia vita. Questa la storia del mio percorso fuori, dentro e di nuovo fuori dalla Chiesa…
– Pablo

Sì. Tradizione e bigottismo veneto. Non ricordo un periodo in cui sia stato «credente»; ho iniziato a leggere libri di astronomia sin dalla seconda Elementare dopo averne preso per caso uno nella biblioteca della scuola; questo fu amore a prima vista. Suppongo che l’astronomia sia stata un antivirus. Ricordo lo scandalo, anche in famiglia, di quando risposi «Big Bang» alla domanda su chi ha creato tutto. µMica vorrai comportarti come i comunisti che mettono in prigione chi va in chiesa?» (sic). Anni fa ho scandalosamente fatto formalmente atto di apostosia. Quindi per la Chiesa cattolica sono un criminale. Attenti a me.
– Marco

Finché ero credente, l’ho sempre professato intimamente e l’unica cosa pubblica era la Messa (una su due, forse). Vedendo i miei amici che arrivavano gli ultimi cinque minuti e si vantavano di fregare i genitori, mi chiedevo perché mai lo facessero, visto che potevano far senza del tutto.
Ora, dopo tanti anni, per me andare in chiesa equivale a entrare in qualsiasi altro luogo – dal punto di vista della fede –, ma miei amici continuano ad andare a Messa.
– Mauro

Sì, cattolica, ma non particolarmente rigida. La parrocchia che la mia famiglia frequentava era piuttosto «progressista» – per una parrocchia, si intende – e più di uno dei preti è diventato ex-prete. Uno ora convive con il compagno, un altro – se non sbaglio – se ne è andato in polemica con il bigottismo della Chiesa istituzionale. L’educazione cattolica consisteva sostanzialmente nell’andare a Messa la domenica e nel catechismo per fare la comunione e la cresima. Quando sono diventato non credente (a 16/17 anni) e ho deciso di smettere di andare in chiesa, nessuno mi ha rotto le palle. Ora anche il resto della mia famiglia ha smesso di andare a Messa, in parte anche per merito mio.
– Daniele

Nonna bigotta fino al midollo che amava ripetermi che ero il diavolo e sarei bruciato all’inferno. Madre credente ma non ossessiva. Padre boh, non ho mai capito se credesse o meno. Ho seguito il catechismo fino alla cresima, andavo a Messa tutte le domeniche obtorto collo e frequentavo poco la parrocchia. Al compimento dei 18 anni, avendo maturato la convinzione che fosse tutto un carrozzone ipocrita, ho rivendicato il mio diritto di scegliere e ho smesso di frequentare l’ambiente.
– Marco

Ho mollato la Chiesa subito dopo la cresima, non perché fossi particolarmente ateo già allora, ma perché il catechismo dopo quel sacramento era diventato una cosa abominevole, gestita da persone terribili impreparate a parlare con dei giovani adolescenti. Tutto il contrario della figura di «educatori». Non riuscivano neanche a fare una decente propaganda/lavaggio del cervello, perché non erano preparati nemmeno sui temi religiosi LOL. Devastato dalla noia e dalla repulsione per quella perdita di tempo, ho mollato e neanche i miei hanno avuto da ridire tanto era desolante la situazione. Quindi devo dire «Grazie!» alla mia ex parrocchia: se non avessero organizzato così male l’educazione dei giovani ci avrei messo di più a svegliarmi dal torpore mentale del credo religioso.
– Fabio

Figlia di un comunista che prima di morire ha deciso di lasciarmi libera di scegliere e di una mamma agnostica (circapiuomenoquasi). Nonne casa e chiesa (la bisnonna però grande bestemmiatrice e mafiosa, aggiungerei). Una delle due amava definirmi «bestiolina senza religione» e l’altra prometteva doni stratosferici se mi fossi battezzata (o fatta battezzare, non so bene). Nell’infanzia pregavo la Madonna che Dio non mi portasse via anche mia madre, poi ho capito che non c’era nulla da pregare, che un Dio non è conciliabile con tutto ciò che vedo e che la religione è soltanto una non scelta. Non mi sono sposata in chiesa e non ho battezzato i miei tre figli. Adesso che non vivo più in Italia sento meno la mano della Chiesa nel mio quotidiano.
– Anna

Da bambino, catechismo e chiesa. Quando chiesi di non andare più a Messa, mi si rispose che avrei potuto deciderlo solo una volta diventato grande, ovvero dopo la cresima.
Ho quindi partecipato alle Messe e ai sacramenti vari, e ricordo che fui molto contento dopo la comunione di poter anch’io mangiare l’ostia come tutti gli altri. Ho pure fatto il chierichetto.
La mia famiglia non era di per sé religiosa e mio padre i preti tendeva a mangiarseli a colazione, ma dal lato degli zii (famiglia del papà) la religione era considerata importante, ma non mi sono mai parsi bigotti, o almeno è l’impressione che avevo. Quindi la mia educazione religiosa veniva più dagli zii lato padre che lato madre o dai miei genitori. Loro consideravano piuttosto il fatto di darmi un’istruzione come una cosa in più da conoscere per vivere bene in società e come conoscenza di base che ognuno deve avere. Anche se poi da grande cambi opinione, da bambino devi imparare.
Direi un po’ come a scuola, dove si imparano tante materie, che per la maggior parte non si useranno più per il resto della vita, per avere delle conoscenze di base e «la testa ben fatta».
Infatti, una volta cresimato, non sono più andato a una Messa o a un altro rito religioso e nessuno ha detto niente.
Il passaggio all’ateismo è stato graduale. Da bambino ponevo domande alle quali difficilmente ricevevo una risposta soddisfacente. Da adolescente sono diventato molto più scettico in quanto alla Chiesa, ma cercavo comunque una spiritualità e giocavo con i fenomeni paranormali: ero convinto che molti potessero essere reali anche se la scienza non aveva ancora potuto provare nulla. In seguito ho abbandonato queste credenze e ho cominciato a crearmi la mia idea sull’esistenza di Dio (come entità interna, esterna o addirittura esterna all’universo) per arrivare a una specie di Dio composto da una particella elementare unica che di fatto comporrebbe l’intero universo. La conclusione fu che Dio, anche se esiste, non è necessario. Ho quindi applicato il rasoio di Occam e ho rinunciato totalmente all’idea di una qualsiasi trascendenza. Questo fu verso i 25 anni.
Quindi, supponendo che abbia cominciato ad andare in chiesa con l’inizio delle Elementari, mi ci sono voluti quasi 20 anni per arrivare a un ateismo agnostico – come lo definivo –, ovvero non saprò mai se Dio esiste o meno e mai lo si potrà dimostrare, ma personalmente, per motivi di mia impressione personale e perché è inutile all’universo, non esiste.
Chiaramente parlo di un Dio non per forza cristiano, come già scritto: quello mi poneva già problemi e le risposte non erano sufficienti, quello è fuffa fritta, quelle sono cazzate sesquipedali (dove ho già sentito questa espressione…?). Parlo di un Dio altro, di un essere superiore (o inferiore) con capacità magiche legate a un qualsiasi esoterismo. Non esiste!
– Leopoldo

Come tanti altri qui, sono cresciuta in una famiglia cattolica piu’ per tradizione che per altro, genitori con i loro dubbi che non andavano molto in chiesa ma mi hanno fatto fare tutti i sacramenti e frrequentare il catechismo. A Messa ci andavo con la nonna ma non con regolarità. In più a scuola (pubblica) dicevamo le preghiere quasi tutti i giorni e la maestra ci leggeva la Bibbia nelle ore di religione, ma non era una bigotta, tutt’altro. L’atmosfera era molto secondo concilio (anni ’77-83): ecumenismo, bando alle formalità, discutiamo insieme di tutto. In genere la mia educazione, a scuola come a casa, tendeva a stimolare lo spirito critico, quindi, quando verso i 13 anni capii cosa voleva dire avere fede, capii soprattutto che non potevo averla. Prima mi accorsi che non riuscivo ad accettare la divinità di Gesù «perche’ te lo diciamo noi» e di conseguenza, poco tempo dopo, l’idea di Dio cominciò a sembrarmi inutile. A casa di religione in genere non se ne parlava e nessuno ha detto nulla quando mi sono sposata in Comune e non ho fatto battezzare i miei figli. Nessun problema oggi con il coniuge, cresciuto in Cecoslovacchia ai tempi del comunismo.
– Erica

Prima vera lavata di testa a scuola dalla insegnante di religione. Non che io fossi uno facile, ero un cagacazzi anche da bimbo. La ragione del contendere era «l’amore» e io sostenni che l’amore era universale e quindi se io amavo un mio amico non c’era niente di male. Lei, con l’aria nauseata di un esorcista che si appresta a un altro rito si arrabbiò moltissimo. Ero uno stronzo ingenuo e quel giorno decisi che la religione era roba per menti deboli e che mi sarei divertito un sacco; facevo impazzire i catechisti – poracci, alcuni erano solo stupidi, mica cattivi – con filippiche che li illuminavano di imbecillità plateale, il parroco mi guardava con sospetto – o con lussuria, non ho mai approfondito – e fino alla comunione ho dato sfogo al mio spirito sadico con tutti i miei compagnucci, smontando le tesi cattoliche e spingendoli sempre più nel baratro del libero arbitrio. Poi son cresciuto e quando mi hanno chiesto se volevo fare la cresima li ho lasciati con una risata sarcastica e ho puntato il mio arsenale verso altri bersagli, più complessi ma di maggior soddisfazione.
– Andrea

Mi sono fatto le tappe iniziatiche di battesimo, comunione e cresima per tradizione e convenzione borghese, ma in famiglia eravamo – e siamo tuttora – tutti atei. Non ricordo di aver subito spinte in uno o nell’altro senso, non c’erano forti militanze a parte l’anticlericalismo di mio padre, espresso per lo più in battute. La mia sensazione è di essere stato lasciato piuttosto libero di decidere. Comunque ricordo con chiarezza che, pur frequentando il catechismo, ero basito dalle idiozie che dovevo sentire: già dai sei anni trovavo complicato dover conciliare i dinosauri con la creazione. Di lì a poco ho optato per i dinosauri.
– Jacopo

Mamma ebrea e padre cattolico. Nessuno dei due credente, specialmente mio padre. Tuttavia io e i miei fratelli siamo stati cresciuti da ebrei – circoncisione e bar mitzvah – anche se in un contesto decisamente laico, con nonni paterni fieri bestemmiatori toscani. In un contesto del genere, in cui dovevo mediare tra le due anime religiose della famiglia, è stato abbastanza facile diventare ateo: in fondo, se entrambi le religioni dovevano essere vere significava che nessuna delle due lo era. Non ho mai creduto in Dio. Ricordo discussioni con amichetti di quando avevo cinque o sei anni sul Big Bang e sull’inutilità di un Dio per spiegare l’universo, ma fino a 14 anni subivo le pressioni familiari per partecipare alla vita della comunità ebraica. Dopo il bar mitzvah, un po’ ironicamente, forse sollevato dall’aver comunque fatto quello che ci si aspettava da me, dissi ai miei che non credevo in Dio, che mi sembrava tutto un cumulo di stupidaggini e che per coerenza non avrei più messo piede in sinagoga.
– Michele

I miei sono cattolici, ma non ricordo bene per quale motivo non mi hanno subito iscritta al catechismo; ho fatto la comunione perché i miei vicini di casa hanno sollecitato i miei genitori, così mi hanno iscritta per prepararmi alla comunione insieme alla loro figlia nonché mia amichetta, ed ero un anno più grande degli altri bambini.
Dopo la comunione ho scelto di non fare la cresima ma solo perché mi ero stufata.
A 14 anni ho iniziato ad allontanarmi da tutto quello che aveva a che fare con la religione, insieme a una mia amica, ed è stato come se aprissi gli occhi per la prima volta e mi chiedessi: ma davvero si poteva credere a certe assurdità?
Finché, piano piano, sono diventata l’atea che sono oggi.
Queste le mie esperienze con la chiesa.
Come ho detto, i miei sono cattolici.
Sono del Sud e sono stata battezzata a Cascia, in Umbria, perché i miei sono molto devoti a Santa Rita. Dal sud fino al Centro Italia per un battesimo, e poi ci sono le varie visite al paese di Santa Rita durante la mia infanzia.
– Anna

Ovviamente sì. Più per tradizione che per una forte e motivata convinzione. I miei fortunatamente non mi hanno mai spinto verso di essa e mai si sono preoccupati del mio evidente distacco. Anche loro non frequentavano. Sotto questo punto di vista sono stato fortunato. Sì, va bene, ho già detto che parlavo con Gesù e che mi rispondeva, e ho anche detto che ho frequentato l’Apostolato liturgico di Musica sacra. Però nel primo caso siamo guariti, io di più e lui, Gesù, un po’ meno. A parte gli scherzi, proprio quando ha smesso di parlare, o meglio quando mi sono accorto che ero sempre io a darmi le risposte alle domande, per prima cosa ho deciso che non era una cosa né bella né simpatica, poi col tempo ho approfondito l’argomento «religioni», passando un po’ di fiore in fiore, di religione in religione, fino a capire che non sono fatte per me o che io non sono fatto per loro. Per quanto riguarda l’Apostolato, solo perchè ero piccolo e il Conservatorio era troppo distante da casa mia. Poi però ho finito gli studi al Paganini. Comunque all’Apostolato c’erano tante ragazzine con cui… eccetera eccetera… capiamoci!
– Raffaele

Educazione cattolica tradizionale. Mio padre molto credente, mia madre apparentemente anche, ma secondo me, in fondo all’animo, abbastanza indifferente alla cosa e quindi cattolica più per abitudine che per altro. Maestra a scuola molto cattolica, e catechismo a ogni pie’ sospinto. Poi a un certo punto mi è venuta la domanda: ma se Dio può tutto, perché ha creato l’uomo in grado di peccare, per poi giudicarlo? Ma che gioco sadico è questo? E ho scoperto che le risposte fornite da genitori e sacerdoti erano tutt’altro che soddisfacenti, un insieme di frasi stereotipate che non erano minimamente in grado di rispondere al dubbio di un ragazzetto. E lì ho cominciato a usare il cervello.
– Stefano

Quella cosiddetta «d’ufficio», ma molto blanda. Ateo e anticlericale, come tanti altri figli capitolini vessati dalla Roma papalina, scettico sin da bambino e poi consolidato nel corso degli anni e della crescita interiore e personale.
– Roberto

Non sono battezzata, ma le mie nonne erano cattoliche, quindi passavo da quella che mi diceva di essere una «bestiolina senza religione» a quella che mi prometteva mari e monti in dono se mi fossi battezzata. Quando ero piccola pregavo la Madonna perché non lasciasse che Dio si portasse via anche mia madre. Poi ho iniziato a riflettere, Dio è scomparso e la religione ha iniziato a sembrarmi una scappatoia per menti pigre. Direi quindi che non ho ricevuto un’educazione religiosa, se non un assaggio.
– Anna

Mia madre non è praticante: una di quelle persone per cui essere cattolici è equivalente a essere italiani, più una questione di appartenenza che qualcosa di effettivo. Però per me ha voluto un’educazione molto cattolica perché «mi avrebbero seguita meglio», perché ero «difficile». Per «difficile» si intendeva che mio padre e mia nonna erano morti a distanza di un anno, mi era arrivato un altro uomo in casa, nessuno aveva fatto attenzione alle mie emozioni ed ero giustamente depressa e incazzata come una biscia già a 11 anni.
Quindi mi ha mandata dalle suore. Praticamente subito ho avuto da ridire con la preside, una pinguina amante delle punizioni corporali, perché io non facevo la brutta dei temi, visto che conoscevo bene la grammatica e non sentivo il bisogno di scrivere le cose due volte. Nel tempo risparmiato disegnavo o leggevo, che mi paiono attività di tutto rispetto. La prof di italiano me lo permetteva, ma alla preside non stava bene e mi metteva i bastoni tra le ruote per le uscite anticipate – indispensabili per prendere l’unico pullman per il mio paese – e qualunque altra cosa di cui io necessitassi. Quando ho cominciato ad avere attacchi di panico che mi portavano a svenire all’idea di venire interrogata stando in piedi davanti alla classe è stato il peggio. Mi portavano in segreteria, una suora mi dava dello zucchero imbevuto nel brandy e dopo un po’ arrivava la preside e mi prendeva per un orecchio trascinandomi in classe e dicendo che ero una lavativa, che lo facevo solo per saltare le interrogazioni. Peccato che io avevo una media altissima, avevo solo una fobia sociale non diagnosticata. Dopo un anno buono ho deciso di reagire dandole uno spintone e gridando: «Giù le mani, pinguina di merda!». Mi ha sospesa per tre giorni. A quel punto l’incazzatura è montata e ho pensato «Ah sì? Mo’ ve lo faccio vedere io chi è la ribelle» e ho cominciato a non fare i compiti, a organizzare gruppi di copiatura e gare di areoplanini durante le lezioni, a fare scherzi ai professori, a incollare la sedia della prof di italiano, a tirare gavettoni di succo d’arancia rossa alla prof di ginnastica vestita di bianco, a spargere olio di semi davanti alla porta dell’ufficio della preside. La sospensione più lunga che ho preso è stata di 15 giorni e non hanno mai potuto bocciarmi perché avevo voti troppo alti. Ma avrebbero voluto.
Non paga di questa situazione, mia madre rilancia: volevo fare geometra in una pubblica a Crema? E lei mi manda al Classico dai preti a Milano: «Più adatto a te, e poi hai bisogno di persone che ti seguano meglio che in una pubblica». L’apoteosi. Figli di papà della Milano bene abituati a stare sul piedestallo tutti in competizione gli uni con gli altri. Totale disturbi mentali dopo cinque anni: sei anoressiche tra gli studenti, una prof anoressica, due bulimiche, un bulimico, tre con l’insonnia e una con gli attacchi di panico. Io stranamente ero sana. Sarà che, pur essendo il capro espiatorio di tutti, mi ero data alla filosofia dello sticazzesimo. Però in tutto questo la mia fede cattolica era al limite del misticismo, quando pregavo mi veniva la pelle d’oca e mi sentivo come abbracciata. Se ci ripenso ora mi viene da pensare che forse a livello psicologico non stavo poi tanto bene. Infatti i professori avevano detto a mia madre che ero in un periodo difficile e che forse avevo bisogno di una guida spirituale (non uno psicologo, eh!). Ovviamente quando ho avuto un fidanzatino in classe il confessore e professore di religione ha cominciato a mettermi i sensi di colpa sul sesso. A me, non a lui, chiaro. Oh, e chiaramente non possiamo dimenticare gli episodi di pedofilia, ma non riguardano me direttamente, sono solo stata spettatrice. E quando hanno coperto un educatore che era diventato mio stalker: «Non denunciare, ci pensiamo noi».
19 anni, esco di lì, vado all’università pubblica – mia madre voleva mandarmi in una privata ma mi sono rifiutata –, comincio a respirare aria fresca. Mi guardo allo specchio: non ho bisogno di nessun Dio. Se esiste, che si fotta. Se non esiste, meglio. La Bibbia l’ho letta tutta più volte e oggettivamente è piena di fregnacce. I cattolici ormai li conosco e – siamo chiari – vivono in un mondo che non esiste. Per me è arrivato il momento di dire «Basta».
E sai che è successo? Mi sono sentita come se dopo una camminata lunghissima con uno zaino pieno di pietre io finalmente lo avessi scaricato per correre a buttarmi in mare. Libertà. Dalle imposizioni degli uomini e dal giudizio di Dio. Solo io sono padrona di me stessa.
– Amber


Non proprio un evento. Nessun morto, nessun incidente o cose simili. Ricordo però che vidi una trasmissione in cui ci fu un intervento di Piergiorgio Odifreddi – forse addirirttura un’intervista al matematico condotta da Corrado Augias, non ricordo – in cui, con la sua proverbiale logica, mi dette il modo di affrontare tutti quei dubbi che già covavo ma non sapevo come «risolvere». Fu proposto inoltre un suo libro, che acquistai immediatamente, e da lì partì tutto.
– Nathan

Lo studio della filosofia in terza liceo, che ha messo in crisi delle certezze già insicure e la consapevolezza del mio orientamento sessuale che mi ha messo in difficoltà all’interno della comunità dei cattolici.
– Mirko

L’aver – ahimè – avuto modo di rendermi conto in prima persona della doppiezza del sistema religioso in cui ero calato, avvolto dal silenzio di ipotetiche divinità che dovrebbero «iniziare il giudizio da casa propria», per citare la Bibbia. Questo silenzio, unitamente all’aver constatato come la fede non sia in grado di equipaggiare i credenti in modo da rappresentare quel cambiamento che sbandierano, mi ha portato al bisogno di approfondire. Da lì un più serio confronto con la filosofia, con esito inevitabile.
– Emiliano

Nessun evento in particolare. Alcuni direbbero di me che sono diventata atea perché ho subìto un grave lutto, ma chi mi conosce bene invece sa che non credevo già da prima. Semplicemente tutti gli avvenimenti non hanno fatto altro che confermare sempre di più la mia mancanza di fede e la convinzione che se io mi sbagliassi e «loro» avessero ragione io quel loro dio lo rifiuterei comunque.
– Selenia

L’approdo all’ateismo è avvenuto a seguito di una depressione durata qualche anno e probabilmente causata anche dalla morte di mio papà, al quale ero legatissima. Un dolore mai sopito neppure oggi che son passati 11 anni! Mio papà era anche l’unico ateo in famiglia, quindi il confronto con lui ha sicuramente influito sul mio modo di vedere le cose, alla fine.
– Alessandra

Nessun evento particolare. Sono passato dal Dio cattolico a un Dio che esiste ma è come se non esistesse, fino a prendere consapevolezza dell’assurdità in sé della cosa in cui mi ostinavo a credere. Se vogliamo, l’evento è stato la consapevolezza che Dio, il Dio delle religioni, nasce con l’uomo ed è un’esigenza prettamente umana. Non a caso appena gli umani hanno cominciato a caratterizzarsi come tali hanno cominciato a inventarsi idoli e a dipingere divinità sulle pareti. È normale: Dio offre la speranza, la giustizia che non otteniamo in vita, la possibilità di rivedere i propri cari, offre un senso al non senso della vita, offre la maniglia per appoggiarsi e andare avanti nelle difficoltà, offre il potere sugli altri e la possibilità di aiutarsi e unirsi sotto un’unica bandiera. È quindi un’esigenza prettamente umana, un nostro bisogno. E come tale non può avere nulla di soprannaturale.
– Stefano

Che domandone! Sinceramente non so dare una risposta. Se da una parte credevo di avere un rapporto speciale con dio, dall’altra tutta la tematica insita nella religione, il catechismo, la Messa, eccetera mi annoiava a mille. Insomma, tutta l’ambaradan non ha mai avuto un grosso appeal su di me. Crescendo, ma già a 15-16 anni, quando il presunto rapporto speciale con la divinità ha iniziato a scemare, c’è stata la prima botta. Poi i vecchi come me all’epoca si sono avvicinati anche ad altre forme di spiritualismo, soprattutto orientale: buddismo, taoismo e chi più ne ha più ne metta. In seguito i dubbi sono aumentati, qualche lettura qua e là, e alla fine già a 18 anni ero ormai fuori da ogni tipo di religione convenzionale e conosciuta. Mi spiritualizzo con il vivere e l’osservare la natura, e poi la musica mi porta al completamento ascetico e spirituale. Mi «abbasta» così.
– Raffaele

Una fede già traballante – non ero credente, piuttosto indottrinata – messa definitivamente in crisi da nottate e nottate di dialoghi e confronti con un mio collega – che poi sarebbe diventato il mio compagno – follemente appassionato di filosofia.
Ricordo con certezza il preciso momento in cui ho acquisito la consapevolezza che la mia vita sarebbe finita con la morte, ricordo il buio di quella stanza, il senso di angoscia, il suo peso sul petto che mi tolse il respiro, e però ancora non osavo ammetterlo ad alta voce.
Poi l’incidente e la morte di mio fratello mi sciolsero la lingua: il primo a cui dissi che tutta la religione era solo una farsa fu proprio il prete, che in casa recitava il rosario nei tre giorni successivi al funerale. Lo feci così, davanti a tutti i parenti e gli amici che erano riuniti a pregare: dissi proprio che tutto quello non aveva senso, che non sarebbe servito a nulla.
Credo che abbiano avuto compassione di me, che abbiano pensato che fosse il dolore a farmi parlare così.
Invece il dolore mi aveva liberata, anche se in realtà per me è ancora doloroso e difficile accettare il limite della mia esistenza.
– Filo

Quando avevo 14 anni con una mia amica, più per lo spirito ribelle della preadolescenza e adolescenza che per altro, ci avvicinammo al satanismo, ripudiando da subito quello acido e quindi le bestie di Satana, per concentrarci sul satanismo razionalista. Poi, mentre lei diventava man mano wicca e infine satanista spirituale, io iniziai ad appassionarmi alla scienza, a capire il metodo scientifico, ad allontanarmi dalla visione del mondo che dà particolare importanza ai sentimenti e quindi se ho paura di qualcosa o non la capisco mi invento qualcosa di spirituale, paranormale. Leggo da sempre, ma quando ho iniziato a leggere saggi scientifici la mia vita è cambiata in meglio. Ovviamente, ha avuto un ruolo cruciale Dawkins con «L’illusione di Dio», ma non solo lui.
– Anna

Avevo 11 anni quando smisi di credere. Allora tutte le domeniche andavo a Messa: da sola, i miei genitori no, nonostante fossero credenti. Un giorno morì una bimba: accendendo la luce rimase fulminata. A messa il prete disse che era il volere di Dio, e la cosa non mi piacque affatto: il volere di Dio far morire una bimba di 10 anni? Nooo…
– Valentina

Cresciuto cattolico, praticante e chierichetto fino all’età di circa 16 o 17 anni, mi allontanai a poco a poco dalla Chiesa. A 19 anni già mi dichiaravo agnostico-cristiano, e nel tempo il mio agnosticismo si era evoluto fino ad aggrapparsi a una concezione divina di tipo spinoziano. Poi a 23 anni conobbi una ragazza di 27 con cui cominciai a uscire. Lei era cattolica fervente, e io, innamorato, mi adattai. Ero il suo primo ragazzo, quindi per lei gli stimoli di una nuova relazione erano completamente nuovi. La vidi attraversare un periodo terribile, in cui i suoi sensi di colpa religiosi le impedivano di vivere una vita normale con me. Incapace di accettare soprattutto i suoi impulsi sessuali, normali nei primi mesi di coppia, iniziò a non riuscire a dormire. Dovette ricorrere a medicamenti ansiolitici per poter dormire. Dopo quasi 11 mesi mi resi conto che le differenze di vedute erano troppo larghe, e mi resi conto che, nonostante ci avesse provato, non avrebbe mai potuto fare compromessi con me. Decisi di rompere con lei.
Durante questi 11 mesi avevo cominciato a frequentare il suo gruppo di Chiesa. Non perché fossi ritornato alla fede, ma perché mi piaceva passare del tempo con lei e perché era in una comunità veramente bella. I frati che gestivano la comunità erano tutte ottime persone e non dimenticherò tanto presto le coinvolgenti discussioni avute in quei mesi. Certo, i credenti della comunità erano di altra pasta, spesso incapaci di discussioni veramente profonde. Iniziai a suonare per loro con un gruppo dei giovani della comunità e partecipai anche a un ritiro di preghiera, purché accettassero il fatto che non ero credente, cosa che fecero, e di ciò li ringrazio. Non furono mai intolleranti nei miei confronti, ma furono di certo bigotti, concludendo ogni nostro incontro con l’immancabile «Prego perché Dio entri nel tuo cuore», e «Sei una così brava persona, magari sei smarrito, ma sono certo che Dio è in te».
Mi ricordo però che, durante quel periodo, passare così tanto tempo con loro mi fece entrare in crisi d’identità. Ci siamo passati in tanti: vedere tanta gente felice grazie alla fede mi portò inevitabilmente a domandarmi perché io non credessi e se non sarei stato più felice se avessi anch’io abbracciato Gesù Cristo. Ma le domande non mi abbandonarono mai, complice anche il fatto di essere studente di fisica teorica, e alla fine della relazione mi riappropriai della mia identità: accettai finalmente che non ero agnostico, ma ateo. Il resto è storia.
– Matteo

Cercherò di essere breve. 7 anni fa, a 23 anni, mi sono ritrovata imprigionata tra il fatto di avere subito un abuso e la consapevolezza di quello che la Chiesa pensa ma non dice, o dice velatamente: «Meglio morta che stuprata». Da lì, così come dalla lettura di «Povera Santa Povero Assassino», è iniziato il mio percorso di crescita.
– Susanna

Quando nel 2016 sono stato rianimato su una barca.
Ripescato dai sanitari dopo un black out durante un Triathlon.
Ultimo pensiero che mi passò per la testa fu: «Porca puttana muoio. Solo».
– Roberto

Non particolarmente, è stato un processo graduale. Il momento in cui mi sono accorta che il re era nudo per quanto riguarda il cristianesimo è stato durante la lettura in classe di brani tratti dal libro «Ipotesi su Gesù» di Vittorio Messori: mi sono resa conto che, seguendo il suo ragionamento, avremmo dovuto accettare anche l’esistenza dell’Uomo Ragno.
– Erica

Il liceo classico, presumo. Perché durante quegli anni è diventato sempre più frequente, a Messa, chiedermi che differenza ci fosse tra noi in chiesa e gli antichi nei loro templi. E quando ho finito il mio liceo dai preti ho sentito la libertà di poter dire: «Nessuna».
– Amber

Ricordo bene il momento chiave del passaggio da un agnosticismo scettico e un po’ menefreghista a un ateismo convinto. Aprile 2015, terremoto in Nepal, 8.000 morti. Una valanga, causata dal terremoto, travolge numerosi alpinisti presso un campo base a oltre 5’000 metri, uccidendone almeno 17. Alcuni alpinisti erano italiani. Mi capita di ascoltare lo stralcio di un’intervista a uno di loro, che dice una frase del genere: «Pensavo di morire, ma poi è arrivato un elicottero a salvarci e ho ringraziato Dio per avercelo mandato». Argh, ho un sobbalzo, mi si accende una lampadina, anzi si accende tutto il lampadario neuronale.
Ma – penso io – invece di avercela di brutto con il tuo Dio, essendo egli il mandante del terremoto, in quanto è l’essere onnipotente che tutto determina, tu lo ringrazi per averti mandato un elicottero? Invece di prostrarti a baciare i piedi del pilota dell’elicottero, tu ringrazi Dio di averti salvato? Se fossi stato il pilota e avessi sentito questo ragionamento, sai cosa ti avrei detto? «Se lo avessi saputo, col cacchio che rischiavo la vita per salvare ‘sto mentecatto. La prossima volta rimango al rifugio, 4’000 metri più sotto, a bermi una birra». Questo a dimostrazione di quanto il cervello umano possa essere ottuso, e direi che non occorrono ulteriori commenti.
– G Bott

Mi sento quasi in imbarazzo a commentare: io non mi sono deconvertito… perché non sono mai stato convertito, non ho creduto mai in nulla, mi dispiace, dio non lo conosco, ne riconosco.
Per questo non posso raccontare quelle cose che sono capitate a qualcuno di voi.
Ho avuto genitori che mi hanno detto pensa con la tua testa; ascolta elabora, ragiona e fatti un’idea:
La mia idea non ha mai compreso un dio (che non ritengo possa esistere, se non nella mente di alcune persone per ragioni a me ignote) quindi non ho neppure dovuto cambiare idea e convinzioni.
Sono sempre stato ateo come sono nato.
– Giancarlo

Mai stato veramente credente, diciamo che la spinta allo sbattezzo l’ho avuta dopo aver letto “the awakening of intelligence” di Jiddu Krishnamurti
– Donato

Il vedere l’ennesima sofferenza di un innocente. Una madre che accarezzava la bara del suo unico figlio ventenne morto di meningite. Ho dato finalmente ascolto a quella vocina che mi diceva che c’era qualcosa che non quadrava nelle teorie religiose. E poi, interrogandomi sulla teodicea giorno e notte, complici gli incontri con WannaBeBuddha e L’Eterno Assente, sono arrivato alla conclusione che, come dice Choam, un credente alla fine crede a tante cazzate pur sapendo che sono appunto cazzate. E ho deciso che poteva bastare.
– Nicola

…l’aver frequentato da piccolo un asilo gestito da suore è stato sicuramente il punto di partenza principale…
– Michele

Per me è stato così.
Ho fatto battesimo e comunione perché i miei volevano così, ma loro non sono mai stati frequentanti. Poi ho fatto gli scout, ma perché mi piacevano le attività e le persone che c’erano dentro.
Quindi sì, da ragazzino andavo alle Messe, ma era solo un obbligo sociale, qualcosa da fare perché faceva parte del pacchetto. Ma non ci ho mai creduto. L’andare alle Messe ha solo rafforzato la non credenza. Diciamo che la mia formazione da ateo è stata ascoltare con attenzione le letture, il Vangelo e poi l’omelia del prete di turno e ovviamente il Credo.
Basta semplicemente ascoltarle con attenzione, quelle parole, e uno diventa ateo per forza, perché non hanno alcuna aderenza con la realtà. «But I quite like the songs» (cit. «White Wine in the Sun» di Tim Minchin, che consiglio a tutti di ascoltare, se masticate un po’ di inglese)
Aneddoto: fino all’età di 8-9 anni io ero veramente, ma veramente convinto che il Dio del quale parlavano i cristiani fosse San Giuseppe. E non riuscivo a capire perché non ci fosse la sua statua in tutte le chiese e perché, se presente, fosse sempre in un angolino laterale e poco illuminato. D’altronde è semplice logica: Gesù è figlio di Dio, il padre di Gesù è San Giuseppe => San Giuseppe è Dio.
Che poi un Dio falegname potrebbe anche far comodo.
(Non ti dico che ti salverò, non ti dico che ho un disegno intelligente, paradiso, inferno, crune nell’ago, moltiplicazioni di pesci, morali varie e improbabili… Fai quello che ti pare, però all’occorrenza, se ti serve, posso farti un tavolino. Avrebbe anche più senso.)
– Dario

Da quando, naturalista in erba, ho conosciuto gli scritti di Charles Darwin…
– Luca


Assolutamente sì. Più leggo, più mi informo, più ne discuto, più vengo «messo alla prova», più mi confronto e più accresce la consapevolezza che non esiste nessuna divinità. Eppure resto aperto, ascolto, analizzo e ho fame di sapere, di comprendere e – perché no? – di potermi sbagliare almeno in qualcosa, di poter mettere in dubbio il mio ateismo. Nulla. La forza del sapere e del comprendere spiazza qualsiasi «avversario» o argomentazione a sostegno di una qualsiasi divinità. Senza presunzione, a volte mi sembra di essere Neo quando gli sparano e lui ha raggiunto una tale consapevolezza che riesce a fermare i proiettili con la sola concentrazione perché è diventato più potente del Matrix. Ecco, a volte i discorsi, le tesi e le asserzioni dei credenti mi arrivano così: banali, scontate, prevedibili, innocue, sparate a salve, impotenti, inconsistenti, fragili, infantili. Quasi non c’è più gusto nel confrontarsi…
– Pablo

La filosofia mi ha resa più consapevole, senza dubbio.
L’ho studiata al liceo, ma il professore era un frate che non l’amava, e non l’ho amata nemmeno io. In seguito ho conosciuto una persona che non aveva nemmeno il diploma di scuola superiore ma ne era appassionato: ha contagiato anche me.
La filosofia ha sicuramente rafforzato il mio ateismo e continua a farlo ancora oggi.
– Filo

Se per «formazione» si intende la scuola e/o l’università, non particolarmente. In senso più generale, ho sempre amato la scienza fin da quando ero bambino e crescendo ho letto molti libri divulgativi, in particolare di fisica e di biologia sull’evoluzionismo, e questo ha certamente rafforzato il mio ateismo, mettendo in luce l’incompatibilità tra l’esistenza di un dio personale e un approccio scientifico alla conoscenza dell’universo.
– Daniele

No, direi di no. Sebbene abbia conseguito una formazione ingegneristica, al termine delle Scuole medie mi si indicava come proseguimento per gli studi «qualunque indirizzo di tipo umanistico». Infatti eccellevo nelle materie di quel tipo. Avrei voluto fare il giornalista. Ma tant’è, non vi sto a spegare come mi ritrovai sull’altra strada, ad ogni modo non credo di poter collegare il mio ateismo al ciclo di studi intrapresi.
– Nathan

Essendo commercialista, la mia formazione accademica ha influito quasi per niente sul mio ateismo, mentre quella personale fatta di viaggi, esperienze e tanti libri mi ha portato a fare un viaggio dal cattolicesimo al buddismo per arrivare all’agnosticismo e oggi, anche grazie a questa Pagina, ho trovato la definizione che rispecchia me stesso, cioè agnostico ateo.
– Ernesto

Non saprei che dire. Io sono sempre stato ateo, da che ho coscienza. L’environment: genitori religiosi ma non praticanti, paese di 10mila anime in cui, nonostante le percentuali bulgare del PCI, era meglio mandare i figli al catechismo (provincia di Reggio Emilia), infatti ho fatto comunione e cresima ma in chiesa ci andavo solo se costretto (anzi non ho memoria in tutta la mia vita di essere entrato in una chiesa se non per cerimonie specifiche o per motivi di turismo/studio. In pratica sono stato assai fortunato e non ho mai avuto necessità della cosiddetta deconversione. Sarà stato che già a 4 anni sapevo che Babbo Natale non esisteva e che erano i miei che nottetempo mettevano i regali sotto l’albero?
– Metrodoro

Ho letto tantissimi saggi scientifici, e mi sembra abbastanza ovvio che per spiegare l’origine dell universo e della vita non abbiamo proprio bisogno di un creatore.
– Anna

Direi che all’istruzione – soprattutto all’autoistruzione – debbo il mio ateismo e anticlericalismo.
In particolare un esame di Storia, con un approccio antropologico e psicanalitico al dogma dell’Immacolata.
Certi libri o serie di libri fanno andare al loro posto tutta una serie di esperienze e di studi precedenti e per me è stato «Il mostro e la bella».
Oltre al libro in sè, è stato l’approccio a farmi passare dal ragionare sull’esistenza di dio al chiedermi che funzione ha l’idea di dio per gli uomini.
– Igor

Due le fonti principali per l’ateismo, sia personali sia – credo – valide in generale: l’istruzione – e non parlo di quella accademica, ma dell’informazione – e anche la lettura degli stessi testi sacri. Specialmente se paragonati ai testi di altre religioni. Lì il castello di carte inizia a crollare. E chi riesce ad affermare di aver confrontato più testi di più culture e di aver conservato intatta la sua fede o è in malafede o è schizofrenico.
– Jacopo

Direi di no. La mia formazione accademica è quanto di più lontano ci possa essere per affrontare un discorso su dio, i suoi parenti, la sua storia e i corollari che di solito ci infilano dentro. Le sacre scritture non le conosco, ancor meno conosco il pensiero ebraico, men che meno l’islam. Poi alla fine vedo che i discorsi che si fanno sono sempre quelli: o la terra giovane e le falle della teoria darwiana, oppure il fine tuning, e infine trattati filosofici di cui non capisco niente tra gnoseologia, fattuale, ontologico e assenza di presenza e presenza di assenza. Diaciamo che sono un ateo irrazionale, sento dentro di me che non c’è dio, esattamente come ci sono quelli che dentro di sé sentono dio e quindi c’è. Diciamo che resto terra terra, mi baso sul fatto accertato che i primi ebrei erano politeisti, che la storia di Mosè non trova nessun riscontro, che nel Nuovo Testamento tutto quello scritto su Gesù è di parte, non comprovato, assurdo e impossibile. Quindi alla fine evito di affrontare discorsi su dio e divento apateista.
– Raffaele

Sarò breve: la mia formazione scientifica mi ha permesso di trovare spiegazioni logiche e coerenti per le «grandi domande». Ho inoltre trovato molto più soddisfacente riuscire a capire le cose, invece che limitarmi a credere.
– Barbara

Ho studiato ingegneria informatica (i primi anni in matematica).
Non penso che i miei studi mi abbiano spinto verso l’ateismo, ma hanno sicuramente contribuito.
Studiare ingegneria ti porta a concentrarti sul ragionamento logico e matematico, soprattutto per matematica e informatica, e quindi, come deformazione professionale, ad applicarlo a tutto quello che conosci con più o meno successo.
Non è una cosa che ho imparato a scuola, penso che già facesse parte di me e ho scelto quegli studi proprio per quello.
Il risultato è comunque che gli studi hanno sicuramente contribuito a farmi prendere coscienza dell’assurdità della religione, ma non ne sono stati il motore.
– Leopoldo

Intesa come formazione scolastica? Sì, molto.
In seconda liceo scientifico – non una scuola prestigiosa, ma alla periferia di Milano … l’insegnante di francese ci fece leggere «Candide» di Voltaire in lingua originale. L’ insegnante di italiano «Psicologia delle masse e analisi dell’Io» di Freud: non ricordo il motivo di questa scelta così poco tradizionale. L’ insegnante di religione «Il senso religioso» di don Giussani. Ho capito e ho scelto.
– Lorenzo

La formazione – la chiamerei «lavaggio del cervello»: è più corretto – non ha fatto altro che rafforzare tutti i dubbi che ho sempre avuto. E non è riuscita a scalfirne nemmeno mezzo. Quindi sì, ha influenzato il mio ateismo. Invece di lavare «che più bianco non si può», ha allargato le macchie e ora sono un felice pastafariano tutto sporco di sugo, olio e schiuma di birra. In viaggio verso il vulcano.
Con buona pace di paradiso, inferno, santi e madonne.
Sempre più incredulo di come si possa credere.
Dovrebbero formarci al rispetto e alla civiltà.
L’unico nostro dio dovrebbe essere il Sole che ci sveglia tutte le mattine e che permette alla vita di essere. Invece siamo qui a perdere tempo appresso a divinità inesistenti, presuntuose e a noi ostili. Lo trovo semplicemente pazzesco.
Ramen.
– Rolando

Restando alla domanda: no, la mia formazione non ha rafforzato il mio ateismo. Gli ha dato una maggior consapevolezza, ma l’ateismo, o meglio la non necessità di qualsiasi dio, è uno stato personale che ricordo fin dall’inizio dell’adolescenza, dopo un’educazione elementare fatta di suore, catechismo e riti già allora assolutamente non sentiti né compresi (ho 65 anni, quando ero giovane c’era ancora la religione di Stato). L’ambito familiare, se lo facciamo rientrare nella formazione, non ha inciso né per un verso né per l’altro. Un imprinting forse l’ho ricevuto nelle Medie inferiori, nella scuola pubblica, da due donne, l’insegnante di storia e l’insegnante di matematica e di scienze, che a differenza degli altri docenti mi hanno fatto capire che il mondo era quello che toccavamo, era concreto. Ho letto che qualcuno ha scelto un corso di studi differente da quello che avrebbe voluto seguire. Io sono stato costretto al Liceo classico perché lo scientifico era solo privato, dai salesiani, e lì la grande lacuna, come ho potuto constatare solo successivamente, è stata provocata dall’insegnante di storia e filosofia, un anziano sacerdote sull’orlo della pensione, incapace di interessare e nemmeno di spiegare, nonostante studiassimo sul testo di Abbagnano.
La storia e la geografia sono rimaste le grandi passioni all’università (Genova 1975 e dintorni), soprattutto storia del pensiero scientifico, ma incursioni anche in quella medievale. Pochissima filosofia. Ma non ho mai cercato conferme o rinforzi al mio ateismo. Ho letto, soprattutto nell’ultimo decennio, qualche testo sull’ateismo, soprattutto Dawkins, anche se non parteggio per l’ateismo militante, sebbene lo capisca. I casi della vita poi mi hanno portato su altre strade, lungo le quali a volte – molto poche quelle che mi «toccavano» in prima persona – ho ribadito le mie convinzioni. Non so se quel che ho scritto risponde alla curiosità di chi ha posto la domanda, ma spero di sì.
– Nuccio

Io ho frequentato la scuola serale per geometri, quindi nessuna formazione accademica, solo la mia curiosità, il mio leggere tutto, le mie esperienze, lo sforzo per capire e accettare le persone, la mia vita piena di ostacoli hanno rafforzato il mio ateismo. Avevo solo 11 anni quando capii che dio non poteva esistere, poiché se fosse esistito non poteva far morire i bambini, per sua volontà. Non so se la mia storia soddisfi la tua richiesta, ma spero almeno di non aver annoiato nessuno. Buona serata a tutti!
– Valentina

Sì. Dai primi libri in età adolescenziale, anche un pò romanzati, che trattavano il tema delle altre religioni, fino ad arrivare a Dawkins, le letture hanno fatto scaturire tante domande sulle favolette ascoltate da bambina. Penso poi al periodo delle Scuole medie, all’insegnante di religione – e ai tempi si faceva senza se e senza ma – e all’atteggiamento da despota che aveva e alle cazzate che sparava. In questo senso la mia formazione ha influito tantissimo.
– Alessandra

Sì, assolutamente. Sono laureato in fisica, mondo agnostico e/o ateo per antonomasia. Che poi è facile: basta studiare per capire che i testi sacri delle principali religioni monoteistiche sono dei miti mediorentali di alcuni millenni fa.
O forse ho scelto fisica proprio perchè non ero convinto? Potrebbe essere un buon esempio di feedback positivo…
– AB

Da piccolo sentivo parlare di un Dio e di un paradiso meraviglioso ma in cui nessuno voleva andare. Vedevo gli animali e mi sembravano troppo simili a noi per essere di diversa creazione. Il resto è conseguenza.
– Angelo

Sicuramente sì: sono diventata atea prima di studiare filosofia, biologia e fisica e prima di avere un’idea più che vaga di religioni diverse dal cattolicesimo. Tutte le informazioni che ho ricevuto in questi e altri campi non han fatto che confermare il mio ateismo.
– Enrica

Alle Elementari già venivo messa in castigo per le mie contestazioni verso gli insegnamenti religiosi.
Un moto endogeno spontaneo da sempre.
– Franca

Direi di si, sono perito chimico e ho fatto qualche anno di farmacia all’università.
Quello che ho letto in seguito, anche scritto da credenti per credenti (ad esempio dio esiste? di Hans Kung) non ha che rafforzato il mio pensiero ateo.
Anche i video dell’eterno assente confermano le mie ragioni, quindi…
– Giancarlo


Difficile da dire. Mi sembra di sì, ma visto il lavaggio del cervello subito sin dall’infanzia non escludo rimasugli in qualche angolo di cervello.
– Leopoldo

Io posso dire con assoluta certezza di sì. Qualche anno fa, dopo un trapianto di cellule staminali andato male, ero lì lì per morire. Anzi, avevo già chiesto di interrompere la somministrazione dei farmaci. Nemmeno in quei momenti ho avuto o sentito la necessità di parlare con un parroco o di rivolgermi a chissà chi.
– Federico

Sì sì. Assolutamente. Anche se ho dovuto lavorarci.
– Luke

Sì, assolutamente.
– Anna Angie

Inconscio si, abitudinariamente parlando non posso dirlo con certezza.
– Vincent

A livello inconscio non saprei, dopo tutti i lavaggi del cervello ricevuti!
– Giuseppe

Assolutamente sì.
– Luisella

No. Per niente. È il background che porto dentro e contro il quale decido di innescare una lotta continua. Nei pensieri consci sono assolutamente libera. ma quando la mente fabbrica delle associazioni o dei rapidi giudizi arriva quel background patriarcale, omofobo e sporco. Non ho paura ad ammettere la sua presenza dentro di me. Sono lieta di vederla per combatterla. La cura, qualsiasi cura, inizia con una diagnosi lucida. Mi ritrovo talvolta persa in pensieri non miei: strana come affermazione – lo so – ma meglio non so dirla. Lì mi siedo e destrutturo, cerco di capire da dove arrivano e di correggere la causa. Sono qui anche per questo. Il vostro contributo mi è alleato
– Manuela

Secondo me no. Perché, se dovessi ipotizzare un riavvicinamento alla religione, probabilmente lo ipotizzerei con «quel dio lì». Idem un mio alter ego cinese farebbe lo stesso con il suo dio. Il dio come retaggio culturale secondo me te lo porti dietro. Come uno stupro.
– Paolo

No, per niente. Se fossi libero non leggerei o me ne andrei in blog o siti in cui si parla di religione. Il problema caso mai è stabilire il motivo per cui non sono libero. Angosce, paure, ricerca, conferme, vuoto interiore, desiderio di salvezza? Tanto è a livello inconscio, quindi chi lo sa?
– Raffaele

Oggi, dopo decenni di riflessione e letture, direi di sì. Ma in fondo se ancora leggo L’Eterno Assente (grazie di esistere), se seguo Padre Kayn, se leggo Dawkins eccetera evidentemente c’è ancora qualcosa nell’inconscio che mi dice di continuare a indagare e a informarmi. Ma alla fine è bello leggere pensieri concreti basati sulla logica, condivisibili anche se a volte non sono totalmente d’accordo. L’ateismo è un mondo che mi piace, mi soddisfa intellettualmente. Il mio inconscio spero che apprezzi…
– Alessandro

Non proprio. Ormai è quasi un anno che sono ateo. Certe volte, quando mi trovo davanti a una situazione difficile da affrontare, provo una strana sensazione nel sapere che non c’è nessun Dio a cui affidarmi. Pregare mi dava sempre energia e mi sentivo al sicuro – e penso che se non fosse così la religione avrebbe molto meno seguaci –, ma purtroppo se una cosa è confortevole da credere non è detto assolutamente che sia verosimile. Questa è una fallacia logica chiamata argumentum ad consequentiam. Quando ti allontani da qualcosa che agiva come una droga è veramente brutto a livello psicologico da affrontare e in questo caso il problema è anche morale. Ovvero: ti è stato detto sempre che il Bene è Dio, è l’amore di Gesù, e che bisogna prendere come riferimento lui su ogni cosa, ma quando ti liberi da queste cose – come dire?… – non hai un punto di riferimento a cui aggrapparti. Per un periodo quindi vissi una grossa confusione esterna, che ora finalmente ho superato.
– Jakopo

Viviamo in un mondo troppo condizionato dalla religione. Come sentirsi liberi? Quando dico di essere atea lo faccio ancora con un certo timore di essere aggredita. No. Non mi sento libera.
– Maria Rosa

No, purtroppo no.
– Marco

Sì. Ne sono disturbato solo a livello pratico, in quanto pervade la nostra vita italiana in modo infido.
– Mario

Non avendo mai subito spinte verso il pensiero religioso potrei dire di sì. Ma vivendo in Italia e pertanto a contatto con la religione di Stato – perché quella è, nonostante le balle sul «non confessionale» – non posso escludere forme di inconscia deferenza verso le figure religiose. Nel senso che non approccio preti e suore – raramente, in realtà – senza un minimo di circostanziale rispetto per l’abito talare e per certi appellativi di prammatica. Il che mi fa provare imbarazzo. Tradotto in termini psicologici: a qualche livello inconscio provo non dico soggezione, ma la sensazione di entrare in contatto con un mondo avvolto da un’aura «sacrale». Tutto ciò appunto a livello inconscio. A livello conscio li considero esseri umani quanto me, nonché dei parassiti immersi in credenze astruse.
– Jacopo

Onestamente non saprei. L’inconscio è tale perché non consapevole. La trovo una domanda strana.
– Anna

Sono stata fortemente credente per tanti anni prima di diventare atea. Sicuramente, purtroppo, non sono ancora libera dalla religione a livello inconscio. Tipo che mi sono resa conto che provo spesso forti sensi di colpa senza valide motivazioni.
– Francesca

Liberissimo!
– Antonello

Io temo, a livello inconscio, di no. A volte di notte mi prendono degli attacchi di panico in cui sono convinta di essere in punto di morte e ne sono terrorizzata. L’idea di non esistere più, che di giorno accetto senza battere ciglio, di notte invece diventa insopportabile.
Forse non è condizionamento da religione ma da spiritualità?
– Alessandra

Probabilmente alcuni schemi di stampo credente sono correlati all’educazione ricevuta o all’ambiente in cui sono cresciuto, ma lo sono in modo inconsapevole, cioè non li collego a un indottrinamento. Mi ritengo una persona piuttosto libera, tipo al 99.9%. Il cammino verso l’ateismo ha comportato molta riflessione e anche il coaching ha aiutato in quest’ambito, probabilmente.
– Fux

Per quel che riguarda la mia persona sicuramente sì!
Ma nelle relazioni sociali è, di frequente, una libertà che incontra «carcerazioni» altrui.
– Giovanni

Ho avuto un indottrinamento pesante. Da ragazzo ne ho sofferto, prima di ribellarmi e sentirmi finalmente libero. Non escludo che qualche condizionamento sia rimasto, ma quando ci penso mi sento totalmente e convintamente ateo senza rimpianti. Anche un po’ mangiapreti, direi.
– Gluigi

Libera dalla dottrina e dal bigottismo.
– Paola

Purtroppo non del tutto.
A livello di sensi di colpa e di avversione per il s…o.
Ho ancora molto da lavorare
Anche se non li proietto più nella religione, il modo di pensare a volte rimane.
– Elisa

Me ne sto liberando, con calma, un passo alla volta. Magari non ne sarò mai completamente libera. Una settimana fa ho fatto un passo molto grosso: mi sono accorta di essere stata condizionata. Il condizionamento ti condiziona sempre a pensare di non essere oppressivo, quindi da condizionata potresti vivere in una condizione terribile e dire: «No no, ma io non sto così male, non sono stata veramente condizionata». E poi invece sì.
– Silvia

Come si puo’ rispondere a una simile domanda? Chi puo’ parlare del proprio inconscio?
Spero però che non ci siano residui.
– Yasmine

Non lo so. Credo di sì, ma non ne sono sicuro. C’è la parte interiore, ma anche quella esteriore. Ci sono contesti in Italia dove essere completamente liberi dalla religione è molto difficile – il paese veneto da dove provengo io, ad esempio – e si paga molto caro. Ecco, credo che sia importante non solo un superamento interno, ma anche poter vivere e lavorare in un ambiente realmente laico, avere amici che ti sostengono e ricevere affetto e amore non mediato da aspetti religiosi. E anche poter leggere L’Eterno Assente e potersi sentire, almeno un po’, parte di un gruppo.
– Frank

Certo che sì: mi ritengo atea al 100%.
Il problema più che altro sorge a livello relazionale.
Percepisco una sorta di fastidioso pietismo nei miei confronti, come se fossi affetta da qualche malattia, per cui il più delle volte evito l’argomento e sappiamo che non è bello non esprimere le proprie opinioni.
– Marilla


Provengo da una famiglia fortemente cattolica e negli Anni Sessanta era quasi impensabile non essere battezzati, cresimati eccetera. Ma le mie scelte mi hanno portata via da una regione democristiana e bigotta e le mie letture hanno modificato queste iniziali radici. Quindi direi che no, quantomeno non più.
– Anna

Sì e no, è innegabile che molte cose nella cultura occidentale siano religiose o legate alla religione. Ad esempio la musica (in particolare la musica classica), la pittura e la scultura, senza contare le molte opere architettoniche in relazione con la religione (chiese, cappelle eccetera).
Per il resto, la religione è passata in secondo piano dopo l’illuminismo, per cui abbiamo meno influenze per quanto riguarda la legge, il codice morale, la politica e anche il pensiero di tutti i giorni.
Ma resta ancora del lavoro da fare per liberarcene una volta per tutte, però qui non si parla più di radici culturali bensì di evoluzione futura.
– Leopoldo

Purtroppo sì, ma attivamente si lavora per estirparle e partire dal pulito.
– Massimiliano

Fondamentale le mie radici sono state cattolico-pagane più che cristiane, quindi un mix di fede nei vari santi, Madonna e superstizione.
– Giuseppe

Tutti noi abbiamo una religiosità derivante dal battesimo e dal martellamento quotidiano dei cristiani che invadono in modo subdolo tutti i mezzi di comunicazione.
– Giovanni

Be’, avendo frequentato un istituto religioso dove studiavo musica, è ovvio che il mio io sia stato impregnato di «religiosità». Però, siccome ha ragione Choam Goldberg quando dice che le radici ce le possiamo scegliere, ecco che io ho scelto di ripulirmi di tutta la cultura religiosa che reputo aberrante e assolutamente contraria a quello che comunque io sono.
– Raffaele

Radici no, benché abbia avuto fino alla pubertà un’educazione al rispetto e alla pratica religiosa. Radici no – ripeto – ma una conoscenza della religiosità sì. Una conoscenza dell’incredibile volontà delle persone di accettare la beatitudine dell’ignoranza.
– Giovanni

No che non lo sono. Nella stessa misura in cui un medico non sarà mai libero dal pensiero delle malattie.
A differenza dei credenti noi atei pensiamo alla religione, ci pensiamo davvero.
Per questo non ne sono libero, ne sono anzi ossessionato.
– Matteo


No, mai. Va però detto che non c’è mai stata una «occasione», nel senso che non ho memoria di aver vissuto situazioni pubbliche o private in cui la religione avesse giocato qualche ruolo e che quindi il fatto di non essere religioso avrebbe potuto mettere alla prova i miei interlocutori.
– Metrodoro

Direi di no, se non si vogliono considerare frasi del tipo: «Davvero non credi? Che tristezza! la tua è una vita così vuota!».
Ritengo comunque che non si possa parlare di discriminazione, in quanto affermazioni di questo tipo rappresentano caso mai una mancanza di tatto nell’espressione di una convinzione.
Se mai ho subito discriminazioni, devo averle considerate talmente irrilevanti ai fini della conduzione di un’esistenza serena da non essermene accorta.
– Ivana

Mah, diciamo di no. Nessuno mi ha mai chiesto, per dire, a un colloquio di lavoro se fossi o meno credente, se avessi un certificato di battesimo o se aderissi a qualche confessione. Nessuno mi ha mai impedito di usufruire di un servizio o di accedere, per fare un altro esempio, a delle cure mediche o a qualsivoglia attività abbia mai voluto compiere perché ateo. Piuttosto direi che mi sento, in senso generale, molto incazzato per il clima che pervade la nostra società, dove, soprattutto in Italia, non finisce un telegionale della televisione pubblica senza che venga detto cosa abbia fatto o detto il Papa, non passa giorno senza che il politico di turno si dimostri intento a promuovere una qualsiasi attività che cozzi in modo inequivocabile contro la laicità dello Stato, non c’è giorno che, a commento di un fatto di attualità, si rimarchi la valenza di un soggetto perché aderente a una confessione religiosa, e quindi la veicolazione perniciosa del concetto che per essere delle brave persone e degli onesti cittadini si debba necessariamente essere credenti. (Che tra l’altro è tutto da dimostrare.) E ci sarebbero tante altre piccole cose che non sto qui a elencare per non annoiare. Per fortuna ho troncato ogni scontro dialettico con quei credenti coi quali, tra parenti e «amici», mi tocca comunque avere a che fare e quindi ho eliminato almeno la sensazione di stare a mangiarmi il fegato per ribattere con un minimo di logica le affermazioni irrazionali a cui arrivano puntualmente i credenti quando si arriva a discutere di temi religiosi.
– Nathan

No, perché chi frequento è mediamente cone me, o comunque indifferente alle scelte degli altri su questo aspetto. Però mi sono imbattuto in situazioni in cui dichiararsi ateo sarebbe stato, per l’interlocutore, inconcepibile. Mi è successo in Iran, con un ragazzotto studente di una scuola coranica che ero entrato a visitare – e vabbe’, direte voi! – che, chiacchierando di tutto in po’, mi ha chiesto a un certo punto di che religione fossi. Ho pensato di dirgli che ero ateo, ma mi sono reso conto che non avrebbe minimamente capito e gli ho detto che ero battezzato cattolico. Per i musulmani i cattolici sono i compagni che sbagliano, tutto sommato, mentre un ateo è letteralmente un malato di mente, nonostante l’Iran sia molto più aperto di altri Paesi musulmani. E poi nel richiedere il visto per l’India, dove chiedono la religione di appartenenza (ebbene sì, esistono Paesi che fanno questo per darti il permesso di entrare). Volevo mettere «None», ma un mio collega indiano, non credente anche lui, mi ha detto: «Metti cattolico, perché potrebbero inventarsi delle storie».
– Stefano

Dalle persone più ignoranti ho ricevuto sguardi di disapprovazione che hanno lasciato il tempo che trovavano. I due preti ai quali ho detto che ero atea, invece, hanno reagito entrambi con una sorta di rassegnazione, come se avessero capito che ero «irrecuperabile», ma mi hanno sempre comunque dimostrato la loro stima. Magari perché erano d’accordo con me?
– Maria Rosa

A parte la disapprovazione dei miei genitori («Ateo? Come i comunisti?»), no. Il massimo del contrasto l’ho in planetario quando arriva quello che, prendendola larga, inizia con «L’universo è tutto così perfetto… bla bla… orologiaio». Da un bel pezzo non mi mettono più in difficoltà queste domande. E nel rispondere non parlo mai di religione. Il cultore dell’orologiaio di solito desiste davanti al mio muro.
– Marco

Per La mia famiglia sono «quella che non crede in niente», come se fosse una cosa brutta. Effettivamente preferisco sapere, invece di credere.
L’anno scorso sono stata ricoverata in cardiologia per fare dei controlli. Ero abbastanza giù per la situazione, e tra le domande che mi hanno rivolto i medici c’era: «Lei è cattolica, vero?». Non mi sentivo in grado di affrontare un eventuale discussione, ho detto di sì, ma non ho mai capito il perché di quella domanda in un ospedale.
Sicuramente ci saranno stati altri episodi, ma se al momento non li ricordo tutto sommato non ho subito grandi discriminazioni, finora.
– Anna

Discriminata per l’essere atea no. Ho visto però sguardi cambiare improvvisamente quasi tutte le volte che l’argomento è saltato fuori. Sguardi di disapprovazione e di pietà per lo più. Raramente anche sguardi di sorpresa e incredulità, in particolare da gente che dava per scontato che professassi una qualche religione solo perché mi vedeva buona d’animo e sempre disponibile ad aiutare. Come se essere atei significasse che non puoi avere una morale!
– Selenia

Anche se vivo in una zona piena di bigotti e integralisti (Svizzera interna), non mi sono mai sentito discriminato.
Quando in Comune mi hanno chiesto la mia religione – cosa che fanno per motivi fiscali – io ho risposto che ero ateo e loro non hanno fatto una piega: hanno spuntato la casella «ateo» e fine. Nella vita privata è lo stesso. Forse anche perché i miei contatti sono per lo più ristretti a colleghi di lavoro.
– Roberto

Purtroppo sì. Mi ripeto: ho studiato musica anche presso l’apostolato liturgico di musica sacra, pertanto faccio parte di una lista «speciale» da cui i vari parroci attingono quando hanno bisogno di una messa suonata. Questo «privilegio» non mi è mai interessato, però, per una mia coscienza personale, esclusivamente nella chiesa della zona dove abito, ho eseguito delle messe suonate per alcuni funerali. Senza mai chiedere nessun compenso. Un po’ di tempo fa una persona che aveva avuto un lutto e a cui io avevo regalato i miei servigi mi ferma e mi dice che si sarebbe aspettato almeno un mio ringraziamento per i 100 euro che mi aveva elargito lasciandoli nelle mani del parroco. La faccio breve: ho scoperto che il parroco, nonostante sapesse che io non chiedevo soldi, si faceva comunque pagare per i miei servigi e se li teneva. Alle mie rimostranze mi disse che tanto io sono ateo e quindi non merito ricompense, inoltre se fosse stato per lui non mi avrebbe mai chiamato proprio perchè ateo…
– Raffaele

Sì, continuamente. Non in modo «grave» ma comunque essere apertamente atei è socialmente un tabù: ti guardano come se tu gridassi «Non ho valori, non ho etica, sono asociale e anticonformista». La fede è incancrenita nel tessuto sociale ed è data per scontata, come se fosse fondamentale. Un sacco di discussioni con gente allibita, indignata, che ti squadra dall’alto in basso perché convinta di essere migliore, completa, grazie alla fede.
Prova a fare politica dichiarandoti apertamente ateo, poi vediamo quanti voti acchiappi.
Per il lavoro non ho avuto problemi solo perché non mi sono mai approcciato a datori di lavoro che puzzavano di cristianesimo.
A proposito, è solo una mia idea o la Radiotelevisione della Svizzera Italiana è diventata uno schifo a questo proposito?
– Fux

Discriminata no. Trattata come se io fossi una ragazzina immatura in una fase sì. E mi è anche stato fatto capire chiaramente che dovevo rompere poco i coglioni, questo sì. Eppure io non ho mai toccato la religione agli altri, ho sempre solo portato avanti le mie idee per me.
– Amber

Discriminazioni gravi no, però…
In quanto ateo, guardato dall’alto in basso da gente con un centesimo della mia cultura, e ho solo la terza Media. Perculato e criticato apertamente dagli ex colleghi di lavoro cattolici, meno apertamente da quelli musulmani. Chiamato con nomi, sputtanato, zittito dalla maggioranza in più di un’occasione. Paragonato di volta in volta a terrorista, comunista, satanista, drogato, capellone e tutta una lunga serie di categorie in cui generalmente un bigotto infila chi non è come lui. Ignorato lungamente dalle istituzioni religiose e anche da presunti amici quando, da residente all’estero, chiesi di ottenere lo sbattezzo, e lo ottenni solo dopo ripetute richieste e la minaccia di fare ricorso alle vie legali.
Mio figlio non partecipa all’ora di religione, c’è una sorta di ora alternativa, e mi rendo conto che c’è di peggio. Se avessi deciso di continuare a vivere in Irlanda, mi par di capire che venga tuttora considerato obbligatorio il certificato di battesimo per poter accedere alla scuola pubblica, anche se ho sentito da amici che vivono lassù che le cose stanno per cambiare.
Finché l’ora di religione non sarà considerata alternativa e finchè in una scuola pubblica saranno presenti figure come gli «insegnanti» di religione, un po’ mi sentirò discriminato.
È vero anche che in qualche occasione non mi sono sentito discriminato. Per esempio il mio matrimonio civile è stato impostato un po’ come una carnevalata ed è andato via liscio senza grossi problemi. All’estero (Regno Unito e Irlanda) mi è anche capitato di poter tenere delle capigliature «non convenzionali» sul luogo di lavoro perché i miei manager credevano fossero dovute a una mia presunta appartenenza religiosa, e io gliel’ho lasciato credere. Ma questa dovrebbe essere la norma, no?
Fino a quando fare ciò che voglio senza danneggiare altri non sarà considerato normale, penso di poter dire che mi sentirò abbastanza discriminato.
– Alberto

Credo che la discriminazione che più mi pesa sia quella che ho potuto evitare soltanto iscrivendo i miei figli all’ora di religione a scuola.
Non sopporto questa cosa, ma nel nostro circolo scolastico non è prevista l’ora alternativa a quella di religione, appunto. I bambini restano nel corridoio o vanno in classi parallele, facendo rinforzo. Non me la sono sentita di essere io causa di discriminazione per i miei bambini allontanandoli dai loro amici nel bel mezzo delle lezioni. Ho sempre pensato che devo essere io a pagare le conseguenze delle mie idee sulla mia stessa pelle.
E comunque alla scuola dell’infanzia recitano la preghierina prima del pranzo e parlano di Gesù anche fuori dall’ora di religione.
Quello che posso fare è cercare di fornire loro tutti gli strumenti perché possano pensare liberamente e decidere autonomamente, e per adesso il più grande sembra sulla buona strada.
Ma intanto è un vero schifo.
– Filo

Certamente. Sempre considerata «immorale». Sempre trovato qualcuno che si sentisse in dovere di spiegarmi perché avrei dovuto credere, che stavo sbagliando, con quel fare tipico cattolico di far leva sui sensi di colpa. Oppure considerata una di cui avere pena, perché «poverina», senza protezione, o al contrario considerata superba per non sentire il «bisogno» di credere, di avere risposte. E poi, anche, sentirsi dire «Sei più cristiana di molti altri» solo perché hai un’etica e ti comporti in modo civile con il prossimo.
– Arianna


Dipende da cosa si parla e da quali credenti, ma, a eccezione di casi estremi, di solito sì.
Poi utile a che? Anche un dialogo «inutile» in realtà di solito aiuta a chiarire le mie idee a me stessa.
– Erica

Utile a chi? Per me può essere al massimo un passatempo, ma ho notato che tutte le volte che ho provato a farlo mi si ingrossava il fegato, quindi meglio qualunque altra attività. Per loro nessuna utilità, perché io considero l’adesione a una religione paro paro a una tossicodipendenza. E nessun drogato vuol farsi curare se non è lui il primo ad aver sviluppato una coscienza della sua condizione e la volontà di voler guarire. Con quali obiettivi? A me per sentirmi fare obiezioni tipo «Eh, ma la Bibbia che mi stai leggendo è sicuramente modificata da voi atei per screditare la mia religione» oppure frasi come «Esistono il bene e il male quindi dio esiste». Può esserci come obiettivo quello di risvegliare in loro una coscienza logica e razionale e portarli a riconsiderare le loro convinzioni? No, per quanto detto sopra. Quindi no. Direi decisamente tempo sprecato, per quel che mi riguarda.
– Luke

Raramente con un credente ne esce un dialogo costruttivo, nella maggioranza dei casi si va a impantarsi in giri inutili di parole. Il credente si basa su convinzioni irrazionali e costruite su sensazioni proprie o, peggio, su dogmi tradizionali. Qui non si tratta di non rispettare le idee altrui. Con i religiosi si fa fatica a far rispettare le proprie idee: le loro verità assolute passano dal dialogo alla prepotenza quotidiana in un attimo.
Per concludere, per quanto mi riguarda, non ho interesse a dibattere del «nulla». Mi interessa che le religioni stiano lontane dalle istituzioni, che rimangano nei loro luoghi di culto e nella loro sfera privata dove poi possono pure credere ai cinghiali parlanti, liberissimi.
– Roberto

No, piuttosto sarebbe forse utile una vera e propria guerra contro i credenti.
– Giovanni

Dipende cosa intendiamo per dialogo. Se il dialogo è una semplice esposizione di visione delle cose, è sicuramente un dialogo ma non necessariamente è utile. Utile è ciò che ci sposta, anche solo di un millimetro, dalla nostra visione delle cose, nel nostro personale progresso. Utile è stata la lettura di alcuni libri, utile è stato il confronto con alcune menti. Con un credente spesso il tutto si riduce a una difesa della propria posizione: non sposta nulla né fa progredire. Sinceramente non ne vedo l’utilità, al limite rafforza la mia convinzione di essere una donna coraggiosa. In sintesi, è come se avessi perso la strada e chiedessi indicazioni a un madrelingua turco.
– Manuela

Dipende dal contesto, secondo me. Se parliamo di confronto allora di solito è fine a se stesso. A meno che non ci sia un pubblico, come in un dibattito politico. Un dialogo sincero tra amici davanti a una birretta può essere utile a conoscersi meglio ed empatizzare.
– Ivan

Personalmente e per esperienza, credo di no! Nella maggior parte dei casi il dialogo si ferma all’accusa di «non aver fede« per il resto, come già detto da qualcuno, credessero anche agli elefanti che volano, ma la religione e il loro credo dovrebbero rimanere fuori dalle istituzioni e dalla politica!
– Fabio

Io penso che il dialogo tra persone che la pensano in modo diametralmente opposto sia poco costruttivo, se una delle parti risulta un po’ moderata. C’è anche da dire che, secondo me, alcune persone non riescono a non credere, sono chiuse dentro una camera sicura e aprire la porta li destabilizzerebbe forse troppo, hanno paura della morte come tutti ma fanno finta che non esista. Dobbiamo forse tornare a un concetto: siamo esseri finiti e un giorno scompariremo senza una data precisa, senza un dopo. È triste camminare nel mondo e non lasciare un’impronta, sparire e non essere ricordati. Nascere senza concetto di Dio è un vantaggio, crescere in un ambiente credente e poi diventare atei è più complicato.
– Alfredo

No. Paradosso dell’incomunicabilità. Fede per capire, capire per avere fede.
– Angelo

Dipende dall’argomento. Se devo far votare la legge sulle unioni civili è utile, se devo filosofeggiare sull’origine della vita no.
– Enrico

Finora a me non è mai stato utile.
– Anna Angie


Mi permetto di condividere un interessante dibattito in una conferenza tra Margherita Hack e un vescovo incentrato sul dialogo tra fede e scienza.
È interessante paragonare come sia chiara e limpida l’esposizione di Margherita. Al contrario di quella del vescovo che è contorta e «astratta«, nettamente più complicata. Diventa difficile argomentare e testimoniare qualcosa di indimostrabile e puramente personale…
– Paolo

Può essere utile solo se si cerca una scusa per bestemmiare. A parte la battuta greve, direi di no, non è utile. Non serve. Ognuno rimarrà della propria idea. Inoltre i discorsi sono sempre quelli: il male c’è per il libero arbitrio, oppure c’è perchè dal male nasce comunque il bene, o male è l’assenza di bene, e dalla Bibbia prendi solo i passi che ti interessano, fino all’essere ontologico metafisicamente necessario… du’ palle (riscusate la grevità). Argomenti triti e ritriti, fino al paracadute finale che da una parte è «mistero della fee« e da parte mia un bel «ma vaff…».
– Raffaele

Completamente inutile. Ppossiamo esporre ciascuno le proprie deduzioni, ma non dobbiamo mai cercare di portare acqua al nostro mulino. Solo esposizione, ma non confronto o prevaricazione alcuna.
– Giovanni

Dipende dall’argomento specifico di cui si parla. A me è capitato di fare delle domande, del tipo «Perché hai bisogno di identificarti in un’associazione, come la Chiesa cattolica, della quale magari non condividi la maggior parte dei dogmi (verginità prima del matrimonio, castità, dover andare in chiesa, l’inferiorità della donna, il rifiuto dei gay eccetera eccetera)? Non puoi trovare altro come base della tua moralità/spiritualità, scegliere un’altra filosofia o fondare la tua?». Una risposta precisa non c’è, tutto nasce in fondo dall’abitudine, perché da piccolo sei stato esposto molto di più a quel racconto e quindi ci hai fondato su l’identità, i ricordi, e hai una paura (quindi in gran parte irrazionale) di «morire» dentro. In questo caso il dialogo è utile (a me) solo a constatare che la maggior parte dei cattolici lo è per abitudine, e chi lo è per fede non si cura tanto del modo in cui la Chiesa inquina quel (poco) di buono che c’è nella religione. Soprattutto da una certa età in su (bastano 25 o 30 anni, non 70).
– Paolo

Credo di sì. Fa di me un credente?
Seriamente dipende da chi è l’interlocutore. Possono nascere grandi cose (esempio: Odifreddi e Augias) o enormi disastri.
– Matteo

Come il dialogo con i terrapiattisti. O con alcuni miei clienti, quelli con l’aria sofisticata e un ego grande come un mucchio di merda di plesiosauro, per cui la stampante «Dove siete intervenuti ieri!» non stampa perché «Chissà quali bottoni avete premuto» e non semplicemente, come da evidenza plateale davanti a tutte le segretarie in ghingheri, perché aveva esaurito la carta. Inutile anche lo sputtanamento logico, perché anche di fronte all’evidenza, alla prova tangibile e reale di me che apro il cassetto degli A4, mostro a tutti compreso Mr. Ego che è desolatamente vuoto, mi faccio dare mezza risma e stampo mezzo rotocalco di merdate, rimangono comunque della loro idea. La terra è piatta e i tecnici informatici sono stregoni e «La carta l’avrà tolta il tecnico per giustificare che non sa fare il suo lavoro». Tanto per la cronaca, il cliente è passato ad altra azienda. Baci baci.
– Andrea

Non ha senso. Il dialogo, come da etimologia, è l’incontro di due pensieri. Chi crede di solito non recepisce il pensiero critico, chiudendo ogni discorso trincerandosi dietro la fede che non può essere messa in discussione. Acquisire argomenti può servire a noi, ma non allo scopo del dialogo.
– Pietro

In tempi ormai caratterizzati da un alto tecnicismo in ogni campo dello scibile umano, non è più possibile farsi condizionare da spiegazioni assurdamente metafisiche della realtà che non spiegano niente, nullità che data dalla loro creazione o meglio dalla loro invenzione. Coloro che a ciò ricorrono sono persone a cui la parola cultura non dice niente, che in tutta la loro misera vita non si sono mai poste domande, perché, per poterlo fare, dovrebbero prima aver coscienza della loro grettezza e soprattutto della loro ignoranza, che, come è accaduto per i tristi, crudeli e deformanti princìpi religiosi che hanno tormentato per secoli i popoli che a forza di stragi sono stati convertiti, si è trasformata in un tacito e inconscio condizionamento, alla stregua dell’addestramento dei cani.
– Harald

In generale non vorrei chiudere la porta del dialogo a una intera categoria di persone, peraltro molto presenti su questo pianeta; nella realtà però dipende dalla persona credente e soprattutto dal dialogo che si può intavolare.
Un dialogo con i credenti che troverei molto interessante è per esempio quello che parla del loro sentimento della fede: cosa intendono quando dicono «Ho una spiritualità» o «Sento che c’è un Qualcosa di benevolo»? Non ho interesse nell’andare a discutere se le prove di quel Qualcosa ci siano effettivamente, perché sono convinta che questa sensazione derivi da loro e non dal Qualcosa (come invece pensano loro); ma mi incuriosisce sapere se questa sensazione è descrivibile e, se lo è, che forma prende in diverse persone credenti. E poi, da quando l’hanno sentita? Da sempre oppure no? Ci sono dei momenti in cui si è affievolita? E cosa era successo in quei momenti? E in quelli in cui si è accresciuta, invece?
Un dialogo che invece non troverei utile è quello in cui io cerco di convincere un credente che quel Qualcosa non c’è, o quello/quella cerca di convincermi che quel Qualcosa c’è, perché so già la conclusione di questo dialogo: niente in questo mondo suggerisce che ci sia un qualsiasi tipo di divinità, e questo fa in modo che affermare «Dio esiste» richieda di portare delle prove molto convincenti; ma ai credenti tutto questo non importa nulla, perché loro hanno fede, e questa fede è ciò che alla fin fine permette loro di dire «Non importa se non ci sono prove, io ci credo lo stesso». Al che torniamo all’esempio iniziale: è più interessante indagare questo sentimento che stare a discutere se Dio esista o meno.
Troverei utile un dialogo in cui io spiego a qualcuno la posizione atea, posto che questo qualcuno me l’abbia chiesto e posto che lo abbia fatto perché veramente curioso di conoscerla. Potrebbe essere utile anche rispondere ad alcune obiezioni tipiche dei credenti a fronte dell’ateismo («Se Dio non esiste, allora perché c’è il bene?» o «Che senso dai alla tua vita?»), posto che 1) gli interessi sul serio e non lo chiedano solo per provocare e 2) rispondano anche loro a domande analoghe, eventualmente rigirate («Se Dio esiste, allora perché c’è il male?»).
Altri esempi al momento non me ne vengono in mente; sono pochini, è vero, ma d’altro canto molto di ciò che impegna le loro discussioni — cioè «Cosa intendeva il nostro testo sacro in questo punto?» — è di scarsissimo interesse per me, visto che dal mio punto di vista si sta chiedendo cosa intendessero degli esseri umani di almeno 2000 anni fa nello scrivere un testo che per gran parte non ho letto. Se poi il «punto» in questione è uno in cui si dice una porcheria misogina, razzista od omofoba, la riflessione perde ancora più valore, visto che, qualunque cosa intendesse, faceva schifo.
– Sylvia

Il grembo della Chiesa è sempre aperto a chiunque sia disposto a rinunciare a una buona parte del proprio cervello.
– Giovanni

Sì, certo. Si può dialogare sulla coltivazione dei cavoli, sulle ricette di torte.
Sul serio, a volte è impossibile, mi sembra di dialogare con persone che dicono parole a caso, come se fosse la tombola di parole invece di numeri.
– Izabela

Noi tutti abbiamo bisogno di credere in qualcosa. Io credo che tra un attimo… mi farò… un aperitivo…
– Giovanni


Sui social solo dove determinate riflessioni o pagine mi permettono di farlo. Sul mio profilo ogni tanto manifesto quello che sono, ma sempre senza offendere o pretendere che la mia verità sia quella di tutti. Esprimo serenamente ma con decisione il mio essere ateo e se poi qualcuno vuole argomentare ben venga. Nella vita «vera» vige la regola: «Voi non provocate me, io non provoco voi».
– Pablo

Il resto della famiglia è cattolico, quindi l’educazione di mio figlio è «mista». Il confronto tra le due prospettive non è quotidiano, ma quasi. Le notizie sui giornali o i social e i continui bivi che si pongono a un ragazzo a bordo adolescenza pongono chiavi di lettura differenti quotidianamente.
– Paolo

Beh, diciamo che se sto su Facebook è soprattutto o esclusivamente per quello. Forse immerso nel mio bias di conferma, cerco e riporto ogni volta che posso tutto ciò che lo manifesti e cerco e seguo amici, gruppi e quant’altro possano aiutarmi a rafforzarlo, escludendo credenti o chi abbia idee incompatibili con le mie dalle amicizie e spesso perfino dalla sola possibilità di incrocio. Nella vita «reale» è un po’ diverso. Non vado in giro con i cartelli o una scritta in fronte che dimostri il mio ateismo, sebbene porti una catenella con un ciondolo che è il simbolo dell’ateismo e abbia un tatuaggio con lo stesso simbolo, più elaborato. Però frequento e parlo con chiunque senza boicottare nessuno per default, anche se devo ammettere che dopo un qualche «Sono ateo, Giovecane! Non mi interessano gli auguri pasquali o di Natale!» mi sono accorto che nessuno si azzarda più a mandarmi su WhatsApp quelle stucchevoli gif con coniglietti e agrifogli vari in occasione delle festività religiose.
– Nathan

Scanso volentieri l’argomento, quando mi trovo (fisicamente) con persone che nominano Dio per qualche motivo. Il mio è stato un percorso lungo e non facilissimo, che è passato da una frequentazione attiva della comunità giovanile parrocchiale – fede o un modo di socializzare?… non l’ho ancora capito – a un progressivo allontanamento da tutto ciò. Fino a pensare ateo. Matrimonio cattolico. Primo figlio battezzato. Secondo figlio no. Ho sempre pensato di essermi sposata in chiesa con convinzione. Di aver battezzato mio figlio perché ero «figlia» a mia volta e non riuscivo a non esserlo. Di aver, finalmente, scelto per mia figlia.
– Maria

Sì, perché no? Anche se devo dire che a volte mi capita di moderare molto i toni per evitare di finire a litigare con gente con cui devo essere in buoni rapporti. Ogni tanto mi chiedo cosa pensi la signora che fa le pulizie a casa nostra – una 45enne che va in chiesa tutti i pomeriggi – quando stira la mia maglietta con Bafometto carino e arcobaleno e la scritta: «Not today Jesus».
– Amber

Solo se qualcuno mi chiede come mai non entro in chiesa ai funerali (ai matrimoni non mi invitano). Scherzi a parte, non praticando l’ateismo militante e vivendo in una comunità che è religiosa solo per convenzione, ci sono pochissime occasioni per farlo, magari con amici durante qualche rara discussione sull’argomento. E qui, naturalmente, su Facebook.
– Nuccio

Quando posso esprimere i valori dell’essere ateo lo faccio e non mi esento dal mostrare le incoerenze di chi professa religioni e dei capi religiosi. Da attivista LGBT mi viene spesso prestato il fianco per punzecchiare, ma mi interessa esprimere una critica razionalista meditata e non banale.
– Fabrizio

Spesso e volentieri. Soprattuto in Italia quando i privilegi dei cattolici mi passano davanti in continuazione. In famiglia, con amici, al lavoro, ovunque.
– Mirko

Più spesso che volentieri. Un’irritazione profonda verso le superstizioni tossiche che risale in superficie passando dalla pelle e uscendo, purtroppo, dalla bocca. Quando sono di buon umore me la cavo con un «grazie a dio sono atea» in situazioni tipo sentire chi parla della comunione dei figli, di corso prematrimoniale eccetera, ma quando passa per le istituzioni e i media mi salta il neurone e parte lo sclero.
– Lisa

Nei gruppi Facebook a tema ateismo. Quando qualcuno pensa che farò qualcosa perché dà per scontato che io sia cattolica: ad esempio fare il segno della croce entrando in chiesa, quando visito le chiese per ammirarne l’architettura e le bellezze che ci sono all interno, sposarmi in chiesa ecc. Quando qualcuno mi chiede direttamente se ho fede, se credo in dio.
In questi casi sì, manifesto il mio ateismo.
– Anna

Spesso.
Non mi interessa farlo sui social ma nella vita «normale» sì, non mi faccio il problema e neppure mi faccio il problema a raccontare come ci sono arrivato passando da molte religioni e da molti anni di studi teosofici.
– Massimiliano

Se dire al tipo con la macchina parcheggiata di traverso «Ehi, Medioevo! Fregancazzo che devi andare a messa: sposta quel rottame altrimenti ti passo sopra col gippone come Sua santità!» è manifestare ateismo, allora sì…
– Andrea

Spesso e volentieri, a volte con qualche doveroso bestemmione per par condicio. Loro impestano e pisciano ovunque per marcare il territorio, perciò qualche ostacolo lo devono trovare.
– Marco

Relativamente poco, e solitamente non di mia iniziativa. Non mi piacciono le discussioni sterili e i litigi e ho imparato sulla mia pelle che discutere di fede con il credente medio è come tentare di insegnare a un maiale a cantare, come dice il proverbio inglese: è una perdita di tempo che fa solo incavolare il maiale.
Detto questo, di tanto in tanto mi può capitare di essere di umore polemico nel momento in cui suona il campanello un testimone di Geova. Se me lo posso permettere, far perdere loro un po’ di tempo è un servizio civico.
– Fizz

Molto raramente. Chi mi conosce sa come la penso. I parenti credenti, a parte le benedizioni per farmi convertire, ormai ci hanno rinunciato.
Gli amici per fortuna me li scelgo io: o sono atei anch’essi o sono credenti non praticanti.
A volte con gli estranei o amici di amici mi tocca discutere, come l’ultima volta con una tizia che andava dicendo che Einstein in fondo credeva in dio!
Ma non c’è verso: gli puoi portare qualunque argomento, ma alla fine dicono «Sì, è vero, la Bibbia e il vVangelo hanno anche qualche imperfezione ma io ho il mio dio (adattato) che non può non esistere».
E niente… già Don Chisciotte aveva capito che contro i mulini a vento ti fai solo male.
– AB

Fortunatamente la religione non fa molto parte della mia vita quotidiana. Comunque quando il prete è entrato in ufficio per la benedizione ho risposto: «No, grazie. Non credo a queste superstizioni».
– Lorenzo

Spesso. Anche se nella mia cerchia sono l’unica atea, lo faccio con la mia famiglia d’origine e con quella del mio compagno, con gli amici, su Facebook e a volte con conoscenti. Anche il mio ateismo è parte del mio essere, quindi entra di diritto nella mia vita.
Adesso però avverto il bisogno di manifestarlo anche praticamente, e ho maturato l’idea dello sbattezzo. Sto provvedendo in tal senso: prima la ritenevo una cosa inutile, ma adesso che ho figli e mi rendo conto sempre più dell’ingerenza della religione, soprattutto quella cattolica, nella vita di tutti i giorni, avverto proprio il bisogno di prenderne le distanze.
– Filo

Sinceramente no. Mostro molto di più il mio anticlericalismo. Tutto sommato l’idea di dio, qualsiasi dio, non mi interessa e nemmeno mi affascina. Da questo punto di vista mi ritengo apateista, anche se seguo a distanza alcuni dibattiti che riguardano l’esistenza divina. Solitamente ci rido su, qualche volta chiedo ad altri, ma nel discorso non entro mai: lo trovo noioso e anche inutile. Invece non perdo occasione per ricordare, almeno come mio personale punto di vista, come la Chiesa, l’istituzione Chiesa e coloro che la albergano, siano il male assoluto. Un vero e proprio diavolo tentatore che fa di tutto per farci credere che non esiste! Sono ancora quello, a 50 anni suonati, che se vede una suora, un frate, un prete eccetera tocco la prima persona vicino a me e urlo «Tua!». A dire il vero lo faccio anche con la Prinz verde… a trovarla però. Di suore, preti e affini invece non c’è proprio carenza purtroppo. Quindi, mentre non sono portato al combattimento per dimostrare il mio ateismo, sono pronto a dare la vita contro le forze del male guidate dal papocchio stralunato e dal papocchio emerito, quello imbalsamato. Io continuo sempre a vedere un bell’IS3 in piazza del vVaticano, con il suo bel cannone da 152 mm puntato contro la capoccetta del sepolcro imbiancato.
Anche le altre divinità le trovo ovviamente finte e non ne parlo. Trovo simpatiche le vecchie divinità greco-romane, su quelle posso intavolare un discorso, anche perchè difficilmente si arriva a uno scontro. Sono finte per tutti. Sulle altre religioni… intanto da giovane, un po’ come tutti quelli della mia generazione, mi sono avvicinato alle solite discipline e religioni orientali. Proprio una novità, vero? Il solito buddismo, ma anche lo scintoismo e il taoismo, molto meno l’induismo. Alla fine penso che sono tutte una perdita di tempo. Mi basta la mia musica, la natura in generale, la vita stessa e tutto il corollario. Apro la finestra la mattina, non vedo solo i palazzi che mi circondano, ma ogni volta riesco ad arrivare oltre e vedo sempre cose nuove che appagano il mio spirito. Concludo dicendo che se penso all’islam o all’ebraismo ortodosso o a tutte quelle religioni chiuse in sé stesse… be’, le giudico non solo inutili ma addirittura pericolose.
– Raffaele

Direi che nel corso delle conversazioni, soprattutto amicali, è uno dei topic.
– Jacopo


Io manifesto il mio ateismo ogni volta che la situazione lo consente e lo faccio a testa alta e sorridendo. Soprattutto quando sono persone con cui ho poca confidenza, ad esempio il datore di lavoro o amici di amici. Ammetto di avere un certo sguardo di sufficienza quando parlo con i credenti, del tipo «Mi dispiace che tu viva nella tua bolla di falsità assurde». Poi il mio ateismo viene fuori con tutta la sua forza quando mi incazzo per il modo in cui i credenti cercano di modellare la società e i comportamenti delle persone, specialmente delle donne. Alla fine la chicca che sfodero sempre è il mio sbattezzo, e spero che ispiri altre persone a fare delle riflessioni e a considerare di farlo anche loro, come a volte è successo.
– Riccardo

Quasi sempre mi «imbizzarrisco» quando nei discorsi comincio a sentire i vari «Grazie a Dio», «Se Dio vuole» eccetera. Prima un sorriso sarcastico solca il mio viso – è un tentativo di trattenere una fragorosa risata – e poi da un «Ma davvero credi che, con un bambino che nel mondo muore per varie cause ogni quattro secondi, possa esistere un Dio onnipotente e infinitamente buono a cui gliene può fregare cazzi dell’esame di riparazione di tuo figlio, della vittoria della tua squadra del cuore, del tuo avanzamento in ufficio?» parte la «rivelazione» e tutto il resto.
– Luke

Essere «ateo» fa parte del mio essere nel mondo. Non me ne faccio un vanto né lo considero un difetto, bensì una conseguenza della logica, della cultura e dell’essenza della mia persona.
Non ostento il mio ateismo, ma questo traspare in ogni mio ragionamento e, se necessario, viene fuori come conseguenza di un filo logico.
– Mario

Manifesto il mio ateismo perché queste divinità hanno fatto e continuano a fare negli anni un sacco di danni, e qualcuno deve portare alla luce queste malefatte.
– Riccardo

Non lo sbandiero a sproposito, ma, se capita di entrare in argomento, lo dico tranquillamente. E in generale le persone con cui sto parlando mi confermano che anche loro lo sono. Credo che dovremmo tutti manifestare più apertamente il nostro ateismo. Nella mia esperienza, tra le persone con cui ho parlato gli atei, gli agnostici e i dubbiosi sono molto più numerosi dei credenti convinti. 8 o 9 su 10, per capirci.
– Barbara

Considero la manifestazione del mio ateismo un po’ come una rivendicazione della mia identità, quindi lo faccio quando è necessario o quando voglio meglio definire me stessa.
– Filo

Ok, lo ammetto: spesso lo esterno per spiazzare, per affermarmi, per colpire i credenti nelle loro lacune, per sfoderare la conoscenza che ho – non moltissima, ma sempre più grande della loro – delle religioni. Mi godo quegli sguardi increduli per cotanta sfacciataggine… e coraggio. E si incazzano, oh se si incazzano. E si spaventano. E io mi diverto. Non da ultimo – anzi forse il cuore è proprio questo – penso a quei 13 Paesi nel mondo in cui professare il proprio ateismo costa la vita. Allora la testa si alza ancora di più.
– Alessandra

Non sono una persona calma e tranquilla che discute con savoir faire. Sono un maledetto e ancestrale fumino. Di fronte a certe manifestazioni di bigottismo esplodo. Di fronte a pacate argomentazioni filosofiche invece mi annoio.. Se sento ancora la’espressione «ente ontologicamente necessario» è probabile che mi suicidi o che strangoli l’interlocutore. Inoltre alla fine il discorso non porta da nessuna parte, quindi non esterno un bel niente. Evito. Se proprio è necessario, ad esempio con i testimoni di Geova che insistono sulla Bibbia e affini, beh, allora lo dico e lo esterno senza remore e in maniera palese e autoritaria. Di solito quindi preferisco soprassedere. C’è però un argomento e una posizione che sventolo a piè sospinto, ed è l’anticlericalismo, ed essendo fumino se fosse per me avrei già mandato alcuni IS3 in piazza San Pietro, avrei fatto puntare i loro cannoni da 152 mm contro il cupolone e avrei fatto fuoco!
– Raffaele

Lo faccio in ogni momento possibile perché il credo viene tollerato o peggio apprezzato, malgrado faccia danni e condizioni la vita di tutti ovunque.
– Marco

Lo faccio raramente per non entrare in conflitto con la maggioranza delle persone, ma se vedo che c’è un minimo di apertura o c’è la possibilità di rivelare il proprio punto di vista non mi tiro indietro.
Cerco di far capire il mio punto di vista, che è semplicemente logico e non impone nessun mistero della fede. Mi sembra un discorso intellettualmente onesto. E poi se riuscissi a instillare un quark di dubbio?
– AB

Lo faccio perché trovo che sia sbagliato non farlo. Non ci credo e lo manifesto.
Ovvio, con un po’ di attenzione. A «mia nonna di 90 anni» magari glielo risparmio, tanto non potrebbe capire né le mie ragioni né la possibilità che si possa non credere.
Però magari le dico che sì, ci credo, infatti sono pastafariano.
Ma non vedo motivo di lasciar intuire il contrario. Perché chi ci sta intorno questo pensa: sei come noi, per forza.
E invece no. Io non sono come voi. Io adoro il Prodigioso Spaghetto Volante.
Alla faccia del tuo dio barbuto del cazzo.
– Rolando

Non è che capiti cosi spesso di affrontare l’argomento. Generalmente quando in un discorso danno per scontato che tutti siano credenti. Di solito non dico che sono ateo, ma uso un più generico «Veramente io non sono cattolico». Vedo che quest’affermazione colpisce molto di più se a dirla è un italiano bianco.
– Lorenzo

In molti casi perché è importante affermare che la pedagogia dei catechismi ha fatto danni, creato sensi di colpa e percezione di verità assolute. Ho bisogno di affermare il mio essere una brava persona, umana, solidale, serena, senza alcun bisogno di un riferimento trascendente.
– Susanna

Allo stesso modo in cui chi ha fede ce l’ha in modo intimo – non parlo di religiosità, ma di fede –, io pure il mio ateismo lo vivo in me. Si è sviluppato con profonde riflessioni e sta ancora evolvendo, per cui è anche difficile manifestare qualcosa che ancora non ha i contorni del tutto nitidi.
Non trovo motivo di tirar fuori l’argomento per prima, con chi magari è ancora più confus* di me.
Ne parlo invece liberamente, con piacere, con voglia di approfondire e confrontarsi, quando mi trovo con chi si dice interessato o magari può insegnarmi qualcosa o aiutarmi a sviscerare nuovi aspetti (motivi per cui seguo con interesse profondo questa pagina e questa community).
Inoltre mi dà l’impressione di fare la figura de «la vegana» che cerca di convincere a non mangiar formaggio: controproducente, almeno nel mio contesto.
N.B.: Non sono vegana
– Jareth

Non ho mai sentito il «bisogno» di manifestarlo. Quello che è certo però è che, nel caso in cui ci si inoltri nel tema, non esito a chiarire la mia posizione. E no, il fatto che durante l’ultima «processione» di quartiere, con tanto di babau vestito di bianco con megafono e stuolo di ragazzini mascherati da KKK, io abbia urlato dal mio giardino «Cazzo urlate ‘ste nenie, il Medioevo è finitooo!» non c’entra. Baci baci.
– Andrea

Quale nichilista non ho più voglia di buttar via fiato ed energia a disquisire con credenti, perché la fede si contrappone alla ragione, perciò è inutile: la disprezzo in quanto omertosa, connivente, incoerente, opportunista, egoista, ridicola, stupida, pericolosa.
Sto per i fatti miei, ma se mi tocca, grazie alle conoscenze acquisite negli anni, scateno l’inferno.
– Fux


Sono rapporti che vanno via via spegnendosi come una fiamma che si affievolisce. Dopo un po’ smetti di confrontarti o di cercare il contraddittorio e ti chiudi in un silenzio siderale…
– Giovanni

In realtà no. Una delle mie migliori amiche è la mia compagna di banco del liceo, che canta nel coro della chiesa e fa catechismo ai bambini del paese. Io so’ ateo e omosessuale. Sicuramente lei fa parte di quella schiera di cattolici fortemente progressisti.
Se una persona è bigotta probabilmente non diventeremmo proprio amici in principio, quindi non potremmo rompere l’amicizia.
– Markus

No, accetto gli altri così come sono. Anche se peso molto le persone.
– Paola

Un’amicizia no, ma una frequentazione sentimentale sì.
– Francesca

Non io, ma di «amici» che non mi hanno più rivolto la parola perché ho osato «cambiare» religione ne ho avuti.
E abitando in un paesino di provincia è stato un grosso problema da affrontare.
– Massimiliano

Sì. Quando sviluppi un pensiero indipendente e metti in discussione il dogma, ti accorgi che parole come «amicizia», «fratellanza» eccetera sono le etichette con le quali gente che di morale non ha da insegnare nulla tenta di venderti un prodotto preconfezionato che non soddisfa i requisiti che vanta.
– Emiliano

Purtroppo sì. E ne ho sofferto.
– Anna

Non riesco nemmeno a incominciare… e parlo di amicizia stretta.
Poi i rapporti sociali non mi disturbano.
– Anna

Assolutamente sì. Mi voleva convertire…
– AB

Un amico di adolescenza si è allontanato perché non credevo.
Stessa scena da adulti: ci siamo ritrovati, voleva che uscissimo assieme (le mogli si conoscevano da bambine), ma quando ha visto il libro che stavo leggendo riposto nel mio cestino da bicicletta («Corso accelerato di ateismo») ha cambiato espressione e praticamente è scappato.
– Sandro

Sarebbe assurdo per me farne una questione.
Però mi è successo e la causa era il mio non credere.
– Gëzim

Per fortuna no, finora.
– Giusy

Tante volte!
– Antonello

Sì, e ha messo dei muri anche in famiglia. I periodi di transizione non sono mai privi di dolori, però lo stacco generazionale qualcuno lo deve sempre fare.
– Paolo

Non direttamente, ma penso che in alcuni casi la differenza di vedute dovuta al pensiero religioso dell’altro abbia contribuito ad affievolire i rapporti.
– Elisa

Con i religiosi legalisti e dittatori sempre!
– Giuseppe

Uhmmm… sì e no, e guarda caso con due preti. Il primo un prete pseudomoderno che però durante una discussione pacata sull’eutanasia ha pensato bene di bannarmi. Quando l’ho incontrato l’ho mandato a quel paese. Tra l’altro ero in moto e senza neppure fermarmi ho urlato il suo nome e ho provveduto all’invio. Lo so: non proprio un bel gesto. Al secondo sono stato molto vicino a mettergli le mani addosso, anche se non è stato un litigio per motivi di religione. Io sono un musicista e ho anche – ahimè – studiato all’Apostolato Liturgico di Musica Sacra, quindi sono inserito in liste privilegiate e vengo contattato dai parroci per suonare alle messe – rifiuto sempre – e vengo contattato anche per matrimoni e cose varie. Le cose varie sono rappresentate anche dai funerali. Non mi faccio pagare – non credo sia etico – se mi chiamano, soprattutto le famiglie che mi conoscono eccetera e vado senza prendere una lira, anzi un euro. Tempo fa un conoscente mi ha detto che non l’avevo neppure ringraziato perchè mi aveva pagato con ben 200 euro per aver suonato all’addio a una sua zia: mi disse che aveva lasciato la busta al prete. Mai ricevuto nessuna busta. Ho indagato e ho scoperto che il pretaccio, ben consapevole del fatto che non amo prendere soldi, chiedeva a mio nome un obolo che poi si teneva. Evito di dire cosa è uscito dalla mia bocca…
– Raffaele

Anche relazioni, se è per questo…
– Pier Paolo

Più che rotto, ho schivato «amicizie». Gente bigotta che si affida a gente furbo-bigotta.
Ma anche no… grazie. Quella non è amicizia, quella è «mi stai intorno per abbigottirmi».
Sai che c’è? Non mi serve proprio.
– Rolando

Fortunatamente no, però non sono mai diventata amica di integralisti, di credenti sì, ma ammetto che molti sono piu’ intelligenti di me. Quando studiavo a Pavia mi sono resa conto di essere finita in mezzo a un gruppo di ciellini e ho girato al largo. Ho partecipato poi all’operazione Mato Grosso, dove di fondamentalisti ce ne sono, ma a me piace distribuire dubbi e questi sembravano apprezzare.
– Erica

Sì, il marito di una mia buona amica, credente e praticante fino allo stremo, mi ha insultata quando ho detto che le azioni peggiori le ho subite da quelli che stanno sempre in chiesa a battersi il petto. Da allora anche la mia amica mi ha tolto il saluto.
– Anna

Sì, o meglio ho ridotto la frequentazione riducendola a una cordiale indifferenza. È più forte di me: non riesco a condividere nulla se sento odore di incenso. Il problema è che sembra quasi che i conoscenti credenti si sentano in dovere di condividere le loro supercazzole mentali con me, quasi per redimermi o «saggiare il terreno».
– Ivano

No, ma vivo con un po’ di sofferenza la conversione di un’amica sessantottina non bigotta, ma ri-diventata credente. Con un’altra persona, intelligente e colta ma alquanto fanatica, con cui avrei potuto creare un legame, non sono mai riuscita ad avere un rapporto di fiducia: quel suo credere è sempre stato un abisso incolmabile.
– Alessandra

Le amicizie, quelle vere, ci sono sempre. Coloro che si sono ostinati in atti di proselitismo sono rimasti «semplici conoscenti», comunque apprezzati per altre tematiche.
– Giovanni

No. Mai. Non giudico le persone per ciò in cui credono ma per ciò che sono. Mi aspetto lo stesso atteggiamento nei miei confronti e finora non ho avuto problemi.
– Maria Rosa

Non ho amici così idioti da credere.
– Matteo

Vi sono amici che hanno visioni politiche, etiche o religiose, ma ciò non inficia una vera amicizia. Importante è il rispetto per le rispettive convinzioni, senza mai cercare di prevaricare.
– Giovanni

Schivate. Non rotte, schivate. Che è meglio…
– Rolando

Più che rotto direi che mi sono allontanato volontariamente uscendo dai gruppi WhatsApp comuni, declinando inviti e non rispondendo al telefono. Non c’è bisogno di fare lo scontro finale: gli amici, a differenza dei familiari, te li puoi ancora scegliere.
Conosco questo tizio dai tempi dell’università, quindi da oltre 20 anni. I primi tempi non si pensava minimamente alla religione, ci si divertiva o si studiava assieme. Si era in sintonia.
Dopo 10 anni lo ritrovai su Facebook: lì ebbi le prime avvisaglie del suo percorso «spirituale» e decisi di «dribblare» rimpatriate e frequentazioni.
5 anni fa mi contattò casualmente su eBay per un’inserzione. Decisi quindi di fare una rimpatriata, complice la compravendita dell’oggetto. Di cosa mi parlò dopo convenevoli e domande classiche su come è andata la vita? Di religione!
Mi regalò la Bibbia e mi mostrò il manifesto della dottrina della Chiesa protestante, dicendomi come era stato importante per lui aver trovato la fede. Si disse dispiaciuto per il mio ateismo, ma io evitai la risposta acida e diretta: «Anche a me spiace che tu sia credente!».
Sapevo che sarebbe stato come infilarsi in un ginepraio, ma io sono un tipo curioso, avevo tempo libero e un hobby in comune con lui, per cui decisi di frequentarlo ancora.
Discussioni sul tema religioso ne abbiamo avute, ma più che rispondere e demolire la sua fede, che avrebbe portato a un’immediata rottura, ero interessato a capire cosa potesse spingere una persona a passare da ateo dichiarato, come era stato, lui a fedele devoto. Nel suo caso furono un lutto, i problemi familiari e le sue insicurezze a spingerlo verso la fede.
La certezza di una verità fa molta presa su menti senza sufficiente spirito critico. Avere un amico immaginario da pregare e a cui rivolgersi può servir loro da sfogo per uscire più facilmente da frustrazioni e momenti di difficoltà.
Non è stato facile sopportare la censura delle bestemmie, i proselitismi, le incoerenze tra scienza e testi sacri, l’intolleranza verso le persone lgbt e tutte le altre cose bizzarre che i cristiani fondamentalisti dovrebbero osservare.
Ma io l’ho fatto per la Scienza e ora anche per i lettori de L’Eterno Assente!
– Danilo

Rotto no, tenuti a distanza e derisi sì. È una questione di principio: non posso legare con uno che aderisce a un sistema corrotto, pericoloso, delirante, incoerente. Ho solo amici non credenti o pigramente credenti. Se conosco qualcuno e salta fuori che è credente, non entro nemmeno nel merito: lo disprezzo a priori.
Per esempio un «amico» comune, gay, ma che va in chiesa ogni domenica ed è molto credente, ma anche abbastanza zoccola (ovviamente non dichiarato): lo sfotto dicendogli che é un abominio, che Gesù disapprova e che brucerà all’inferno eccetera.
– Fux

Sì. Se sei davvero intimo non puoi passarci sopra, perché ci sono ragioni psicologiche nel continuare a credere nell’amico immaginario dopo i 7 anni. E queste ragioni malate creano dei rapporti malati.
E dico di più: dopo questa esperienza c’è un limite oltre il quale con i credenti non vado.
– Igor


Una volta lo facevo più spesso, adesso non cerco più il confronto: mi sono accorta che la controparte spesso crede di essere stata investita del compito di salvarmi l’anima.
Probabilmente la persona con la quale ne parlo di più è mio figlio di 7 anni: l’argomento lo interessa molto e già da tempo ha capito quanto ingiusta sia la sofferenza degli innocenti.
– Filo

Su questa piattaforma ho imparato a scindere le cose. Se c’è da discutere di un dio filosofico, ben venga. L’interlocutore dev’essere una persona in grado di prendere o di dare qualcosa di costruttivo. Parlarne con un credente non ha senso.
– Paolo

Sull’esistenza di Dio non mi è quasi mai capitato. Al massimo brevi parentesi in un discorso non incentrato su quello. Mi capita di non resistere quando capitano matrimoni, fra credenti e non credenti, e di tirar fuori la discussione sul perché ci si impunti sul celebrarlo in chiesa. Ho sempre considerato prendere un ateo e fargli fare una recita in cui non crede uno sminuire a semplice folklore e usanza quello che invece, per il loro credo, dovrebbe essere qualcosa di sacro. Ogni volta mi stupisco per quanto non si accorgano che stanno prendendo per il culo il loro stesso Dio.
– Luca

In passato spesso (online). Sono stato utente molto attivo e poi moderatore in un forum sull’ateismo frequentato anche da diversi credenti, e ho perso molto tempo a «confutare» l’esistenza di dio. Se c’è una cosa che ho imparato è che è appunto una perdita di tempo. E dopo la millesima volta che citi la teiera di Russell, e l’onere della prova, e la teodicea eccetera diventa abbastanza noioso. Per cui ho smesso da un po’.
– Daniele

Banalmente, come altri hanno detto, lo facevo ma non lo faccio più. I credenti credono. Punto. E per esperienza tendono a essere proprio creduloni, abbracciando omeopatia, fiori di Bach e addirittura superstizione. Non li scalfisce nulla, la scienza men che meno, seppure acculturati. It’s a no win situation.
Fortunatamente negli anni mi sono circondata di atei, per cui, sostanzialmente, non ho nemmeno bisogno di affrontare l’argomento
– Anna

Nella vita reale mi è capitato di spiegare le ragioni del mio ateismo, ma non mi capita dai tempi dell’università. Di solito queste spiegazioni erano ben accolte, raramente con un po’ di condiscendenza. Anche in rete lascio queste discussioni ad altri. Mi manca pero’ il forum per agnostici e ateisti del defunto about.com dove seguivo questo tipo di discussioni.
– Erica

Ho da tempo il desiderio di avere l’occasione di un prolungato confronto con un credente di cui io abbia stima per cultura e intelligenza, con cui affrontare argomenti religiosi in modo meno superficiale di come solitamente accade.
Il contraddittorio con persone che che stimo ma che non condividono la mia visione del mondo mi ha sempre procurato una sottile soddisfazione intellettuale.
– Ivana

Sono ateo e i motivi sono tanti, anzi troppi. Prima di tutto per una base scientifica e razionale, poi per una base logico-deduttiva, e infine lo sono per pura inconciliabilità con la mia visione della realtà. Discutere con i credenti è bello e interessante, tuttavia anche mooolto faticoso.
– Jack

Tutti i credenti che ho conosciuto finora non sono stati mai deisti, ad esempio. Sono stati tutti credenti nel Dio delle religioni abramitiche (ovviamente in maggioranza cristiani). Con quelli là a discuterci ti incazzi e basta! Meglio evitare. Ti propongono argomenti che danno già per scontata l’esistenza del loro Dio. Però, se mi capita qualche persona che ha studiato ed è acculturata, ci discuto volentieri: gli potranno entrare in testa concetti filosofici a favore dell’ateismo come il rasoio di Occam o la teiera di Russell. Non dico che necessariamente cambieranno idea, però puoi giocare a scacchi con una persona che quanto meno saprà giocare (anche se sai che potrai dargli scacco in una mossa sin dall’inizio con il problema della teodicea). Proporre argomentazioni a favore dell’ateismo, come ho detto prima, ad esempio a tua nonna, non serve a niente. Giochi a scacchi, ma giochi ad un Pigeon-Chess (https://rationalwiki.org/wiki/Pigeon_chess).
– Jakopo

Ci ho provato, ma alla fine della fiera è venuto fuori che sono «un tipo strano, quasi paranormale», quindi ho lasciato perdere. Come per l’ateismo, discutere con altre entità biologiche pseudosenzienti dell’esistenza di dio fa tremare il plinto basale della loro autodeterminazione e, non appena si supera la vibrazione armonica, scatta l’horror vacui con conseguenze facilmente immaginabili.
– Andrea

Sono iscritto ad alcuni gruppi a tema – per così dire – ma non interagisco. Leggo solo quello che tutti gli altri pubblicano, sia a favore dell’esistenza di Dio sia contro. Vedo sempre gli stessi argomenti e gli stessi disagi. Dal tomista super convinto che dice solo «ontologicamente necessario» e lo ripete almeno 800 volte al giorno, fino al più sempliciotto che continua imperterrito a postare profezie e parti della Bibbia. Poi ci sono anche i protestanti, mamma mia. Gli evangelici, ancor più mamma mia. Fino ai testimoni di Geova che sono tremendi, negano la teoria dell’evoluzione senza capirci una cippa. Infine ci sono i musulmani… e in questo caso Dio ce ne liberi! Quindi no, non è proprio il caso di fare conversazioni e parlare di Dio e di divinità varie con certe persone. Sarebbe tempo perso, buttato via. E la cosa drammatica è che ci sono certi «atei» che sono addirittura più insopportabili di taluni credenti.
– Raffaele

Sì, mi capita di farlo, ma non con i bigotti, bensì con i credenti che cercano il dialogo sul tema perché, in effetti, sono dubbiosi.
– Giovanni

L’ho fatto per tanti anni con i miei «colleghi» di Religione (ero un docente di materie scientifiche), ma ora, anche se sono sempre più convinto del mio agnosticismo, mi domando se ho fatto bene: non ho ottenuto il minimo cambiamento nei miei interlocutori e sono passato per un rompiballe. Con i «supercredenti» sono convinto sia fiato sprecato.
– Giuseppe


Sono cresciuto in una famiglia «praticante a metà», nel senso che l’educazione era anche improntata sul rispetto delle tradizioni, che non andavano messe troppo in discussione.
Dunque, inizialmente non potevo escludere la presenza di un trascendente, soprattutto perché non avevo le conoscenze necessarie per confutare tale credenza. Le cose sono cambiate verso la fine della pubertà: da qual momento ho escluso la possibilità di credere in un qualsiasi dio.
– Giovanni

Perché non riuscirei a concepire una prova? Semplice: perché, anche se scendesse in terra e lo vedesse tutto il mondo, preferirei comunque la spiegazione più probabile. Per farvi capire: darei molta più probabilità al fatto che noi fossimo in una simulazione e i programmatori abbiano deciso di farci questo brutto scherzo
– Jig

Credere in un dio? Definiamo dio.
 L’universo è dio. Il sole è dio. La scienza è dio.
 Ok, allora sì, ci credo eccome.
Un barbuto noioso, criminale e opprimente?
 No, grazie.
Inoltre succede una cosa che continuo a non capire: dio (quello barbuto) ci è imposto. Ma perché? Se è davvero così meraviglioso e magnanimo, perché ci viene imposto?
 Non ha senso.
La scienza e la conoscenza invece mi impongono il dovere del dubbio, il dovere di essere curioso, di alimentare la mia voglia di conoscere, scoprire e imparare. 
Ecco in cosa voglio credere.
– Rolando

In linea di principio no. Ma la vedo molto, molto remota come possibilità. E comunque definiamo dio. Lo scrivo perché, se incontrassimo degli alieni che hanno raggiunto almeno il grado IV della scala di Kardashev, per me, per noi sarebbero degli dei. Sinceramente questa possibilità la vedo molto meno remota che incontrare il dio abramitico.
– AB

La metto nelle cose di cui la scienza non ha risposta. Non dice che c’è, ma neanche che non c’è. Ma nulla a che vedere con il dio delle scritture.
– Paolo

Se si intende soggettivamente, purtroppo non la posso escludere: la testa mi ha giocato brutti scherzi qualche anno fa e in quel momento ho capito che ci sono punti oscuri tra gli stadi di coscienza, che non dipendono da noi,cioè non sono governabili dalla nostra volontà. Oggettivamente invece penso proprio di no. Oppure potrebbe esistere ed essere totalmente fuori dalla nostra comprensione? Però che senso avrebbe? In tutto ciò penso però che il dio delle scritture non c’entri per nulla e rimanga un’invenzione.
– Alessandra

Per rispondere alla domanda bisognerebbe spiegare che cosa si intende per «credere». Se, come presumo, si intende fidarsi di quello che dicono i preti a proposito di dio e di ciò che riguarda la Bibbia, mi pare proprio che non riuscirò mai a crederci: si tratterebbe pur sempre del racconto di un racconto, scritto chissà da chi e con quali fini e doppi sensi secoli fa, composto di storie selezionate fra mille altre.
Se invece la domanda è «Credi in un generico dio?», bisognerebbe allora definire che cosa è un dio. Assunto anche qui che una divinità sia qualcosa di superiore a noi, più o meno sfuggevole, con poteri speciali e dotato di una propria coscienza e volontà… beh, in 38 anni non ho mai neanche pensato a un soggetto come questo.
Metaforicamente potrei semmai dire che sono il dio di me stesso, nel senso che ho un’immagine di me che sicuramente non corrisponde a quella che hanno gli altri e, siccome ho sempre creduto in me – o, meglio, nell’immagine che ho di me –, solo in questo senso potrei confessare di credere in dio.
– Nicola

Così di sana pianta sì, se per credere oltretutto si intende assumere per vero qualcosa di indimostrato. Tra l’altro l’uomo ha inventato oltre 3’000 divinità: a quale dovrei credere? Fintanto poi che per ogni divinità sono previste «cerimonie» di omaggio, ringraziamenti, preghiere, suppliche per ottenere chissà quale vantaggio in questa vita o in una ipotetica post mortem, direi che siamo lontani dalla mia concezione dell’esistenza, dalle conoscenze scientifiche acquisite e da ogni possibilità, e quindi non se ne parla. Tuttavia, se domani la scienza dovesse dimostrare che la creazione dell’universo, delle sue leggi e tutto ciò che ne consegue è opera di una qualche divinità che magari si è palesata anche in maniera inoppugnabile, beh, sarei pronto a rivedere le mie posizioni e accettare ciò che è stato provato essere, così come si deve fare, scientificamente parlando, davanti a nuove evidenze che sovrastano le conoscenze acquisite fino a quel momento.
– Luke

Non lo posso escludere. Al momento lo credo improbabile. Più improbabile che vincere al Superenalotto. Per questo una giocata alla settimana la faccio: non si sa mai!
– Giovanni

Non posso escludere di poter iniziare a credere in un dio.
Posso escludere di iniziare ad avere fede in un dio.
Per me sono due aspetti molto diversi.
Così come posso credere nell’esistenza della materia oscura senza averne, per ora, una prova e/o una dimostrazione diretta, non posso avere fede nella materia oscura.
– Massimiliano

L’uso della parola «credere» nella domanda mi porta a escludere che questo possa avvenire. Se «credere» significa pensare che dio esista anche senza avere alcuna prova, allora no, non succederà mai. Sulla base delle mie conoscenze però non posso escludere che un dio esista e quindi sono disposto a riconoscerne l’esistenza se dovessimo trovare delle prove in tal senso. Ma non posso credere a priori che dio esista, come non posso credere che non esista.
– Giulio

No, non posso, come non posso escludere di poter credere all’esistenza di vita aliena nel momento in cui la scienza razionale mi dimostrasse che esiste. Il giorno in cui, o per mezzo del metodo scientifico o per palesazione diretta – tipo che viene a casa mia, si siede a prendere uno spritz e mi spiega cosa è andato storto quando l’upload di intelligenza e razionalità si è fermato al 5% lasciando al BSOD il resto dell’umanità –, crederò nella sua esistenza. Baci baci
– Andrea

Due problemi.
1. «Credere»: da quando avevo 13 anni ho scoperto che credere senza nessuna evidenza, avere fede, non fa per me. E non vedo perché dovrebbe essere un valore.
2. Il divino: ha una definizione così vaga e assurda. In cosa alla fine uno dovrebbe credere?
Sì, a meno di cambiamenti radicali della mia personalità, escludo di diventare credente.
– Erica

Escludo la possibilità di iniziare a credere in Dio rimanendo in pieno possesso delle mie facoltà mentali.
– Daniele

In estrema sintesi: sono agnostico/ateo.
Sono agnostico perché tutto è possibile e certamente non so se esista o meno un dio. Penso che, se esistesse, non sarebbe quello delle tre follie abramitiche perché sarebbe insensato.
Poiché non so se dio esista ma nessuno ha mai provato che esista davvero (agnostico), mi comporto di conseguenza (ateo).
In attesa che qualcuno mi porti le prove scientifiche dell’esistenza di dio…
– Mario

Sì, assolutamente. Come posso escludere di iniziare a credere agli unicorni, ai folletti, alle streghe e a tutti gli altri personaggi di fantasia.
A meno che non impazzisco. Solo privata della mia ragione potrei credere in qualcosa che non esiste.
– Anna

Sì, lo escludo assolutamente. Il mio ateismo è la conseguenza logica del mio percorso filosofico e scientifico, è un punto di arrivo. Negarlo significherebbe cancellare dalla mia mente tutte le conoscenze e i ragionamenti che ho fatto finora, cosa che è ovviamente impossibile e insensata.
– Barbara

No non lo escludo, però ho paura di credere in Dio. Se razionalmente l’omino barbuto che aleggia sulle acque minerali e frizzanti è un prodotto della fantasia, e quindi lì resta confinato, a livello di percezione e a livello culturale le cose cambiano. Come tutti, sono stato avvicinato alla religione fin da bambino, e ciò che si apprende a una certa età viene percepito in maniera sicuramente diversa da quello che si apprende in età più adulta. Ora tutto sommato questa schizofrenia di questo essere barbuto che desumevo dalla lettura della Bibbia – e sì, anche da piccolo io l’ho letta –, che contrastava con i racconti di bontà offerti su un piatto d’argento dai sacerdoti sapienti, mi ha colpito molto. E nella mente di fanciullo questa dicotomia è esplosa. Il signore barbuto è in parte diventato il mostro che ogni bambino ha sotto il letto. Dormivo con le luci accese perchè avevo paura del mostro, che era Dio. Invocavo Gesù di salvarmi… e lui mi rispondeva! Crescendo, ho imparato invece a essere più razionale e ad approcciarmi alla realtà in maniera più consapevole. Il Dio barbuto è andato nel posto che merita, insieme a Babbo Natale, alla fatina dei denti, agli gnomi, ai licantropi e all’altro personagio orribile che tanto ha devastato i miei sogni di adolescente: il lupo mannaro. Ecco, quindi per me può restare benissimo dov’è. di contro ho un brutto rapporto con la morte, odio dover pensare che un giorno non ci sarò più. Io sono curioso, vorrei proprio vedere e sapere come finisce il mondo. E vorrei anche sapere se esistono gli alieni e se hanno il raggio della morte. Quindi la voglia di aggrapparsi a una speranza di vita eterna è molto forte, tanto da spingere chiunque verso un «Credo, tanto cosa mi costa?». Una specie di coperta di Linus, che però a me spaventa a priori.
– Raffaele

Avendo fatto il passaggio inverso, da credente a serenamente ateo, escludo di ritornare credente, men che meno in un dio codificato in un dogma delle religioni. L’idea di un dio che ha creato e poi ha smesso di interagire con l’universo piace agli agnostici, ma a quel punto è come credere in una fluttuazione del vuoto quantistico. Delle due preferisco la seconda.
– Stefano

Non posso escludere nulla, ma le probabilità sono pari a una vincita al Superenalotto. Ovviamente mi riferisco agli dei del cattolicesimo e a tutta la gente di cui si parla nella Bibbia.
– Maria Rosa

Lo escludo totalmente. Salvo ovviamente per un rincoglionimento senile. Quando impari a usare la logica e a capire la fisica e la chimica difficilmente ti fai circuire da un dogma. Che poi per me credere è totalmente inutile: se una cosa è vera non è fede, è constatazione. Se debbo crederci è perché non è vera.
– Gluigi

Sono stata credente, e probabilmente nemmeno da credente credevo davvero.
Quindi sì, penso di poter escludere la possibilità di tornare a credere nel dio abramitico.
– Filo

Dopo una certa eta è difficile escludere qualsiasi cosa, a parte la morte, ovviamente. Diciamo statisticamente poco probabile.
– Francesca

La escludo totalmente:
Primo io non credo, penso e so che non esiste.
Secondo non posso e non potrò mai credere qualcosa che penso non esista.
Terzo non solo lo penso, ne ho tutte le evidenze della sua non (o mancate evidenze della sua) esistenza, che hai spiegato benissimo anche tu, centinaia di volte.
Poi vorrei precisare che mi rendo conto che qualcuno possa immaginarlo e crederlo vero ma scindere il reale dall’immaginario è una, minima, mia capacità che posseggo e che non penso la perderò in futuro.
Tra l’altro non riesco a concepirne l’utilità, per me intendo, che ho ben presente che i pensieri, i concetti, le idee e quant’altro il nostro cervello possa elaborare si disperderanno con il disfacimento del mio corpo dopo la mia morte.
L’unico posto in cui posso rimanere dopo è nella mente e nei ricordi di chi mi conosceva oppure nella storia delle opere e negli scritti che ho realizzato sempre che non si perdano con me.
Quindi no!
Non c’è modo di credere in dio!
– Giancarlo

Certo che potrei credere! Se ad una data ed ora da me stabilita facesse terminare guerre, disastri naturali, malattie, sfruttamenti ecc. ecc. potrei anche cominciare a crederci. Non lo adorerei comunque perché a quel punto saprei che poteva farlo da subito e non lo ha fatto.
– Donato

Sono venuta in contatto con molte idee di dio diverse. Sono sempre stata curiosa, era un passione, che peraltro non ho potuto coltivare come si deve. Per approfondire come si deve bisognerebbe essere ricchi e avere tanto tempo. Non so quanti comparatisti ci siano al mondo ma non riesco ad immaginare che ci siano molto posti di lavoro retribuiti per ciò. Comunque ho pensato che se avessi puntato a una cosa del genere sarei rimasta disoccupata. Oddio, poi ci sono rimasta lo stesso. Sono lì, i dìi, se non tutti, comunque molti, sullo scaffale come di un supermercato. Ce ne sono di simpatici, altri meno, altri proprio antipatici, qualcuno più fascinoso, qualcuno un poco meno, tutti con le loro percentuali di improbabilità. Il fatto è che non ce ne è uno che non abbia dei difetti, quindi bisognerebbe riuscire a individuare e accontentarsi di quello meno peggio, i cui difetti ti risultino più accettabili. Oppure, ecco, uno ne potrebbe prendere due o tre, o anche di più, e cambiarli come i vestiti, quello per la notte, quello per andare sulla neve, quello per fare il bagno al mare, quello da ufficio. Dopo tutto sono tutti abbastanza specializzati: non so, se sei in una brutta situazione e devi liberarti da un mitzraim puoi usare Yahveh, se invece devi mettere a cuccia qualche prevaricatore è più specializzato Allah, se vuoi fare del buon sesso allora Shiva, se hai insoddisfazioni matrimoniali Krishna, se hai un genitore oppressivo per un certo periodo potrebbe andar bene Vishnu.
Ma quello che è curioso soprattutto è osservare la mente. La mente che si illude, si infatua, si innamora, la mente opportunista, la mente prostituta, la mente che si deprime, la mente che si esalta, le proiezioni della mente davanti alla divinità-Rorschach, l’autoinganno. La mente che cerca compensazioni o lenimenti, emozioni o affetti, oppure sensi, la mente turbata che cerca rifugio, ma soprattutto la mente che non fa altro che cercare costantemente di alimentare l’ego, il quale tende sempre per sua natura a una certa ipertrofia. L’unico vero dio che tutti adorano si chiama ego. Perché andarsene a cercare un altro?
Ora ciò che viene chiamato dio, ma che preferisco chiamare «la divinità», è per me una qualità che si attribuisce a qualcosa, a un fenomeno o a un’idea, poco importa se abbia caratteristiche di esistenza oppure di più o meno alta improbabilità, oppure di non esistenza, proprio catullianamente «ille mi par esse deo videtur», egli, o ciò, appare a me simile a un dio; lui, o lei, l’amante al centro dell’attenzione del quale si vorrebbe essere.
L’essere perfettissimo onnisciente e onnipotente potrebbe essere dio per me? D’accordo, la sua esistenza è confutabilissima, anzi sicuramente si potrà smontare razionalmente e se ne potrà dichiarare con certezza l’inesistenza, ma facendo finta per un attimo che esistesse, facendo «come se». No, non arrivo a tanto, non arrivo a impiegare logica e razionalità, quelle le userò dopo, come strumento per corredare una decisione già presa: un dio così mi sta sul cazzo subito, tanto per cominciare perché non ha bisogno di me, poi probabilmente è anche un grande rompicoglioni. Certamente potrebbe servirmi la vita su un piatto d’argento, senza nemmeno una pecca: solo che mi domando perché dovrebbe farlo. Perché qualcuno, chiunque sia, solo perché può, dovrebbe servirmi la vita su un piatto d’argento? Dovrei chiamarlo Ambrogio, un dio maggiordomo. E così per tutti, non ce n’è uno che in vita mi sia andato bene. Sono troppo cangiante per nominarmi un dio. Ma, siccome c’è un dio per ogni stagione, forse quando morirò a quel mare calmo in cui mi dissolverò nonostante tutto, nonostante ogni dolore e ogni delusione, non so se magari attribuirò una qualche qualità di divinità per me in quel momento.
Per ora non ha funzionato nemmeno il nadevo devam arcayet (nessuno che non sia egli stesso un dio può adorare un dio), nè il «sono una provvisoria declinazione di Shiva» e nemmeno aham brahmasmi (io sono «quello»). Su questo fronte, infatti, ho un problema con la «coscienza», in quanto ritengo che starei alla divinità panteista (cioè coincidente con l’universo là dove io dovrei rappresentare il suo elemento coscienza) come l’unghia incarnita del mio piede (della cui crescita non sono cosciente se non la vedo se non solo quando mi fa male perché si incarnisce, cosa che dimostra a sua volta la sua scarsa coscienza di me).
Ma sono i pensieri, anche l’ultimo pensiero, come tutti i pensieri, pensieri come bolle di sapone, lampi, nuvole, battiti d’ali di farfalla, soffi di vento, sfrecciano, e come sono venuti se ne vanno, salvo che non si creda di credervi.
Il punto non è tanto credere o meno in un dio: il punto cruciale è credere nei propri pensieri.
A parte le curiostà (sono sempre curiosa di capire i pensieri sui dìi) che mi portano a volte ancora a interessarmi di qualche religione (da un po’ sono in fissa di capirci qualcosa nell’ebraismo: è una sfida perché è per me la religione più incomprensibile), non di quelle che vorrei perché per quelle occorre un impianto di studi che non ho il tempo di fare anche se li avevo iniziati, se non è per questo motivo sono quasi 20 anni che la parola dio non attraversa la mia vita personale.
Per un certo e anche lungo periodo ho frequentato l’ambiente buddhista (lo faccio ancora, limitatamente): nessuno parla di dio, nessuno ti domanda se credi in dio o no, nessuno proprio ci pensa, se capita che un neo-curioso lo nomini si fa un silenzio assordante. E ci si chiede dunque: perché domandarsi se ci si crede o no, e perché, e chi dimostra cosa se dimostra, quando si può fare totalmente a meno anche di porsi qualunque questione e che si presenti il pensiero? Insomma, perché credere o non credere, se si può proprio fare a meno di pensarci? Perché questa costrizione di costruirsi una identità, per affermazione o per negazione, intorno a questa cosa? Mica è così importante (a prescindere da ciò ai buddhisti le «identità» piacciono poco). Perché rimanere prigionieri del dualismo e non accedere a una terza possibilità?
Non sapevo ancora se e cosa mi sarebbe piaciuto o meno di questo darshana (nè lo conosco abbastanza ancora e ho tutte le risposte che mi necessitano per dirlo), ma ho sfruttato a piene mani questo interesse per togliermi dai coglioni un sacco di gente con il minimo sforzo e il massimo risultato semplicemente dicendo: sono buddhista. Dal testimone di Geova al prete, al fanatico proselitista di qualsiasi genere. Ed è bellissimo vederli non sapere più che cazzo dire, come agganciarti, come entrare in discussione, quale fra le frasette a effetto stile «tu hai un anima e non lo sai» o altre sfornare.
È bellissimo, soprattutto, non albergare tutte queste questioni: una pace infinita.
Non durerà, perché i missionari rompicoglioni ci hanno già provato altrove a dire ai buddhisti: tu non lo sai ma in realtà credi in dio (di volta in volta si inventano che questo è dio, o quello è dio perché non riescono a capirci una mazza), tanto che a massima protezione W. Rahula ha fatto mettere una sintetica dichiarazione di ateismo nella formula unitaria del concilio mondiale buddhista del ’67, secca così: noi non crediamo che il mondo sia stato creato e sia governato da un dio a suo piacimento.
Non si sarebbe dovuto perché la natura è alfateista e non atea, che sono due atteggiamenti diversi, ma, siccome qualcuno provava a sovrascrivere persino il buddhadharma dopo secoli di apofasia, si è dovuto definire in tal senso.
In conclusione sì. Escludo.
Della mia vita precedente non saprei più dire troppo di cosa sia successo, c’è stata un po’ di confusione: ho ricordi vaghi di cose lontane. A 15 anni sono finita a catechismo per la cresima, i due anni necessari, e poi ho dato disdetta una settimana prima.
– Patrizia

Mi ritengo agnostico e aborro tutte le religioni, certamente non potrei credere mai nel Dio Abramitico. Potrei, molto tiepidamente, credere nel Deus sive natura di Spinoza e allora sarei panteista, ma se un giorno mi accorgessi di parlare con Gesù… sarei Claudia Koll!
– Luca


Ormai nessuna. So come rispondere.
– Marco

Le statistiche, i sondaggi, le classifiche!
– Luciano Germano

Mmm… sinceramente da credenti non ne ho mai avuta nessuna. La conclusione a cui si è sempre giunti – quando ho chiesto qualcosa di tangibile, una prova appunto della loro fede – è stato sempre qualcosa di simile a «Non posso provare niente, probabilmente è una cazzata, ma ci credo ugualmente, la scienza non prova tutto, tu non puoi capire perché non hai fede», e avanti coi tarallucci.
– Luke

Rimanendo prettamente sul piano razionale, la prova ontologica. Poi ho letto Kant. Ma certo è un argomento forte, sebbene, a mio avviso, potrebbe avere validità solo per il predicato dell’esistenza e non possa dimostrare altri attributi divini: quindi è limitata a un dio magari esistente ma non necessariamente agente.
Inattaccabile invece la prova data dalla fede del credente, la cito in quanto virgoletti il termine prova e quindi credo tu ipotizzi di considerare anche le prove non razionali. Ecco, in questo caso nulla si può dire: la convinzione interiore che non fa riferimento né all’empirismo né alla logica non è confutabile, ma – e questo passaggio il credente non lo accetta – neppure può essere considerata verità condivisa.
– Pietro

Le prove teologiche mi hanno sempre deluso perché non provavano niente, bensì rimandavano una dimostrazione di dio a postulati e assiomi, quindi erano in fondo tautologie. Delusione cocente anche per Spinoza che usa questo metodo implicito e infatti Spinoza penso che usi la dimostrazione come «copertura» del suo ateismo. Quando ero credente sapevo che potevo credere solo per fede e non per ratio, poi l’evidenza della non esistenza ha prevalso anche su quella fede che si ostinava a rimanere cieca.
– Fabrizio

La questione dell’anima, dello spirito umano. «In principio era il verbo (logos)»: questo dà da pensare.
– Franca

Senza voler apparire supponente, nessuna! Mi sento «seguace» del materialismo, dunque mi piacciono le favole perché danno la possibilità di ragionare, ma son pur sempre solo favole.
– Giovanni

Prove in senso strettamente deduttivo non ce ne sono, ma solo argomentazioni. Un tempo – confesso – l’argomento ontologico di Anselmo d’Aosta mi aveva fatto riflettere, ma poi ho superato ampiamente la questione sulla base del fatto che questo argomento da un lato «prova troppo» e quindi non prova niente e dall’altro è comunque fallace perché dimostra la non necessità di Dio quando invece vuole esprimere proprio il cosiddetto principio di necessità
– Pietro

Non me ne viene in mente nessuna che mi abbia messo in difficoltà. Al massimo è difficile far capire al credente che anche se non si può dimostrare la non esistenza di qualcosa/qualcuno ciò non vuol dire che esiste.
– Anna Angie

Stamattina cercavo la risposta da scrivere, ma i commenti sopra hanno già detto. Fede e prova nella stessa frase non possono coesistere.
– Paolo

Diciamo che tutte le «prove» mettono in difficoltà, ma alla fine non sono mai queste «prove» che creano dubbi, ma il ragionamento assurdo che viene proposto per far sì che le «prove» diventino prove. Ragionamenti che non sono scardinabili, in quanto non viene proprio accettato un qualcosa di logico. O, meglio, la logica viene assolutamente travolta, rigirata, mistificata per arrivare alla prova definitiva. E non c’è verso di far capire come quel ragionamento sia del tutto e assolutamente sbagliato. Faccio due esempi per far capire ciò che dico. I racconti dei Vangeli sono veri? La risposta è sì perché: «Sono le donne che scoprono il sepolcro vuoto, a quei tempi le donne non contavano niente, quindi è ovvio che viene raccontata la verità». Oppure il Vangelo racconta il vero perché: «Ti sembra normale che Pietro e i martiri si siano sacrificati, fino a morire, per qualcosa di falso?». E via di questo passo.
– Raffaele

Una «prova teologica» per me non è prova. Pretendo prove scientifiche.
– Izabela

Io penso dunque sono e qualcun* mi deve aver creata per forza. Spaghetta volanta docent.
– Ambra

L’argomentazione più difficile da smontare, non perché provi qualcosa ma perché parecchio sofisticata e astrusa, è il teorema della creazione del filosofo Bontadini, il maestro di Severino. In estrema sintesi, tale «prova» parte da due premesse fondamentali:
l’esistenza del divenire (inteso come il non esserci più di un dato ente), attestata dall’esperienza, e
la razionalità (intesa come non contraddittorietà) del reale, affermata dalla ragione, sulla base del principio di non contraddizione.
Il problema che si verrebbe a creare e che secondo Bontadini può essere risolto solo ammettendo un creatore atemporale e indivenibile è che il divenire, pur essendo reale, appare contraddittorio perché implica il non esserci più, l’annullamento di un dato essere: ad esempio questo bicchiere che ho davanti a me, un ente specifico, che, una volta rotto, non è più come prima, non è più il bicchiere, e quindi l’ente specifico di prima.
In che modo Dio risolverebbe il problema della parvenza contraddittoria del divenire? Creando o annullando gli enti. Il nuovo implicato dal divenire sarebbe posto da Dio, mentre ciò che non è più sarebbe annullato dall’atto di Dio. Severino, il suo allievo, che non era credente, «risolverà» invece il «problema» postulando l’eternità di tutti gli enti (il bicchiere, i cocci del bicchiere, la carta, la cenere eccetera).
Che dire? Il tema filosofico è interessante e ci ho anche scritto un articolo, ma la soluzione di Bontadini non convince perché un Dio che crea e annulla gli enti ripropone esattamente le stesse problematiche che Bontadini individuava nel divenire. Ammetto però che questa argomentazione é originale rispetto alle altre. Infatti è la più recente: risale agli Anni ’60.
– Mattia

A 16 anni mi aveva messo in difficoltà un sacco quella della causa incausata, poi è arrivato Julian Baggini, me l’ha smontata in poche righe e mi sono detta: «Certo che sono stata proprio pirla». Baggini in questo è fantastico. Aveva scritto: «Questa è una delle pagine più tristi della filosofia. O tutto ha sempre bisogno di una causa, e allora anche Dio; o no, e allora l’universo non ne ha bisogno». Lapidario, ma vero.
– Silvia

Non credo che mi sia mai successo di subire dei tentativi di conversione utilizzando argomenti teologici particolari. Forse anni fa da alcuni testimoni di Geova. Mi è capitato però di sentirmi spesso dire da cattolici che dovrei aprire il mio cuore a dio – quindi l’argomento è: non lo stai facendo – e, alla fine, che la fede è un dono che non tutti hanno, per giustificare il mio ateismo. Mi sono trovato in difficoltà però quando qualcuno mi ha raccontato della sua conversione, di aver visto Gesù o di aver visto il suo volto nel volto del povero. E parlo di persone con cui ho condiviso esperienze umane anche forti. Magari non sono proprio argomenti teologici, però di fronte a racconti del genere non so come pormi. Ascolto e basta. Lo dico con tutta l’umanità possibile. Faccio solo una considerazione: in una comunità cattolica, ad esempio, la fede più che attraverso prove teologiche si concretizza con il condizionamento di un gruppo sociale fortemente caratterizzato (luoghi di incontro, attività, rituali, parole d’ordine eccetera).
– Frank


Dipende cosa si intende per dio. Ogni religione gli attribuisce caratteristiche simili, ma diverse per molti aspetti. Quindi non potrei accettare qualcosa che rispetti il suo ritratto proposto da una delle religioni, ma qualcosa che sia al di sopra di tutto. Per cui l’unica caratteristica che potrebbe accomunare ogni interpretazione e che forse è comune a ogni dottrina sarebbe quella di dimostrare di essere il creatore di tutto. Per cui cosa potremmo chiedergli? Di creare un altro universo? Di fermare il Sole o la Terra senza alterare le leggi fisiche che conosciamo? Di portarmi su un pianeta a migliaia di anni-luce e riportarmi a casa in giornata come se si fosse andati a fare un picnic? Penso che alla fine non ci sia nulla che possa provarmi in modo inoppugnabile che esista un dio che abbia creato l’universo.
– Luke

Io vivo la mia vita senza bisogno di dio, per cui direi che non ho bisogno di nessuna prova.
Se domani mi si materializzasse accanto un vecchietto dalla lunga barba che compie miracoli davanti ai miei occhi, non sentirei alcun bisogno di chiedergli nulla, tantomeno per me. Lo troverei egoistico e avvilente pregarlo di darmi qualcosa, come dei soldi, ad esempio, così come non prego chi è più ricco di me.
Semmai gli chiederei conto dell’Olocausto e del male nel mondo.
– Ivan

Ci sono talmente tante evidenze che le narrazioni di Dio contraddicono la logica, la fisica, le scienze naturali che una prova dell’esistenza di qualcosa che si potesse chiamare Dio dovrebbe stravolgere l’ordine stesso di tali princìpi fisici e anche della logica. Trasformerebbe la realtà in un altro universo diverso da quello che conosciamo, quindi per definizione tale Dio non esiste in questo universo. Fine della dimostrazione.
– Fabrizio

Il punto è che non mi frega niente dell’esistenza di Dio.
Che esista o non esista non ha influenza sulla mia vita, sulla vita dell’uomo, sulla storia dell’uomo e sull’esistenza tutta.
Quindi non ho bisogno di prove che esista o meno. Al massimo posso chiedere che si sottoponga al giudizio per i suoi innumerevoli e presunti reati.
– Massimiliano

Io una prova gliela chiederei: far comprendere ai credenti la logica. Ma appare evidente che è un potere impossibile anche per un dio.
– Gluigi

Penso che l’universo stesso sia senziente. Quindi l’universo è Dio e io ne faccio parte. Di qui il mio agnosticismo.
– Franca

Se scende a presentarsi.
– Riccardo

Non esiste alcuna possibilità che, al momento, si possa presentare una prova dell’esistenza del dio come raffigurato nelle diverse religioni. La scienza dell’immensamente piccolo quanto quella degli spazi immensi portano a risposte inerenti la chimica, la fisica, la materia. In nessun caso si può raffigurare una divinità dalla fattispecie umana che determina la fede e al limite le leggi morali. Non esiste la parola dio, esiste forse la particella di dio intesa come archè di tutta la materia. Dio è stato utilissimo per regolare le società antiche, un mito come tanti per tramandare usi e rettitudine sociale. È bastata la filosofia a spazzarlo via, figuriamoci se una «prova» possa essere possibile. Per completezza, la parola «prova» ha nella radice 3 termini precisi: sperimentare, investigare, tentare (dal dizionario etimologico). Nessuna di queste radici porta a dio.
– Manuela

Se facesse veri miracoli, non come quelli di Lourdes. Se rimettesse gli arti agli storpi, ridesse la vista ai ciechi e desse desse la forza di non farsi sopraffare ai deboli. E se impedisse che l’uomo muoia a causa di terremoti e altri eventi naturali. Insomma, miracoli veri che proverebbero inconfutabilmente che una mente intelligente governa il mondo. E se poi parlasse pure direttamente con noi sarebbe il massimo. Ecco cosa mi convincerebbe dell’esistenza di Dio.
– Basilio

Il momento in cui identifico dio in un’entità X, non è più dio ma X.
– Paolo

Che fossimo tutti sani, belli, fortunati, con le stesse chance dalla nascita eccetera.
– Antonello

Quale dio o divinità? Di che cosa parliamo? Di una possibile entità che magari starnutendo ha fatto tutto questo e lui addirittura pensa di aver fatto un casino e quindi sta cercando di pulire il danno con la scottex, oppure del dio chiamato Dio? O di qualsiasi altra divinità? Se parliamo di un’entità astratta che non pensa a noi, che starnutisce e fa cose, che fa parte di tutto e di niente… beh, non credo ci sia una risposta definitiva. In pratica tutto e niente, e comunque per quel che mi riguarda la sua presenza o la sua assenza non mi turba né mi esalta. Un po’ come la presenza della galassia Unar 125: se c’è o non c’è è uguale, almeno per me. Se parliamo invece di una delle migliaia di divinità, spiriti, soffi vitali, anima karmosa e via discorrendo, beh, che si palesi: un dio non dovrebbe aver difficoltà a spiegare se stesso..
– Raffaele

Se apparisse al Mondo e mi rendesse così potente da sottometterlo al mio volere in quanto Suo rappresentante Assoluto.
– Giovanni

Comunismo di lusso, automatizzato e mondiale a partire da ora.
– Magno

Una dichiarazione di autocertificazione.
– Giovanni

Tutte le statue del mondo che ballano il tip tap contemporaneamente e nelle piazze delle città.
Quindi un evento assurdo e fuori natura.
– Sandro

Mmm… credo le stesse prove che ci convincono dell esistenza di tutto quello che i nostri sensi non percepiscono, come i microrganismi e le particelle subatomiche. Quindi studi condotti in peer review e alla fine una prova che ci consenta se non di vederlo direttamente almeno di poterlo percepire in modo indiretto, con una strumentazione adeguata (senza il microscopio non vedremmo alcuni microrganismi: in questo senso, intendo).
– Anna Angie

Che si mostrasse contemporaneamente a tutti gli uomini di questo pianeta, magari uscendo dalle nuvole e parlando, comunicandoci le sue volontà.
– Mario

Dovrebbe saperlo lui. Onestamente non mi viene in mente nulla di convincente.
– Robert

Che l’essere umano smettesse di colpo di mangiare e sottomettere gli animali, che sparissero la tristezza e la solitudine dal cuore della gente e che Dio fosse davvero benevolo o amorevole con tutti i suoi figli.
E anche un unicorno volante non guasterebbe.
– Marzia

Se si manifestasse inconfutabilmente potrei crederci. Intendo vederlo, toccarlo, conoscerlo, parlarci.
– Alessandra

Foto.
– Massimo

Se, dopo aver pregato incessantemente per una settimana, in diretta mondovisione, davanti alla basilica di San Pietro, a Bebe Vio ricrescessero gambe e braccia, e intendo dire le sue gambe e le sue braccia, allora cominciamo a parlare di miracoli. Altrimenti vale la frase di Emile Zola a Lourdes davanti agli ex voto: vedo molte stampelle, ma neanche una gamba di legno.
– Giuseppe

Prima bisognerebbe definire dio.
– Erica

Di che tipo di Dio?
– Donato

Dio esiste!
Altrimenti a che serve mangiare spaghetti e bere birra?
Oh, non fate scherzi, eh… capito?
– Rolando

Se arrivasse un essere che mi dimostrasse di essere in grado di manipolare a suo piacimento il tempo e lo spazio a tutti i livelli (dal mondo subatomico a quello galattico) e che spiegasse a livello matematico e fisico che cosa sono la materia oscura e l’energia oscura, per me sarebbe paragonabile a un dio.
Se poi riuscisse a manipolare interi universi fino a farli nascere e morire sarebbe proprio la definizione di dio stesso.
In quel caso sì, crederei nella sua esistenza, visto che me lo avrebbe dimostrato.
– AB

A mio parere nessuna. Le religioni e quindi dio (o gli dei) sono il catalizzatore delle nostre paure. Servono a imbrigliarle e a tenerle a bada. Forse se tutte le paure e le angosce sparissero dall’uomo. Ma a quel punto l’uomo diventerebbe dio.
– Paolo

Che fossimo tutti ugualmente belli, intelligenti, buoni, sani, con le stesse opportunità, anche se con forme diverse!
Che non ci fossero più malattie e catastrofi naturali e competizione fra gli esseri viventi!
Soltanto in tal caso si potrebbe parlare di un Dio buono e giusto!
– Antonello

Ma poi, voglio dire… sei onnipotente, onnisciente, onnipresente, onni-tutto-quello-che-ti-pare e non ti prendi la briga di farti un giro, di dimostrare a questi quattro cialtroni che sei lì, che esisti, che ami tutti indistintamente e immensamente… e lasci che si azzuffino intorno a cose tue e tu zitto. Lasci che si rubi e che si ammazzi in nome di dio.
Quindi, se esistessi e facessi cessare azzuffamenti e furberie nel tuo nome, sarebbe una gran bella cosa. E infatti non esisti.
– Rolando

Una prova «razionale». Ma prima è necessario porre la domanda in modo razionale definendo «dio» ed «esistenza».
Spoiler: è molto più difficile definire la seconda e quando ci si prova si scopre che non c’è posto per la prima.
– Gigi

Ci sono già numerose prove dell’esistenza di Dio. Vi consiglio di leggere «The Gospel of the Flying Spaghetti Monster» e tutti/e voi vi convertirete.
– Ambra

Se Dio fosse padre avrebbe, come ogni padre, il dovere di manifestarsi a noi sue creature. Siccome Dio è una mera credenza fatta a nostra immagine e somiglianza, allora ci aspettiamo prove. Il che è semplicemente assurdo: aspettarsi prove rispetto a una propria fantasia è di un egocentrismo cognitivo rigido e assoluto.
– Patrizio


No, riconosco solo che l’unico metodo che abbiamo per indagare la realtà è il metodo scientifico.
– Anna Angie

Nell’informatica.
– Massimiliano

Non ho capito la domanda.
– Pier Paolo

Nei puffi…
– Andrea

In realtà ragionando sul piccolo e considerando la definizione generica di fede come «credenza piena e fiduciosa che procede da intima convinzione o si fonda sull’autorità altrui più che su prove positive» ci vorrebbero mesi a elencarle. Si potrebbe andare dalla convinzione di fedeltà del partner al fatto che veramente il caffè di tre minuti fa fosse Vergnano solo perché stava scritto sulla tazzina. Nella vita prendiamo per buone e siamo convinti di innumerevoli cose di cui in realtà non abbiamo prove o di cui non abbiamo le competenze per verificarne la veridicità. Della maggior parte di queste ovviamente non ci frega nulla di verificarle e non ha alcun senso metterle in dubbio, ma naturalmente siamo continuamente portati a credere a informazioni che ci vengono date dall’esterno se consideriamo attendibile la fonte o verosimile l’informazione.
– Luca

Dire «Nel nichilismo» è un ossimoro, vero?
– Fux

Quando sono al bagno… sulla tazza…
– Giovanni

Che la Roma vinca lo scudetto, che la crema tolga finalmente le rughe e che l’umanità inventerà la cioccolata dimagrante.
– Manuela

Risposta lunga: no.
– Pasquale

Mmm… direi di no. Anche se a volte devo sforzarmi di ragionare in modo controintuitivo per non sfidare la mia dissonanza cognitiva. Epperò… se dobbiamo dirla tutta, forse è vero il contrario: stabilito che non sono in grado, non ho le conoscenze, le competenze e forse nemmeno l’intelligenza per poter verificare le principali teorie o dimostrazioni nei campi della fisica, della medicina e della scienza in generale, direi che sono giocoforza obbligato a credere per fiducia a tutto ciò che gli scienziati ci dicono. Quindi sostanzialmente è un atto di fede.
– Luke

Nel principio di non aggressione, nella libertà, anche se non lo definirei proprio un atto di fede, più che altro una scelta razionale.
– Stefano

Fede! Fiducia! Di chi, io ho fede solo nella morte, l’unico dogma.
– Ester

Beh, in realtà noi spesso crediamo in molte cose – non parlo di cose surreali –, ma spesso diamo la fiducia anche nelle cose quotidiane senza avere qualche dubbio.
Esempio pratico: nessuno, per quanto io ne sappia, sa oppure dubita che il proprio appartamento sia stabile, o che i propri elettrodomestici acquistati da poco possano essere difettose o fatali, o che la propria auto presa dalla concessionaria non abbia un pezzo tanto difettato da causare un incidente.
Insomma, spesso diamo per scontato che credere sia relativamente conciliabile con la religione.
Però è un punto sul quale spesso io stesso rifletto.
– Gio

Cerco di non credere a niente per fede: per me fede significa sottomissione, e io non voglio sottomettere la mia mente a niente. Se per «fede» si intende una credenza senza prove, ci sono sicuramente delle cose a cui posso credere senza prove: per esempio il fatto che il mondo in cui vivo è reale e non una simulazione. Ma la «fede» per me è di più che credere a qualcosa senza prove: è sottomettersi a quell’idea, è inginocchiarsi, è pregarvi, è chiedere compassione, aiuto, per pietà, che siamo povere anime. Della serie: pulisciti bene il culo, ché poi quando te lo lecco è un casino. Io non mi voglio sottomettere a nessuno in questo modo.
– Silvia

No, non mi pare. Però ho indubbiamente il bisogno di avere dei punti fermi nella vita. Ma avendo anche la necessità di crescere e di cambiare, quei punti fermi difficilmente possono avere a che fare con dio o con le religioni organizzate.
– Frank

Si, c’è una cosa in cui io credo con un atto di fede: la mia passione per la musica pinkfloydiana.
– Michele

Nella conoscenza.
– Livia


Assolutamente no. Escludiamo immediatamente quello abramitico, che con l’etica c’ha fatto er sugo, anche considerando che nella Storia una o più figure divine hanno assolto appunto questo compito, laddove l’umanità non sapeva come imporre o far rispettare i principali dettami di una pacifica convivenza civile (pacifica naturalmente all’interno dei propri gruppi). Direi che la nostra specie dovrebbe essere abbastanza adulta da potersi governare egregiamente senza bisogno di un qualche spauracchio che punisca gli individui se violano leggi o regolamenti. Ribadisco lo stesso identico concetto di sempre: la Carta universale dei diritti dell’uomo è una guida più che sufficiente per indicare a tutta l’umanità quali siano i principi etici, morali e civili che andrebbero adottati per garantire a ogni individuo pari dignità e ruolo nel mondo.
– Luke

Le religioni delegano a un «dio» l’autorità di dettare norme morali. I 10 comandamenti, validi solo all’interno delle 12 tribù israelitiche, sono un classico esempio e la Bibbia tutta è l’espressione del loro contrario se riferita al resto del mondo. Quindi i 10 comandamenti erano regole morali ad hoc per privilegiare interessi di vita civile senza troppe conflittualità e non una sorta di valori universali.
Inoltre le regole morali cambiano con i tempi, con i popoli e con il territorio, a dimostrazione che non provengono da entità superiori ma sono il frutto della cultura di ogni singolo popolo.
In questo momento storico, la Carta universale dei diritti dell’uomo è un faro nel buio perché molte nazioni – quelle musulmane in primis – non l’hanno sottoscritto.
Per me, «la libertà individuale (autodeterminazione), che trova il proprio limite e la propria legittimazione nell’identica altrui libertà», è la mia personale stella polare dalla quale deriva tutta la mia etica.
– Mario

No. Anzi credo sia il contrario. Io devo rispondere a me stessa e a leggi concrete, leggi che non sempre – anzi mai – perdonano, e non me la cavo con cinque Ave Maria. Questo fa sì che il mio senso civico sia radicato in me come dovere morale e legale. È serio. È profondo ed è immediato. Se credessi in un qualche dio probabilmente mi sentirei leggera – e sempre perdonata anche a basso costo, tra l’altro – e non avrei la sensazione immediata di dover rispondere dei miei atteggiamenti.
– Manuela

Dio è necessario per l’etica rivelata, che ovviamente non ha alcun pregio per me, come non ne ha per chi crede in una religione diversa da quella del proprio dio rivelatore.
Aggiungo che, nel caso delle religioni abramitiche, conosco poche figure tanto lontane dai valori etici e morali quanto dio.
– Filo

Dio non esiste. L’etica esiste. Quindi dio non è necessario
– Daniele

Se una cosa è etica perché lo stabilisce Dio, allora un domani questa cosa potrebbe non esserlo più se Dio cambia idea: per esempio stuprare potrebbe diventare etico. Ma se Dio ci dice di fare cose che sono etiche, cioè che lo sono di per sé, allora Dio non serve.
– Donato

In un’ottica moderna e ristretta alla nostra realtà europea, direi decisamente di no. Prendendo però come ambito realtà passate o anche moderne ma dove la cultura, l’informazione e il confronto critico non sono alla portata di tutti, può essere utile per l’origine di un’etica condivisa? Mi verrebbe da pensare che forse sì, nella maniera sbagliata certamente, sostituendo il dogma alla comprensione, ma un «forse» lo lascerei.
– Luca

A mio parere l’etica è innata nell’uomo almeno nel suo nucleo primevo. L’idea di uno o più dei è stata necessaria forse all’inizio per dirigere le masse, per dare una specie di coesione. Solo che poi chi ha usato il dio di turno ha iniziato a vedere la possibilità di guadagnare in potere e alla fine tutto è degenerato. Purtroppo al momento la maggior parte della gente – a mio parere – è drogata dalla necessità di avere un dio e pertanto continua ad attaccarsi a tale idea senza prendere in considerazione la possibilità di essere libera dai condizionamenti. Lo vedo come il carbone e petrolio: agli inizi hanno permesso balzi da gigante nel progresso, ma con il prezzo dell’inquinamento e della schiavizzazione economica. Forse c’è bisogno di un altro Musk nell’etica e nella filosofia, che rompa le regole e cominci a indirizzare il pensiero comune verso altri orizzonti.
– Andrea

Intanto bisogna specificare di quale Dio si tratta. Se è il Dio che viene descritto nella Bibbia, ti posso rispondere che no, non è necessario. Anzi, servirsi dei comandamenti di quel Dio lì per fondare l’etica equivale a costruire un etica incivile e malata, ovvero quella dei fanatici religiosi. Perché i fanatici religiosi? Ok, allora mettiamo che la debbano seguire i moderati: loro – come sappiamo – pescano dalle Sacre Scritture un po’ quello che gli fa comodo, quello che si adatta alla nostra etica moderna. Avete sentito? Etica moderna! Ovvero quell’etica che noi abbiamo e che non c’entra assolutamente niente con le Sacre scritture, ad esempio il senso civico. Ritorniamo ai fanatici, ovvero quelli più pazzi ma più coerenti, quelli che prendono tutto il pacchetto: il loro Dio è bipolare, geloso, meschino, psicopatico e sadico. Quindi che morale puoi ricavare dalla religione cristiana che non sia né amorale né derivata da un’altra? Nessuna.
– Jig

No, per me è semplice capire che la cooperazione su un pianeta ostile come il nostro è la cosa migliore.
– Anna Angie

Un Dio secondo me è un impiccio a qualunque etica, soprattutto un Dio immutabile ed eterno come di solito lo intendiamo. Un Dio in divenire forse non sarebbe così dannoso.
– Erica

No, non ritengo che Dio sia necessario per fondare l’etica. Non solo: non ritengo nemmeno che sia necessaria la religione.
Lo specifico in quanto vedo l’idea degli dei come un sottoprodotto della religione. L’etica in questo contesto potrebbe anche essere più importante, per una religione, rispetto all’avere un’idea di divinità.
Sono piuttosto propenso a pensare che l’etica sia più simile a qualcosa che emerge in una società in base alle esigenze di questa, le cui caratteristiche comuni fra le etiche delle varie società siano dovuti come conseguenza a come ci siamo evoluti come specie. Quindi alla persona «media».
Ma ovviamente è tutta speculazione, visto che non mi sono mai letto dei libri che trattavano la questione dal punto di vista scientifico.
– Anonimo

Al contrario: l’etica basata su comandamenti esterni assunti in sé è molto meno forte come scelta di base rispetto all’etica fondata su assunti propriamente scelti come visione della persona umana basata su principi di rispetto e di uguaglianza intrinseca dell’essere umano e delle cose materiali del mondo che vanno rispettate e preservate al meglio. L’etica come scelta e convinzione profonda dei principi del valore delle risorse, degli esseri viventi e delle persone.
– Fabrizio


Credo che l’idea di dio non possa essere nient’altro di quello che è già: una droga.
Il meccanismo è lo stesso che si innesca in seguito a una tossicodipendenza, ovvero l’incapacità di un adulto, perché immaturo, debole, incompleto, di affrontare l’esistenza senza un aiuto esterno, vero o immaginario, ma necessario per far vincere paure e difficoltà. Vivere da atei è molto più difficile, perché finalmente si è consapevoli di dover prendere in mano il timone della propria esistenza: incommensurabilmente più appagante, ma per una mente limitata impossibile da realizzare. L’amico immaginario affranca, conforta, convince il credente di avere sempre qualcuno che lo aiuta nelle difficoltà e, anche se in definitiva riesce a risolvere come tutti gli esseri viventi le proprie sfide da solo, la convinzione di avere una «benzina» particolare gli permette di farlo senza l’inquietudine di sapere di poter contare solo su sé stesso.
– Luke

Credo che di fatto serva ad alleviare la paura della morte e il divario tra il nostro sentirci estremamente potenti e allo stesso tempo terribilmente fragili e appesi a un filo. Nei Paesi dove la povertà rende la vita un inferno serve a sperare di avere un’eternità di sollievo.
– Anna

Per chi lo ha pensato all’inizio e ha detto di parlare per suo tramite è servito per avere privilegi, per gli altri per dare un senso a un mondo che spaventa e ad alleviare la paura di una fine inderogabile.
– Marco

Oltre a quanto detto più sopra, aiuta gli ignoranti a bypassare argomenti razionali che possono metterli in imbarazzo e li aiuta a sentirsi comunque superiori a interlocutori più informati o critici.
– Jacopo

In passato sicuramente a spiegare fenomeni che non avevano spiegazione
Nel presente a che serve? Non ne ho idea. Sarebbero da cestinare tutte le religioni
Quelli che dicono di credere perche hanno paura della morte, beh, direi che dovrebbero crescere. Comprendere che la morte è un processo naturale è il modo migliore per accettarla serenamente
– Anna Angie

Serve a lavarsene le mani, a non prendersi la briga di studiare ciò che non si conosce/comprende, a ignorare la responsabilità di non dover aiutare gli altri limitandosi a preghierine (nel caso di problemi personali) o ad allargare le braccia davanti a catastrofi perchè evidentemente è la volontà di dio.
– Ivan

Per alcune persone serve come risposta alle questioni di fondo e come speranza escatologica. Fin qui, poco male. Il grosso problema è che religioni e potere sono alleati per sfruttare questa dinamica e prosperare da parassiti sull’irrazionalità umana.
– Giulio

Per dirla con Guzzanti: l’idea di Dio è nata dalla necessità di indirizzare meglio le bestemmie, che prima erano imprecise.
– Jacopo

A mio avviso dio equivale a un incognito. Ci si affida a lui in mancanza di un razionale e adeguato punto di riferimento: il guaio è che la maggior parte degli umani è carente nelle proprie certezze.
– Giovanni

Io credo che la risposta vera e definitiva sia: a un bel niente.
Sto incominciando a farci caso: tutte le volte che si tira in ballo Dio è perché si vuole delegare la risposta a qualcun altro e non si vuole affrontare il problema.
Esempio classico: il senso della vita. «Ma tu come fai a vivere senza un senso della vita?», ti chiedono. Ma, se vai a vedere, i credenti mica lo sanno neanche loro il senso della vita. Lasciando perdere le risposte inascoltabili come «Servire Dio» (il senso della mia vita è servire qualcun altro?… ma vaffanculo), la risposta migliore qui di solito è tipo che loro «sanno che ce n’è uno» e poi aggiungono che «Dio è imperscrutabile». Ma allora scusami: non lo sai nemmeno tu, il senso della vita. Tu dovresti essere quello credente, quello con Dio, ma il senso della vita mica te l’ha detto. Oppure te l’ha detto e allora non ce lo vuoi dire, e allora secondo me sei un po’ stronzo.
È così per tutto: perché c’è un universo, perché c’è il bene e il male, perché esiste la morte. Ogni volta che qualcuno prova a dire che Dio serve a qualcosa, se indaghi un po’ scopri che non serve effettivamente a niente.
– Silvia

A ispirare le bestemmie. Scherzi a parte, serve al controllo sociale e ad attutire l’ansia di adulti bambini che non si vogliono accollare la totale responsabilità dei loro comportamenti.
– Livia

Per il credente, a dare un senso alla vita e a quello che gli succede, far parte di una comunità, non sentirsi solo. Per la Chiesa cattolica serve a controllare e assogettare le persone.
– Frank

L’idea di dio serve alle religioni come postulato conclusivo del lavoro di coercizione psicologica. Se ci fate caso, l’equazione disfunzionale dio / religione = clero / individuo è un sistema di controllo delle masse molto ben studiato. Si comincia fin dalla primissima infanzia, iniettando codice «religioso» in menti libere, reggendo i risultati illogici con un bell’assioma (dio). Ma così non basterebbe, quindi l’assioma, non essendo dimostrabile con la logica, deve fare leva su altre aree del pensiero più primordiali, qualcosa che vada a colpire un archetipo dell’inconscio collettivo: un edificio enorme, che possa far sentire minuscolo qualsiasi pensatore, una cattedrale. A completamento funzionale del lavoro di coercizione, viene usato il cerimoniale, che deve essere il più possibile sfarzoso, pomposo e solenne, per ridurre quasi a zero la ribellione dell’intelletto. Ovviamente l’impatto mentale deve essere reiterato in maniera assidua, in quanto l’individuo tende a pensare in maniera autonoma se gli si permette di allontanarsi cronologicamente dagli stimoli diretti, quindi l’imprinting viene costantemente richiamato con uno scrupoloso e incessante calendario di piccoli e grandi rituali che culminano sempre in climax cerimoniali calendarizzati e frequenti.
– Andrea

Ho letto con piacere le risposte. La percezione è che abbiamo ricapitolato un condizionale passato. Dio servì a spiegare fenomeni che oggi spiega la scienza. Dio servì a dare un regolamento che oggi abbiamo dalla legge. Dio servì a giustificare guerre che comunque continuano a trovare mille giustificazioni. Direi che dio per me poteva smettere di servire con l’avvento della filosofia e delle materie da essa derivate. Per la paura della morte poi ci sarebbe da parlare per ore, visto che i credenti che conosco hanno più paura di me della morte. Ma la domanda è «A cosa potrebbe servire?», immagino da ora in poi. Il verbo «servire» è la chiave. Servire a nulla: non serve. La comunità civile anzi si rende sempre più conto di quanto questa figura crei ostacoli. La pandemia ha parzialmente aiutato in questo senso, come hanno aiutato le lotte di civiltà che vengono via via a galla, mettendo in risalto le incongruenze di un dio che ama tutti tranne gay e donne. A cosa potrebbe servire? A nulla. E allora? Il declino delle religioni ha inizio? Forse. E il fondamentalismo? Dove lo lasciamo? La domanda è molto spinosa. Al momento la sola funzione che potrei riconoscere è la sua naturale predisposizione ad accontentare la pigrizia.
Allora… ci ho pensato tutta la sera. Per tentare una potenziale risposta – non necessaria, dato che sono atea – ho dovuto fare uno sforzo immenso: uscire dal piano personale e della mia sensibilità e proiettare in senso sociale il quesito. Ammettiamo che potrebbe servire: già, ma a cosa? Come quando svuotiamo l’armadio per fare un cambio del look o un cambio di stagione e, capo per capo, ci chiediamo se ci calza ancora bene, se ripara dal freddo o se ci migliora. Ecco, nel mio armadio non terrei dio perchè non assolve a nessuna delle funzioni elencate. Diciamo però che qualcosa mi costringe a tenerlo: quel maglione inutile me lo hanno regalato persone care e non posso buttarlo (càpita, no?). A cosa potrebbe servire? Dio come concetto, non quello dei testi, intendo, potrebbe servire a entrare in contatto con l’essenza e l’integrità del mio essere. Non come creatore ma come causa. Non come padre ma come tensione emotiva al giusto, al buono, al puro. Vi prego: datemi una bastonata in testa, ditemi che fa acqua. Choam Goldberg, tu cosa ne pensi?
– Manuela

A comprendere il popolo che lo ha creato. Io sto con Feuerbach: un dio o un pantheon di divinità possono servire come osservatorio antropologico e sociologico perché vi si riflettono le caratteristiche della società da cui emergono.
– Giuseppe

Appena trovo un buon motivo ve lo faccio sapere. Abbiate pazienza, molta pazienza.
– Izabela

Magari perché accettare l’ineluttabilità della vita non è da tutti. E forse perché accettare che la vita abbia fine, che a un certo punto finiamo, smettiamo di esistere alcuni proprio non riescono a elaborarlo.
– Giancarlo

Da piccolo, quando frequentavo l’asilo gestito dalle suore, ho subito il primo «trauma» psicologico: una delle suore, la mia, affermava in continuazione che prima o poi saremmo dovuti morire tutti (come nel film di Benigni e Troisi). Ovviamente i miei genitori mi ritirarono da quell’asilo perché avevo paura e non concludevo nulla dal punto di vista didattico. Poi ho dovuto sopportare tutte le torture retoriche dei vari catechismi, quindi Comunione e Cresima. Ovviamente non comprendevo in assoluto nulla di ciò che i preti raccontavano – i loro discorsi andavano in conflitto con il mio senso innato della razionalità – per cui già all’età di 12 anni rimasi deluso da tutto ciò. Ero incazzato, perché mi sentivo preso per i fondelli. E niente, dopodiché è nata in me la passione per le materie scientifiche, specialmente quelle a carattere naturalistico, anche se non sono titolato, e giocoforza non potevo che diventare miscredente, ateo ed empio.
– Michele


Per me sarebbe più utile non demolire ma instillare il tarlo del dubbio. Venendo da dentro, sarebbe più efficace.
– Paolo

No. È utile far comprendere dove la loro fede intralcia il mio progresso e demolire questa possibilità. No obiettori negli ospedali, no studio della religione nella scuola pubblica e no tante altre ingerenze nella vita sociale.
– Manuela

No, soprattutto se ho a che fare con persone alle quali voglio bene.
La mia «deconversione» non è stata indolore, a volte non lo è neanche adesso, e non voglio sentirmi responsabile del dolore altrui.
– Filo

Sarebbe utile ma credo sia impossibile. La demolizione della fede è un processo individuale. Noi possiamo solo dare dei consigli
– Riccardo

Mmm… dipende dal grado di condizionamento ricevuto e dall’apertura mentale dell’interlocutore. Personalmente ho sempre dovuto arrendermi e considerare il tentativo tempo perso. Non voglio generalizzare, e quindi riferisco solo la mia esperienza personale, ma io ho sempre trovato persone così ottuse, incapaci di rivedere le proprie posizioni anche davanti alle evidenze, che ho maturato il sospetto che a queste persone manchi veramente qualcosa. Ho avuto esperienza più di una volta di persone capaci di dire che i brani più terribili che riportavano la Bibbia, che evidentemente non hanno mai letto che leggevo loro, erano una «aggiunta» perpetrata da noi atei per screditare la loro religione. Gente che quando facevi notare loro che un dogma come l’Assunzione non esisteva prima del 1950, ti rispondevano che invece loro si ricordano benissimo che i loro nonni la festeggiavano già. E altre esperienze simili. Quindi, davanti a gente che vuole credere, anche di fronte alle prove della loro fallacia logica, meglio ammainare bandiera bianca e lasciar perdere. Non si fanno scalfire nemmeno dal dubbio. Dopotutto a me non interessa deconvertire nessuno. Per me ognuno è libero di credere a ciò che gli pare, pure agli asini volanti. A me dà soltanto fastidio, tanto fastidio, che le loro credenze facciano da traccia a tutti coloro che si intrufolano nella mia vita attraverso la politica, le amministrazioni, le istituzioni pubbliche. Quella è una battaglia che non bisognerebbe mai smettere di portare avanti. Libera Chiesa sì, ma in libero io.
– Luke

È fondamentale far comprendere come osservare una religione per sé non deve portare a pensare di poter ledere i diritti umani di altre persone. La fede vale per chi la sceglie e ne fa motivo di vita proprio, non si deve permettere a chi ha fede di non rispettare la legittima libertà e i diritti di altre persone.
– Fabrizio

Non credo sia utile. Penso che il cammino verso l’ateismo o l’agnosticismo sia intimamente personale. Non sento in alcun modo il dovere di «convertire» o «illuminare» le altre persone.
Spesso invece noto che un atteggiamento tollerante verso chi ha una qualche fede è molto ben visto, e cambia l’idea che un fedele ha dell’ateo, spesso visto come un talebano della non-religione – e non a caso molti non atei vedono l’ateismo come una diversa religione – che aggredisce e offende.
A volte dei credenti «di comodo» non prendono in considerazione l’ateismo o l’agnosticismo per l’immagine che hanno dell’ateo/agnostico e scambiano una posizione filosofica come una religione dell’odio nei confronti di chi crede.
Fargli notare che invece ci sono atei/agnostici tolleranti, che in realtà sono la maggioranza e che semplicemente non si notano perché non fanno cagnara ha portato queste persone a prendere in considerazione la possibilità di essere agnostici/atei.
Poi onestamente non so se hanno preso questa decisione. Come dicevo, non sento l’obbligo di «illuminare» o «convertire».
– Michele

Sì, credo anch’io che un approccio rispettoso verso il «diritto di fede» dei devoti, sincero o di comodo che sia, costituisca un principio di civiltà da rispettare in ogni caso. Né tantomeno credo utile rispondere specularmente ai credenti con un’azione di rappresaglie illuminanti e/o pressioni alla deconversione. Tuttavia io penso che sia utile precisare che è necessario un presupposto, ovvero che un simile principio di civiltà può essere invocato e applicato positivamente nel caso di un ordinamento istituzionale aconfessionale, che non credo sia la nostra condizione nazionale, la quale, anzi e con ogni evidenza, ha invece un assetto para-teocratico. Naturalmente nulla vieta di applicare comunque quei principi di civiltà, ma in tal caso più per una questione di stile che di metodo democratico, poiché di democrazia non è possibile parlare in un contesto istituzionale, culturale e politico entro il quale, come ben sintetizzò a suo tempo Gaetano Salvemini, «i cattolici rivendicano le loro libertà in base ai nostri principi (laici) e negano le nostre libertà in base ai loro principi (religiosi)». Quanto alla sua affermazione circa il fatto che gli atei/agnostici siano maggioranza in Italia, direi che lei è un ottimista. A meno che non intendesse dire che gli italiani sono cattolici a schema variabile, data la loro approvazione per leggi libertarie. Ma anche qui vien buono il Salvemini, dal momento che tali leggi sono ampiamente boicottate e sabotate nella loro applicazione effettiva e con il sostanziale silenzio-assenso di gran parte degli italiani. Perciò io dico che il principio di civiltà fa certamente onore a chi lo osserva e lo pratica, ma se la partita è con dei bari è saggio considerare e precisare che tale pratica è sì elegante ma anche certamente soccombente.
– Claudio

È utile dare gli strumenti necessari affinché si capisca che la fede è superstizione ed è inconciliabile con la realtà. Sperando che un giorno l’essere umano abbandoni inutili credenze.
Anche se non arriverà mai quel giorno.
– Anna Angie

Sono un ex francescano. Quindi, ogni volta che un cristiano mi parla col fine di convincermi, non posso far altro che iniziare a demolire ogni sua certezza.
– Dario

Certo che è utile. Lo dobbiamo alle nuove generazioni che ci seguiranno.
– Barbara

Demolire no, smentire sì. Basta chiedere prove scientifiche.
«Dio» ne è al di fuori? Allora sono tutte opinioni. E le opinioni non corredate da supporti logici e da fatti concreti lasciano il tempo che trovano, con quel preciso odore di «aria fritta».
– Mario

No. Il rischio è altissimo. Demolire la base archetipa del comportamento di un soggetto può portare a conseguenze anche gravi: ansia, depressione e forme maniacali. I vigliacchi, tutti quelli che basano il loro comportamento sociale, personale e morale su un batch di regoline dettate da altri o da un libro di favoline creepy, non si adattano al ragionamento logico. Significherebbe prelevarli dal loro caldo e buio tugurio per sbatterli in mezzo al vastissimo mondo reale: lo shock potrebbe distruggerli. Salvo rarissimi casi. Io ho pensato mille volte: questi mangiano merda di cane da un vasetto di Nutella e sono tutti contenti, devo fare qualcosa. Solo una volta mi sono azzardato, con una persona che ritenevo degna, a portare il ragionamento logico e scientifico fino al più profondo inconscio del soggetto. Con risultati disastrosi. Molto disastrosi. Quindi no, la demolizione è inutile. L’unica cosa per cui sarebbe opportuno fare uno sforzo è la depurazione dalle credenze fiabesche delle società democratiche. Ma anche qui marciamo male, a vedere che razza di idioti creazionisti arrivano fino ai più alti livelli degli organi governativi delle più pubblicizzate democrazie mondiali.
P.S.: La mia cagnina di 3 anni e mezzo ha imparato a dire «uaua» (acqua) e «gnam gnam» (pappa). È decisamente più intelligente di tanti vigliacchi, cioè persone che basano la loro vita su di una religione aka libro di favole creepy aka se ci credono tutti dev’essere vero. Un abbraccio.
– Andrea

Ho una vecchia amica. In tutti i sensi, visto che siamo amiche da quasi 50 anni. Ultimamente però non riusciamo più a capirci e a comunicare. Negli anni io sono diventata sempre più atea e infastidita dai credenti. Si sa, con l’età si diventa più intolleranti, si ha sempre meno tempo per le cose inutili. Lei, valdese, sempre più religiosa. Io lo so che è una persona intelligente, e proprio per questo mi dispero nel vederla sempre più presa dalla fede e da tutta una serie di sciocchezze collaterali come l’omeopatia. So anche che nonostante la sua intelligenza non c’è nulla che io possa dire per farle cambiare idea. In buona sostanza ho provato sulla mia pelle che viviamo in due mondi incompatibili. Ed è molto triste.
– Anna

Immagino sia utile, ma non credo che certe riserve morali e bigotte siano obbligatoriamente dipendenti dalle religioni.
– Paolo

La fede o la «non fede» sono solo la fine di un percorso lungo tutta la vita, quindi la domanda potrebbe essere parafrasata nel seguente modo: è possibile, dopo che una persona ha fatto chilometri di viaggio in una direzione, convincerla a tornare indietro e farle ammettere che per tutto questo tempo ha sbagliato direzione?
No.
E poi ha quale scopo? La «non fede» è un percorso che si riempe di convincimenti, di esperienze e di ragionamenti. Togliere la fede senza questo percorso equivale a togliere la zattera a un uomo in mezzo al mare. È per questo che, per quanto possano sembrare assurde le convinzioni a chi non le condivide, le persone ci si attaccano come unico salvagente alla integrità psichica. Nella mia esperienza le persone accettano solo quelle cose che già hanno maturato dentro di sé.
– Pasquale

Con i dubbiosi, soprattutto se giovanissimi, c’è un margine di possibilità, anche perché spesso si tratta di atei potenziali semplicemente un po’ confusi dall’accettazione generale dei dogmi da parte di chi li circonda.
Ho ricordi lontanissimi di aver fatto proseliti nella deconversione, ma ero ancora alle Elementari.
Dopo diventa più complicato e comunque i credenti convinti, essendo anche ignoranti, non offrono appigli e sono, per la mia esperienza, cause perse.
– Jacopo

Non è un problema che incontro spesso, devo dire. Dipende molto dalle persone, dalle circostanze. Di sicuro non comincio io. Ho amici credenti che sanno che sono atea. Loro non cercano di convincere me, io non cerco di convincere loro.
– Erica

Secondo me è addirittura pericoloso. Il timor di dio che lascia il posto alla paura. E la paura genera violenza, se non ci sono fondamenta etiche e morali solide.
– Maria Rosa

Sì. Anche andare oltre se la fede altrui diventa uno strumento di potere nelle mani di chi vuole decidere della mia vita e dei miei diritti per interessi propri.
– Angelo

Non si può rispondere.
Le parole pesano, quindi analizziamole.
Utile: a chi? A me? Al mio interlocutore? A chi ci ascolta? Alla società?
Demolire: la prendo come una metafora. È ovvio che non si può, anche solo con un argomento ben costruito, demolire qualcosa di così complesso come una fede. Certamente si possono fare altre cose: ridurre, smontare, ricollocare, ridimensionare la fede altrui eccetera.
Fede: siamo sicuri che l’altro abbia una fede? E quanta fede ha? È utile demolire la fede di un cardinale? È utile demolire la fede di un bambino? Di un vecchio in fin di vita? Di una persona sola che ha appena subito un trauma e necessita di conforto?
Altrui: chi è l’altro? È la donna che voglio sposare o l’ennesimo ubriacone che incontro al bar? È il mio acerrimo nemico, con cui non voglio nemmeno parlare, o il mio ex compagno di scuola, mezzo amico e mezzo conoscente?
Scusate la polemica. Approfitto di questo spazio per stimolare un ragionamento che vada oltre il bianco e il nero.
A freddo comunque avrei risposto «No». Dentro di me penso che la fede sia figlia di troppe cose interne ed esterne a noi.
– Nicola

Non serve a niente demolire, chi ha «fede» ed è una persona intelligente sa già che «avere fede» è sinomimo di «supporre l’esistenza» di dio o quant’altro, praticamente sinonimo di agnosticismo. Io non ho fede, ma anzi sono fervida credente nello spaghetto volante, e nessun* riuscirà a convincermi del contrario, beoti miscredenti che non siete altro.
– Ambra

Utile dipende dai casi. Alle volte sì. Alle volte spiegare alle persone che quello che loro spacciano per fede è solo una mancanza di conoscenza della loro stesssa fede è utilissimo. E alle volte fa perfino accendere qualche lampadina.
Ma se non è utile è di certo gratificante.
– Massimiliano

È utile nella misura in cui si fornisce una visione del mondo alternativa dove dio è solo una idea, peraltro superflua, e i monoteismi religiosi un insieme di rituali privi di senso, al pari di formule magiche, cabala e superstizione in genere. Hanno probabilmente avuto un ruolo nel contenimento sociale, per stabilire ordine e regole in società tribali. È una funzione sociale, un po’ come aiutare chi è preda di delirio e visioni. Ma a demolire la fede deve essere il credente stesso, reso consapevole che «credere» è molto vicino a «immaginare».
– Ivano

Provare a far rinnegare la fede al credente demolendola con argomenti razionali è impresa ardua, spesso impossibile: credere è molto più facile che ragionare. Anche un bambino riesce a credere a Babbo Natale, ma l’età della ragione arriva più tardi. Bisogna raggiungere i non praticanti: adolescenti o giovani che magari si dichiarano credenti per tradizioni familiari, ma a cui di fatto frega nulla della religione.
Una loro apostasia sarebbe sicuramente utile alla società.
– Danilo

Il discorso, a mio modesto avviso, è abbastanza semplice: perché tanti credono nelle «religioni rivelate»? Perché «una consolante illusione aiuta a vivere più di una raggelante verità». Non ricordo più chi l’ha detta ma credo (!?) sia vera per quasi tutti. Partendo da questo assioma, penso non sia giusto demolire la fede altrui. Anche se, da ex docente di materie scientifiche, l’ho fatto per tanti anni a scuola. Ora sinceramente non so dire se ho fatto bene…
– Giuseppe

No, a mio parere non è utile attaccare un fedele per il gusto di demolire le sue credenze. Ovviamente quando vale la pena farlo è bene esporre le ragioni e i valori dell’ateismo.
Sarebbe invece necessario contrastare le situazioni nelle quali si vuole imporre una pratica religiosa, ad esempio l’ora di religione nella scuola pubblica o il meccanismo dell’8×1000 inespresso versato comunque alla Chiesa cattolica.
– Giulio

Parlare con un credente acculturato e intelligente è come giocare una partita a scacchi alla quale tu già sai che vincerai, perché a ogni mossa sai come rispondere e quando lui avrà finito gli argomenti… scacco matto credenti (fa pure rima). Parlare invece con uno ignorante che non ha studiato è come giocare a scacchi con un piccione. Crederai che sia ancora più facile, ma non è come sembra: il piccione farà la cacca sulle pedine, le rovescerà tutte e se ne andrà come se avesse vinto lui. Utile? Boh, semmai divertente. Se le religioni scomprarissero, sarebbe sicuramente utile, ma, se anche durante un dialogo riuscissi a convertire miracolosamente un credente, toglieresti comunque solo una goccia dall’oceano.
– Jig

Più rispondo a commenti e più mi rendo conto che parlare di religione con un credente è come parlare di medicina a una persona che crede che i vaccini provocano l’autismo.
Ritengo di conseguenza che sia inutile, o forse anche dannoso in un dibattito uno a uno, smontare le credenze dei credenti, ma sarebbe estremamente utile se venisse fatto a scopo divulgativo.
Prevenire invece che curare.
– Anonimo

È utile, ma non agendo da talebani, bensì cercando di «smontare» le credenze tramandate con argomentazioni scientifiche, in modo che la gente capisca che è molto meglio e più gratificante riaccendere il cervello.
– Giovanni

Anch’io tenderei a vivere meglio nella tolleranza ma trovo sempre più difficile farlo. Forse, invecchiando, sono sempre meno disposto a tollerare certi fastidiosissimi comportamenti da parte di persone che considero intelligenti. Ad esempio non sopporto che Papa Francesco venga citato da giornalisti normalmente attenti e obiettivi per qualunque banalità dica. Perché un giornalista o un opinionista laico sente il bisogno di citare il capo di uno Stato e di una religione quando costui dice cose già dette e ridette da fior di filosofi, opinionisti, menti eccelse anni, secoli prima di lui? Come si fa a non vederci dell’evidente opportunismo? Oppure non sopporto il fatto che a scuola solo 6 bambini su 23 nella classe di mio figlio non frequentino le ore di religione e che, quando ne parlo con qualcuno – perchè a me sembra una follia –, io venga preso per il cattivone intollerante che fa tante storie per una cosa da nulla. A me vengono i brividi anche quando sento dire cose tipo «Grazie a dio» o «Grazie al cielo» in un dialogo qualunque. Quindi, per quanto mi riguarda, cerco di essere tollerante fino a un certo punto, ma le religioni andrebbero eradicate il prima possibile. A volte mi vien quasi da sperare che esista un’entità superiore che con un «Bzzz» cancelli tutte le religioni dall’universo.
– Alberto

Sarebbe utile in linea teorica ma è un’impresa improba che alla fine porterebbe a frequentissimi scontri. Vivo meglio nella tolleranza. Certo, se qualcuno cerca di convertirmi allora parte il fiume dialettico…
– AB


Dipende dalla persona con cui discuti. Con qualcuno uso l’argomento della transustanziazione: chiedo di spiegarmi come funziona e di descriverne le reazioni chimiche.
– Izabela

La teodicea, che ho appreso seguendoti, e cerco di portare ogni ragionamento sul piano della logica e della razionalità. Con scarsi risultati, comunque, come sottolinei anche tu.
– Luke

L’indifferenza.
Dimostro che nessun Dio ha mai avuto parte attiva nella storia umana e quindi che esista o meno è irrilevante.
Se muovono contro spiego che «Dio» è sempre stato usato come scusa per le peggiori efferatezze e di dimostrarmi quando è intervenuto personalmente nella vita umana.
– Massimiliano

Io ripiego sull’elemento tipicamente freudiano: «i traumi infantili vissuti nella tua infanzia ti hanno portato a questa fede cieca e irrazionale…».
– Giovanni

Di solito dico solo che non c’è motivo di credere quello che credono quando cercano di dipingermi come un freddo emulo di Mengele perché non penso che «Io la penso cosi» sia una giustificazione bastante.
– Erica

Se ovviamente il credente è un deista, il dialogo è molto interessante e ci può essere uno scambio di argomentazioni che può essere arricchente anche per me. In questo caso infatti si ha un dialogo più filosofico e scientifico. Gli devi spiegare il rasoio di Occam, e poi ovviamente teorie che possono spiegare l’universo e la vita molto più semplici di quella di un Dio intelligente. Se invece parlo con un cristiano, con un musulmano o con un ebreo, pocco portargli un’infinità di prove contro la sua fede (logiche, storiche, antropologiche…) ma ovviamente l’argomento della teodicea è l’argomento definitivo, senza scappatoie. Quindi non vedo perché giocare una partita a scacchi quando puoi fare scacco matto in una mossa: sarei contraddittorio con il rasoio, del resto.
– Jakopo

Principalmente la teodicea, la teoria della teiera di Russell e l’onere della prova. Poi passo alla Bibbia e alle relative incongruenze o a episodi eclatanti, tipo Lot e le figlie, il (quasi) sacrificio di Isacco, per poi fargli notare le consistenti differenze fra i Vangeli. Ma tanto serve a un caz!
– Alessandra

Come già detto, evito, tanto è inutile. Alla fine i discorsi sono sempre quelli… se fai notare le incongruenze ti viene risposto che non capisci un acca della Bibbia, che non sei un esegeta, che Gesù è venuto e ha cambiato la legge quindi le regole del Vecchio Testamento non sono più valide eccetera eccetera. Sull’essere metafisicamente necessario, quindi sul tomismo, non mi ci metto neppure, tanto non sono un filosofo. Detesto l’argomento del fine tuning, che è ignoranza completa ma soprattutto è un ragionamento circolare, ma tanto non lo capiscono, per loro ‘sto fine tuning è poesia allo stato puro. Resta la teodicea, che ritengo essere un argomento che non presenta soluzioni valide, almeno per chi crede, ma alla fine si arriva sempre al male che non è male ma assenza di bene, come il buio che non è buio ma assenza di luce. La mia risposta è dargli un caccagnone sulla capoccia e proclamare: «È assenza di bene, oltre che a fin di bene». Quindi alla fine per sentire gli stessi triti argomenti evito proprio di aprire o di partecipare a questi dibattiti.
– Raffaele

È impossibile dimostrare l’esistenza di Dio tanto quanto è impossibile dimostrare l’esistenza degli unicorni. Non viviamo adorando unicorni, perché dovremmo vivere adorando un dio?
– Anna Angie

Ho modi migliori di spendere il mio tempo che tentare di convincere un fedele. Così come lui non convincerà mai me di avere ragione, io non posso sperare di convincere lui.
– Giulio

Non mi ci metto. Lo trovo poco educato. A meno che non provino a convincere me. Allora taglio corto con qualche risposta ironica. Non credo che un’agnostica o un ateo debbano fare proselitismo. È un atteggiamento che riguarda i religiosi. Infine, al di là delle convinzioni, contano i fatti.
– Franca

A dire il vero io non dialogo per demolire.
Basta dialogare e si autodemoliscono da soli o, detta in maniera politicamente corretta, utilizzano la scappatoia del mistero, della fede, dell’imperscrutabile eccetera.
Io non contesto mai ciò che sostiene il mio interlocutore, anzi presuppongo sia vero, e quasi sempre lui/lei, nel corso del dialogo, passa – e in pochi minuti – dalla convinzione di sapere e aver compreso filosoficamente e teologicamente tutto (chi è Dio, chi siamo noi, cosa vuole, perché è così, cosa ci aspetta eccetera) a citare, per l’appunto, parole come mistero, fede, imperscrutabile eccetera: e a questo punto cala il sipario sul dialogo.
– Andrea

Io una volta, aprendo per sbaglio a due testimoni di Geova ed ascoltandole per educazione, proposi loro uno scambio che mi sembrava equo. Siccome erano ferme nella loro convinzione di farmi leggere un opuscolo il cui argomento era incentrato sull’evoluzione e ovviamente trattato in tono di negazione, cioè l’opuscolo sosteneva che il mondo fosse stato creato così com’è e che ogni supposta prova del contrario era un tranello messo da dio per metterci alla prova, io mi dichiarai disposta a farlo purché loro leggessero per intero il libro «Il sorriso del fenicottero» di Stephen Jay Gould, biologo evoluzionista.
Non ci crederete, ma finì che non se ne fece nulla: rifiutarono e gentilmente tolsero il disturbo.
Fallì così miseramente il mio tentativo di convertire a un approccio non dico ateo ma quantomeno «illuministico» della vita due convinte religiose.
– Ivana

Non mi piace demolire le credenze altrui (vivi e lascia vivere), ma se provocato in tal senso la mia non fede in alcuna religione la esternerei con la teodicea (come fa Choam). Senza però aver la presunzione di demolire il pensiero dell’interlocutore, ma almeno di suscitare la crescita di molti dubbi. E, per esperienza personale con un vescovo, la conclusione del dialogo sarebbe, da parte del credente: «Possibile che tu non abbia fede?».
– Giovanni

Lo faccio solo se provano a convertirmi, facendo notare che è pensiero magico.
– Livia

Non ne uso, ho smesso. È stato difficile. Mesi di terapia in A.A.A. ma ne sono uscito. Ora sto meglio e riesco anche a stare nella stessa stanza con un cattolico per quasi dieci minuti senza sentire l’impulso, poi me ne vado. Con quelli di Geova ancora non riesco: è troppo presto, devo fare ancora terapia.
– Andrea

L’unico argomento che mi sento di usare è far notare che la religione è paura della morte e dell’incapacità di accettare da parte degli esseri viventi che esiste la fine.
– Giuseppe

Improvviso a seconda della fallacia logica che mi viene proposta dall’interlocutore.
– Jacopo

Scienza e Storia.
– Roberto

Io utilizzo l’argomento di Dawkins sulla pluralità degli dei: anche il credente è ateo nei confronti di tutte le divinità in cui l’uomo ha creduto, tranne la propria.
– Stefano

Chi può anche solo lontanamente pensare di poter demolire una fede?
– Mauro

Teodicea ed epistemologia.
– Donato

Non mi è mai capitato che alcun argomento funzionasse, tanto che ho smesso da tempo di proporne, se non in casi particolari. Molto spesso, nelle mie esperienze nel mondo cattolico, ho avuto l’impressione non tanto che le persone credano in Dio, ma piuttosto nella Chiesa, cioè in un sistema sociale (molto materiale) che gli dà appartenenza, significato, spazi, ruoli… e al quale è difficile rinunciare. Anche se razionalmente una persona può avere dei dubbi, c’è tutto il lato legato all’appartenenza a un gruppo sociale che disinnesca qualsiasi emancipazione. Talvolta quindi mi limito a testimoniare il mio ateismo. Altre volte provo a far riflettere sulle sofferenze e discriminazioni che la religione può causare ad alcune persone, però questo sposta il focus sull’istituzione (che è umana e quindi può sbagliare).
– Frank

A parte che l’onere della prova è di chi crede, ma, detto questo, avremmo milioni di prove. Banalmente, dove sono i dinosauri nei testi? Perchè crea specie che si estinguono? Se siamo a sua immagine e somiglianza, cosa se ne doveva fare lui dei polmoni o della prostata? Ma la prova provata risiede nella fallacia del suo DNA. Il suo DNA è composto da tre fattori: onnisciente, onnipresente e sommamente buono. Onnisciente e onnipotente e crei il demonio? Quidi hai fallito? E crei noi vulnerabili al demonio? E, se sei sommamente buono, come giustificare che dei bambini muoiono malissimo o che avvengono stupri e guerre, senza contare le punizioni esemplari e drammatiche da lui stesso orchestrate?
– Manuela


Se ciò fosse possibile – ma non lo è –, sì. Ma nella maggior parte delle persone c’è la difficoltà ad accettare la realtà della vita e i suoi fini. E poiché c’è sempre qualcuno disposto a venderti un dio per denaro e/o potere… il gioco si ripete. Chi pensa che la vita di una formica abbia meno senso di quella di un umano è destinato a diventare, nella metafora religiosa, pastore se è furbo, gregge se lo è meno. Naturalmente a mio personale parere e mi si perdoni l’eccessiva semplificazione.
– Angelo

Se stessimo tutti meglio ci sarebbero più atei.
– Enrico

Ma certo! Roddenberry aveva dipinto il futuro in questo modo. O, meglio, non ateo ma senza religioni. Che sarebbe già un bel passo avanti.
– Marc

Posto che ci sono atei stronzi come credenti stronzi e brave persone in ogni gruppo, da un punto di vista sociale una mentalità laica contribuisce senza ombra di dubbio al progresso. La convinzione – soprattutto dei cattolici – che una Verità in ambito etico ci sia e sia conoscibile, quando non addirittura prescrivibile dallo Stato è estremamente pericolosa e ha fatto tanti danni: più atei significherebbe meno merda di questa.
– Susanna

Né meglio né peggio, probabilmente.
– Daniele

Staremmo meglio se non esistessero più le religioni, le pseudoscienze, le teorie del complotto.
Avremmo estirpato le credenze irrazionali e potremmo davvero tutti concentrarci sulla realtà, sui problemi reali
– Anna Angie

Quello che molti credenti non riescono a comprendere (o fingono di non riuscire) è che la laicità è, «paradossalmente», l’unica strada percorribile per difendere la fede religiosa e le opinioni personali di ogni essere umano.
Infatti la laicità, correttamente formulata, si fonda sull’equilibrio di pensieri e azioni, sul rigore e l’analisi critica, sul dubbio consapevole, sulla tolleranza e il rispetto ponderati e discriminati. Essa consente che una certa confessione religiosa non prenda il sopravvento sulle altre o su chi non ne possiede, evitando, da un lato, che vengano imposte per fede delle azioni che lo Stato non permette e, dall’altro lato, che vengano proibite per fede azioni che lo Stato consente, confinando così la religione dove è giusto che stia: unicamente nella vita privata di un cittadino, senza che a essa venga ingiustamente concesso il monopolio dei valori etico/morali.
Tutto ciò rende la laicità l’unico antidoto contro l’inciviltà e le barbarie.
– Michele

Mi basta prendere il dato che i Paesi con percentuali di ateismo più alti coincidono con livelli di istruzione maggiore. Da lì ne consegue la risposta.
– Paolo

Penso che il fatto che ci siano più atei è piuttosto una conseguenza di una società con maggiore progresso e sviluppo economico e culturale.
Più c’è benessere culturale (in parole povere più istruzione) e meno la religiosità e la superstizione attecchiscono.
Ma questo non vuol dire che dove ci siano più atei la percentuale di felicità sia maggiore.
Dipende poi anche da cosa intendi per «stare meglio». Se intendi essere più felici, forse no. Secondo me non c’è una correlazione con l’ateismo. La felicità è una conseguenza di altri fattori.
– Paolo

Sicuramente staremmo meglio se ci fossero meno credenti.
– Andrea

Non lo so, non penso che stare meglio sia legato al numero di atei circolanti.
Ma staremmo tutti, il mondo intere starebbe, meglio se ci fossero meno credenti, meno bigotti, meno servi.
Non solo mentalmente, per la maggior libertà di espressione (la libertà di pensiero non dovrebbe potercela togliere nessuno) ma anche economicamente, sarebbe infatti più semplice riuscire a redistribuire con maggior equità la ricchezza creata dal lavoro degli uomini a tutti gli uomini che contribuiscono a crearla.
– Giancarlo


In una sola parola: indispensabile.
– Gluigi

Semplice: ciascuno ha il diritto di esprimersi purché non nella violenza.
Se non esistessero persone che hanno a cuore argomenti sensibili e non si esponessero, sarei ignorante su tanti e tanti temi (non avrei letto libri, ascoltato conferenze, partecipato a dibattiti…). Ben vengano insomma tutti coloro che se la sentono di esporsi, in particolare quelli preparati al dibattito costruttivo (e distruttivo verso la Rivelazione dogmatica).
– Jareth

Fondamentale per la tutela dei diritti civili.
– Manuela

Sacrosanta ma inutile.
– Luke

Inutile verso gli adulti o diciamo almeno over 25, ma importantissima verso i giovani e le istituzioni. Il fatto che i liberi pensatori siano coinvolti nella riforma dell’insegnamento religioso nelle scuole è fondamentale.
– Marc

Beati loro che hanno tutto il tempo e soprattutto la voglia di farsi sentire.
– Raffaele

In un momento come questo, in cui la politica strumentalizza la religione e mette in discussione diritti acquisiti che hanno alle spalle lotte lunghissime, credo siano indispensabili e da appoggiare con forza.
– Maria Rosa

Ritengo che questa sia la prima epoca storica dove questa voce si possa sentire. La loro azione è fondamentale per una società di diritto.
– Paolo

Indispensabile visto la «ondata» di politici baciareliquie, con santini di Padre Pio sul cuore e quelli che sventolano il rosario.
– Izabela

Molto positivamente. Il fatto che qualcuno parli e diffonda l’ateismo, in tutte le forme, è cosa buona e giusta. Anzi approfitto per ringraziarti per essere uno di quelli che spendono parte del proprio tempo per proporre delle riflessioni interessanti e mai banali.
– AB

Le diverse forme di azione da parte degli atei militanti sono indispensabili per cercare di «risvegliare il cervello» di tutti coloro che danno a una qualsiasi forma di trascendenza il senso della propria vita.
– Giovanni

Bene se l’ateismo non diventa una nuova religione da imporre. L’ateismo militante per me rappresenta l’impegno politico verso un mondo laico libero da sopraffazioni, sia del mondo religioso verso il mondo laico, sia viceversa. Esiste una lotta tra il bene e il male ed è costituita dalle scelte che compiamo ogni giorno. Non sono in grado di tracciare linee nette tra il mondo religioso e quello laico per dividere l’amore dal disamore o dalla cattiveria.
– Nicoletta

Dipende. In generale promuovere le ragioni dell’ateismo e il pensiero laico è una cosa ovviamente positiva, nel mio piccolo l’ho fatto e lo faccio (ultimamente poco, a dire il vero) anche io. Se poi guardiamo ai casi specifici, tra gli atei militanti, in particolare tra i più «famosi», ci sono diversi individui che giudico piuttosto negativamente, al di là del fatto che abbiano ragione sull’inesistenza di dio.
– Daniele

Senza dubbio è un’azione necessaria. Permette che sempre più menti si liberino dalle costrizioni religiose, qualunque siano.
Alcuni blog e gruppi mi sembrano eccessivamente aggressivi nei confronti dei credenti. Dobbiamo considerare che nasciamo e cresciamo in una società decisamente teocratica, e a mio parere non si recuperano le persone offendendole per la loro credulità, bensì spiegando come stanno le cose realmente.
In questo L’Eterno Assente eccelle, con tanti spunti interessanti. Grazie!
– Giulio

Spesso vedo nell’ateo militante un’aggressività che non riesco a condividere. E non per un supposto scopo di convincimento al quale si starebbe mancando: che ce ne frega di convertire la gente? Quello lo lasciamo fare ai credenti. Ma sembra veramente aggressività per l’aggressività, cattiveria usata come puro sfogo verso il mondo. Cattiveria che, molto probabilmente, non aiuta l’ateo militante a stare meglio con i suoi problemi nella vita, o con quelli che ha avuto e di cui porta ancora i segni.
Se non condivido, provo almeno a comprendere, e immagino che sia una persona che ha avuto a che fare per buona parte della sua vita con un bigottismo oscurantista. Penso all’esempio più evidente: Dawkins è aggressivo, ma quanti commenti di anti-evoluzionisti deve aver ricevuto da quando è un personaggio pubblico? Commenti di gente ignorante e bigotta che in un colpo solo delegittimano lui, il suo lavoro, la sua vita, buona parte dei suoi conoscenti e tutta la parte della comunità scientifica a cui appartiene? L’idea di dire «Andate a studiare, brutti deficienti» non deve essergli sembrata tanto ridicola, a un certo punto.
Ma perlomeno mi aspetto che l’ateo militante lo dica a sé stesso, che un po’ è così, che alla fine è cattiveria per il puro gusto della cattiveria. Cosa che, a essere onesti, a volte fa.
Alcuni, come L’Eterno Assente, dicono che insultano solo le idee, non le persone. Mi sembra una distinzione un po’ finta: insultare l’ateismo significherebbe insultare anche l’ateo militante, perché l’ateismo, sebbene sia un’idea, guida buona parte di quello che fa, le scelte che compie, le persone con le quali sceglie di avere rapporti. Come si fa a scindere un ateo, soprattutto quello militante, dal suo ateismo?
Ed ecco che mi pare di intravedere una crepa nella presunta «razionalità» dell’ateo militante e di individuare, se non un dogma (odio il termine anche io), quanto meno un postulato della sua mente: il credere che la mente umana sia divisa in razionalità e irrazionalità, che la prima sia fantastica e la seconda terribile, e che lui è sempre guidato dalla prima, mentre dalla seconda sono guidate le persone che poi inevitabilmente credono in idee cretine.
E a questo postulato contrappongo il mio: se ti identifichi in qualcosa – che sia l’ateismo, il veganesimo, il femminismo, l’ecletticismo, il fascismo, il cattolicesimo ultra-integralista, il nichilismo –, ciò dipende da tutto quello che sei. Qualunque cosa sei dipende da ogni cosa che sei: persone, luoghi, esperienze, libri, film, scuola, università, geni, ormoni, privilegi, corpo. E non sei nemmeno oggetto passivo di questo fiume di stimoli, ma soggetto attivo: assimili, raccogli, selezioni, prendi alcune cose e non altre, rielabori qualcosa e non qualcos’altro, scegli, vai di qui e non di lì. Ogni stimolo influenza le tue scelte, e ogni tua scelta influenza gli stimoli successivi che riceverai. Non è possibile scindere completamente qualcuno dalle esperienze che ha fatto, dalla scuola che ha frequentato, dalle persone che ha incontrato. Come si può pensare di scindere la sua razionalità dalla sua emotività?
E dunque come può un ateo militante dire di sé stesso di essere una persona razionale, come può dire di cercare la verità sempre e comunque, se sembra non accettare di sé stesso di poter cadere vittima di bias, pregiudizi personali e culturali, e tutto quanto ci rende fallibili e capaci di credere a idiozie? Nemmeno gli studi scientifici ne sono immuni e, al di là degli esempi di cattiva scienza (come lo studio sui vaccini e l’autismo), si pensi al razzismo scientifico o all’omosessualità considerata una malattia: tutte cose che avevano le loro prove più nei bias culturali degli scienziati che in tangibili risultati scientifici.
Il fatto è che tutti noi possiamo avere dei pregiudizi e dire a noi stessi che no, noi non li abbiamo, noi cerchiamo sempre e solo la verità utilizzando sempre e solo i puri strumenti che la razionalità ci offre, ma ci dà solo un altro pregiudizio, quello su noi stessi, e ci rende ancora più difficile la ricerca della verità.
E quindi comprendo l’ateo militante, ma sebbene io condivida ciò che pensa nel merito, non condivido la sua aggressività, perché forse comprendo da dove arriva, ma mi sembra che trovi il suo fondamento in qualcosa che non condivido. E mi sembra anche che, se fossi un’atea militante, sarei molto più infelice di quella che sono.
P.S.: Sospetto che l’ateo militante sul quale sto pubblicando questo commento non si fidi del fatto che io sia atea. Dunque approfondisco: dichiaro di essere atea, e non solo atea verso il Dio della tradizione abramitica come la spunta mi richiede, ma «atea profonda», come mi piace dire, cioè materialista: rigetto l’idea del piano spirituale, e tutto ciò che generalmente si mette nel piano spirituale o lo rifiuto (nessun dio di nessuna religione, niente anima, karma, tutto cosmico, destino o un’idea di natura panteistica) o lo ricolloco in un piano materiale (coscienza, intelligenza, sensazioni, emozioni, persino la fede in un dio, che per me è assimilabile a una sensazione). Ma d’altronde immagino che questo lo possa scrivere anche un credente che vuole passare per ateo, quindi non so onestamente in quale altro modo dimostrarglielo.
– Silvia


Quanto la critica a qualunque altro fenomeno. Anzi, anche più forte quando la religione si intrufola in ambiti nei quali non dovrebbe, anzi non deve avere competenza.
– Luke

Almeno quanto la religione stessa.
– Riccardo

Tipo…
«Voi, i cristiani, gli ebrei, i musulmani, i buddisti, gli scintoisti, gli avventisti, i panteisti, i testimoni di questo e di quello, i satanisti, i guru, i maghi, le streghe, i santoni, quelli che tagliano la pelle del pistolino ai bambini, quelli che cuciono la passerina alle bambine, quelli che pregano ginocchioni, quelli che pregano a quattro zampe, quelli che pregano su una gamba sola, quelli che non mangiano questo e quello, quelli che si segnano con la destra, quelli che si segnano con la sinistra, quelli che si votano al Diavolo perché delusi da Dio, quelli che pregano per far piovere, quelli che pregano per vincere al lotto, quelli che pregano perché non sia Aids, quelli che si cibano del loro Dio fatto a rondelle, quelli che non pisciano mai controvento, quelli che fanno l’elemosina per guadagnarsi il cielo, quelli che lapidano il capro espiatorio, quelli che sgozzano le pecore, quelli che credono di sopravvivere nei loro figli, quelli che credono di sopravvivere nelle loro opere, quelli che non vogliono discendere dalla scimmia, quelli che benedicono gli eserciti, quelli che benedicono le battute di caccia, quelli che cominceranno a vivere dopo la morte… Tutti voi, che non potete vivere senza un Babbo Natale e senza un Padre castigatore. Tutti voi, che non potete sopportare di non essere altro che vermi di terra con un cervello. Tutti voi, che vi siete fabbricati un dio “perfetto” e “buono” tanto stupido, tanto meschino, tanto sanguinario, tanto geloso, tanto avido di lodi quanto il più stupido, il più meschino, il più sanguinario, il più geloso, il più avido di lodi tra voi. Voi, oh, tutti voi
NON ROMPETECI I COGLIONI!
Fate i vostri salamelecchi nella vostra capanna, chiudete bene la porta e soprattutto non corrompete i nostri ragazzi. Non rompeteci i coglioni!»
François Cavanna (uno dei fondatori di Charlie Hebdo)
– Luca

Quanto può esserlo un rogo.
– Angelo

E perchè mai dovrebbe essere feroce? Feroce è un termine spesso legato ai predatori. Un ghepardo è feroce. Vi racconto una cosa sui ghepardi: toccano i 120 chilometri all’ora, per questo hanno un tempo molto breve di attacco. Se protraessero oltre avrebbero un grosso problema: le energie sprecate sarebbero troppe rispetto all’ipotesi di non riuscire a mangiare. La ferocia è fame. È rabbia. No. La critica alle religioni (e ai loro sistemi ) non può essere feroce ma costante. Non può fornire al nemico anche il ruole di martire. Costante, su più fronti, con ogni mezzo lecito. Razionale e non feroce. Argomentativa e non rabbiosa. Non si vince con la ferocia ma con l’astuzia e la costanza.
– Manuela

Non «può» ma deve. Bisogna, tutti, superare l’idea che criticare credenze antiquate e irrazionali sia una cosa da fare sottovoce.
Sempre attaccando le idee e portando rispetto alle persone, certo, ma ricordando anche che una critica blanda e superficiale e in qualche modo «trattenuta» per l’irrazionale paura di offendere qualcuno non sarebbe rispettosa verso noi stessi.
– Ivan

Parole schiette e senza edulcorare la realtà, se viene percepita come feroce il problema è nella mente di chi lo percepisce.
– Fabrizio

La mia parrocchia di nascita mi ha rifiutato lo sbattezzo. Devo passare di lì… poi vi racconto quanto feroce è finita la conversazione…
– Paolo

La religione va sopportata, classificata, gestita e tassata come una tossicodipendenza. Essa è paragonabile al tabagismo e all’alcolismo nei casi più estesi e all’uso di stupefacenti nei casi più gravi. La libera vendita va dunque riconsiderata, sia sul versante della salute pubblica che su quello della salute sociale. Alla libertà di culto vanno affiancati e applicati dei deterrenti culturali e delle profilassi di cura e sostegno.
– Claudio

In proporzione alla ferocia della religione.
Si tratta di autodifesa.
– Sandro

Dopo aver visto di nuovo Binetti in tv e averla sentita parlare? Direi che la ferocia non è esattamente quello che mi viene in mente, sarei più propenso a un bello «Sterminare!», in stile Dalek.
– Andrea

«Può essere» ferocissima. A brigante, brigante e mezzo.
– Gluigi

Interessante leggere quanto odio ci sia verso la religione. All’inizio mi sono chiesto come mai Choam Goldberg avesse tutto questo astio, e leggendo un po’ la sua biografia e i suoi articoli ho capito.
Per chi come me è cresciuto in un paese piuttosto laico e da genitori che non si filavano nessuna religione non sarà mai possibile comprendere fino in fondo quello che certi di voi hanno passato per colpa di questo club di svitati!
– Marc

È il «pensiero religioso» in sè a essere, in modo autotelico, irricevibile e inaccettabile come punto di «discussione»…
– Sergio

Mai quanto è critica e insulsa la religione.
– Giovanni

Quanto può esserlo la legittima difesa, ossia commisurata al pericolo. Ognuno può avere una sua percezione-valutazione-consapevolezza del pericolo che ha di fronte e, se parlo di me nello specifico, io sono profondamente convinto che la religione sia un cancro molto pericoloso, da combattere il più efficacemente possibile. Non nego che una parte di questa «ferocia» – non vado in giro armato di randello a caccia di religiosi – sia astio, risentimento, rabbia nel vedere cervelli contaminati e compromessi dai tarli delle varie forme di questo stesso cancro. Personalmente, ho passato tre anni della mia adolescenza in due collegi gestiti da «ministri» della religione cattolica. Ma ho conosciuto e ho per amiche anche persone contaminate da altre religioni e posso garantire che i danni alla parte logico razionale sono gli stessi… e la causa di tutto ciò va combattuta.
– Pier Paolo

Non c è bisogno della ferocia, se si espongono i fatti, secondo me.
Ma allo stesso tempo non ci sono argomenti che devono essere considerati «sacri» e sui quali non si possa fare critica.
– Anna Angie

Ognuno è libero di credere in una religione e decidere di appartenere a un’organizzazione religiosa (una Chiesa).
I problemi nascono quando queste persone si sentono in dovere di fare del proselitismo. Ed è proprio in questo momento che il non credente dovrebbe o ignorare oppure confutare ciò che gli viene propinato. La ferocia della critica dovrebbe essere direttamente proporzionale al grado di insistenza di chi vuol spacciare lucciole per lanterne.
– Giovanni

Quanto può essere feroce usare la logica, la razionalità, il buon senso, mostrare le evidenze o essere empatici? Molto: dal punto di vista del credulone, offendi la sua sensibilità religiosa! Sono le religioni che offendono la mia intelligenza (non mi ritengo particolarmente intelligente), offendono la mia umanità!
– Izabela


In poche parole: sacrosanta.
Elaborando meglio il concetto…
La blasfemia non serve a prendersela con fantomatiche divinità e sostenerne così l’esistenza, come pensano ancora in troppi, a quanto pare, bensì è un’arma contro tutto ciò che ruota intorno a certe credenze, perciò è un affronto alla religione. È chiaro che, se ci si sofferma sulla singola bestemmia verbale, il concetto può essere limitato, ma vi faccio notare che molti personaggi storici, dagli artisti ai filosofi, sono stati blasfemi e hanno combattuto la piaga delle religioni come hanno potuto, praticamente bestemmiando. Che sia avvenuto tramite opere pittoriche, saggi, affronti diretti o semplici imprecazioni, sono solo forme differenti, ma la sostanza è la medesima. La blasfemia è satira e ha moltissime sfumature, ma la cosa più interessante è che, senza la sua evoluzione storica, probabilmente non saremmo nemmeno qui a parlarne, perché sarebbe ancora proibito. Questa è la mia opinione: bestemmiare è alla base comportamentale di un non credente, non il contrario, poiché in pratica «dissacra» ciò che la religione ha istituito nei secoli, a discapito dell’umanità, deturpando e strumentalizzando una filosofia cosmica meravigliosa. Per quanto riguarda l’inciviltà, che dire? Se consideriamo che quasi tutta la civiltà si è «sviluppata» sulle religioni, sostenere che uno è incivile quando bestemmia è un’aberrazione e asseconda solo la volontà di un religioso. Trovo assai più incivile battezzare un infante che non può scegliere. Lo paragono addirittura a un abuso, anzi lo è. Se considerate che nel mondo islamico ancora c’è la pena capitale per blasfemia e che anche da noi era reato penale, come si fa a dire che non serve? Intanto bestemmiando si cambia, poi speriamo tutti che un giorno non ce ne sia davvero più bisogno. Ovviamente poi sono scelte di stile, ma non venitemi a dire che un ateo non deve bestemmiare perché è solo uno schemino che non si allontana affatto dal clima cattolico o di qualsivoglia religione, credenza o superstizione.
– Luke

Mi piace il suono deciso di malessere che esprime. Tanto mi basta.
– Manuela

Dipende dal contesto. C’è, secondo me, sempre un problema di rispetto delle persone. Fermo restando che per me bestemmia e parolaccia hanno la stessa valenza e indicazione d’uso, in alcuni contesti goliardici non ho nessun problema a usarli entrambi. Ma non mi sognerei mai di essere blasfemo o dire parolacce in famiglia, al lavoro o in generale in pubblico con degli sconosciuti. In questo senso mi dà anche fastidio chi bestemmia in pubblico, ma non è per rispetto della religione. Tutt’altro, in quel contesto mi dà fastidio la maleducazione e mi dà altrettanto fastidio chi usa il turpiloquio in pubblico senza un contesto adeguato. Poi che Choam sia sboccato in alcuni frangenti ci sta e anzi rende molto meglio il concetto: è appunto un contesto adeguato.
– AB

A livello giuridico non dovrebbe essere presa in considerazione nessuna ingiuria verso qualsiasi divinità. A livello personale dipende da chi pronuncia una bestemmia, se è o non è credente. Per un credente bestemmiare è una forma di insofferenza, di frustrazione, di delusione verso il proprio credo. Per l’ateo è un intercalare tanto quanto «Porca troia», dove non si sa cosa è porca nè chi sia troia. In ogni caso l’espressione deve essere libera e dipendente solo dal buon gusto personale.
– Bruno

Che è necessaria. Perché quando ad esempio rovescio un bicchiere sulla tavola non posso dire «Mannaggia». Non basta. A meno che non ci sia mia figlia nei paraggi.
– Riccardo

Tecnicamente è blasfemo anche dire che dio è un’invenzione o che il culto degli angeli è praticamente paganesimo, poi si se si parla anche di bestemmie…
Vivo in una terra in cui si dice una parola e una bestemmia, personalmente le evito come evito altre parolacce che non mi piacciono come suono. Non per il significato. Ogni tanto scappano, però. Come nel sopracitato bicchiere spano. Specie ai cenoni di Natale con zie bigotte.
– Jareth

Sono veneto.
– Jacopo

Io penso che è molto divertente! Ma solo con le persone giuste. In altri casi diventa una provocazione inutile o addirittura un insulto.
– Nicola

Dovere civile, fin tanto che in ogni angolo della vita si affaccia ‘sta merda di superstizione trovo giusto far sentire lo scontro, l’opposizione, la contestazione.
È un modo economico ed efficace
– Marco

Che è un diritto, affermando che nessun credo abbia il privilegio su un altro e soprattutto su un qualsiasi libero pensiero, permettendo di criticare e dissacrare. Come risponde un mio amico alla domanda «Ma se non credi perché bestemmi?», «Nel dubbio».
– Mirko

Mi fa pensare a Faber, «Il blasfemo», Spoon River.
– Anna

Giustamente bisognerebbe avere ben chiaro cosa è blasfemo e cosa no. Anche perché per molti versi anche un semplice dissenso dissacrante, magari anche artistico e quindi con un valore intrinseco maggiore, rientra nel concetto di blasfemia. Almeno per alcuni. Però è altresì ovvio che, benché possiamo inserire certi tipi di espressione in un ambito considerato blasfemo, non possono e non devono essere censurati. La protesta si esprime anche esaltando i toni. Resta la blasfemia intesa però come bestemmia e sfogo contro la divinità. E in questo caso permettetemi ma dico «e sticazzi». Posso sinceramente trovarla fastidiosa, come trovo fastidioso un intercalare con altre parolacce, però che questo fatto sia da considerare assolutamente deplorevole tanto da giustificare una sanzione amministrativa, o peggio penale, mi sembra eccessivo e assolutamente da combattere.
– Raffaele

Un reato immaginario rivolto a un essere immaginario.
– Gluigi

Come più volte detto: chi decide cosa è blasfemo? L’unico dubbio che mi pongo è: chi decide tutto in generale? Chi ha deciso che non posso ruttare a tavola, che non posso interrompere, oppure ogni sorta di comportamento tendenzialmente «poco educato»?
– Paolo

La blasfemia non mi dà fastidio. Comunque comprendo perfettamente che denigrare tout court la credenza di chi ne fa una ragione di vita non sia sinonimo di rispetto della persona che non sa distinguere sé stessa dalle proprie convinzioni trascendentali. Insomma una questione di «buona educazione». Certo è che, d’altronde e in poche parole, ciò che va detto va detto, a maggior ragione in questo mondo ipocrita.
– Giovanni

È una forma di comunicazione, che si vada dalla semplice imprecazione per esprimere rabbia fino all’utilizzo per semplice intercalare da parte dei veneti. Può essere anche una forma d’arte, in quanto viene utilizzata per intrattenere e divertire. Deve quindi essere libera.
Questo in uno Stato laico. Ma si sa che, se un vigile ti sente bestemmiare, qui in Italia può farti la multa. I bigotti sono permalosi quando si «offende» il loro dio e si sono fatti fare le leggi ad hoc per punire tali «empietà».
Se gli scienziati fossero così permalosi riguardo i paradigmi della scienza, in Arabia i terrapiattari verrebbero condannati a morte, in Egitto sarebbero in prigione e qui multati e probabilmente censurati.
Le assurdità terrapiattare non potranno mai portare a un cambiamento di paradigma, motivo per cui ci limitiamo a ignorare o a deridere queste «teorie».
I dogmi delle religioni non si discutono, i bigotti sono in possesso di tutte le verità rivelate, sono praticamente in una botte di ferro, però si offendono se qualcuno insulta un po’ le loro cose sacre. Valli a capire.
– Danilo

Io non vado in chiesa a bestemmiare. Posso accettare che i baciapile si manifestino fuori dalla loro capannuccia, ma non che mi dicano ciò che posso o non posso fare fintantoché non causo loro un effettivo danno.
– Franco

Mi piace immaginare un toscano e un veneto sulla stessa spiaggia, col tempo di merda fisso, che hanno appena scoperto di aver buttato i soldi della vacanza. Una fratellanza istantanea.
– Paolo

Una definizione stupenda: bestemmiare dio è l’unico modo di imprecare senza correre il rischio di offendere nessuno!
Bestemmiare dio è dimostrare a chi ne ha timore che «dio» è solo un imbroglio per fare breccia nella razionalità delle persone e poterle dominare.
– Paolo

Per quanto mi riguarda, tecnicamente la blasfemia non esiste, perché non ha senso parlare di offesa a qualcuno o qualcosa che non esiste.
D’altra parte, se con blasfemia intendiamo non il recare offesa all’oggetto stesso, ma alle persone che lo considerano importante (che esista o no), allora dobbiamo avere la coerenza di considerare blasfemia qualsiasi frase che offenda qualsiasi cosa, qualsiasi essere vivente e non, qualsiasi idea. Capite da voi che ciò finisce con il diventare reato di opinione, andando a ledere uno dei diritti fondamentali dell’umanità, che è il diritto di poter esprimere liberamente le proprie idee.
Concludendo: per me il concetto di blasfemia e quello di diritti umani sono in palese e irresolvibile contrasto. Tra i due, credo sia ovvio quale scelgo.
– Barbara


Semmai ogni tanto mi capita anche di non bestemmiare.
– Ivan

Ovvio.
– Daniele

Lavoro nell’IT. Abbiamo una dispensa papale per le bestemmie
– Massimiliano

Non quando c’è mia figlia. Ho un self control pazzesco e al massimo dico fra i denti «rcmdnn orcddd».
– Riccardo

Forte e chiaro. E non credo sia una mancanza di rispetto ma soltanto di semiotica.
– Adele

Eh no, Dio scotto, ovvio che no!
Mica si fa.
– Rolando

Tutti i giorni, ogni ora! È estremamente rilassante.
– Nicola

Non ho l’abitudine di imprecare o di bestemmiare, ma penso che sia un modo di sfogarsi senza offendere nessuno.
Non è che un ateo è diverso da un credente perché «senza Dio», siamo tutti (atei e credenti) senza quello che non esiste.
– Franca

È uno sfogo. Una piccola rivincita verso quell’organizzazione che ha circuìto – o che almeno ci tenta sempre – noi, i nostri padri e così via, togliendo, anzi rubando, a chi più e a chi meno, parte della nostra vita.
– Mauro

Spessissimo.
– Basilio

MI piace il contesto. Deve esserci un motivo, quindi la bestemmia diventa un rafforzativo. La bestemmia come intercalare alla veneta non mi affascina
– Paolo

Spessissimooo!
– Marta

Come diceva Margherita Hack: «Per forza, sono toscana». Ma ho iniziato tardi nonostante abbia perso la fede prima. Comunque non lo uso come intercalare, ossia inutilmente: il linguaggio, anche volgare, finché esisteranno tabù, ha comunque una funzionalità. Pensavo fosse offensivo, ma in realtà no, sarebbe l’ennesimo privilegio concesso ai credenti.
– Mirko

No, mai presa l’abitudine.
– Erica

Sì. E mi trovo spesso a dover giustificare perchè, da atea, bestemmio. E la cosa mi fa ridere, perchè non dovrei essere io a giustificare questa cosa, lo dovrebbero fare i cattolici. Comunque alla polemica sull’ateo che bestemmia sono solita rispondere che il suono della bestemmia è il migliore per esprimere dolore/rabbia/sconforto/rassegnazione. Ciò è il prodotto della meravigliosa fonetica della R della parola Porco e la D della parola Dio. Calcando la voce su queste lettere si ottiene il suono migliore possibile per esprimere sentimenti negativi. Siamo semplicemente devoti alla fonetica e ciò ci impone la bestemmia.
– Manuela

Sì, sono fiorentino, rientra nella nostra cultura, e devo aggiungere con maggior fantasia rispetto ai veneti, con tutto il rispetto. Aggiungo che anch’io devo spesso giustificare le mie bestemmie da ateo. La mia risposta: «Sono certo che non esiste alcun dio, ma, se ci fosse, è bene che sappia cosa penso di lui».
– Lemuele

Veneto.
– Jacopo

Sempre.
– Giuseppe

Tendenzialmente non vado mai oltre un porca miseria. Credo sia questione di abitudine.
– Anna

Campione olimpionico di tripla bestemmia carpiata con avvitamento.
– Giuseppe

Io per tradizione bestemmio i morti.
– Lavinia

Per lavoro ho frequentato per un lungo periodo di tempo degli amici toscani: chi va con lo zoppo impara a zoppicare! La mia non è mai stata una famiglia religiosa e a mio papà ogni tanto scappava un bestemmione, ma se disgraziatamente provavo a imitarlo ecco che scattava la reprimenda. Anche sulle parolacce classiche scattava un rimprovero, però meno eclatante. Poi frequentando una scuola assolutamente cattolica, con suore e preti, direi che i bestemmioni, così come le parolacce, erano assolutamente banditi. Questa era la mia cultura di partenza. Poi gli amici toscani… è diventato un intercalare normale, come dire babbo…
– Raffaele

Sempre.
– Rosa

Bestemmia: ius murmurandi!
– Antonio

È peccato verso quel porco di dio.
– Ernesto

Non bestemmio e mi dà un certo fastidio sentire bestemmiare. Non ne faccio una questione legale, ma di rispetto anche per le convinzioni (errate) altrui.
– Carlo

Yesss! Non me ne vanto – sarebbe meglio di no –, ma sono quei rari momenti in cui credo..
– Pier Paolo

No. E non per rispetto ai religiolesi, ma semplicemente perché bestemmiare dio gli attribuirebbe una qualche esistenza. Sarebbe come dire «Porco Babbo Natale».
Non mi restituisce nessuna soddisfazione.
Comunque apprezzo e comprendo chi lo fa.
– Gigi

Sempre… e mi fa pure bene.
– Sabrina

No, non mi capita: lo faccio espressamente.
– Fux

Sì, c’è poco da fare, è liberatorio. È uno sfogo in varie situazioni (in mezzo al traffico, quando trovi i ciclisti invadenti, quando incontri gli stupidi eccetera). «Offendi Dio!», mi rimprovera qualcuno. E qui c’è qualcosa che non quadra: può un Dio, che ha creato tutto l’universo e tutte le forme di vita che esistono, offendersi? Possibile che Dio, nella sua grandezza, abbia un’emozione tipicamente umana come l’offesa? Sì, perché l’uomo ha creato Dio a sua immagine e somiglianza. Saluti atei.
– Roby

Ho preso l’abitudine col tempo. La bestemmia creativa è un hobby interessante.
– Pasquale

Certo! Ogni volta che mi faccio male o mi va male qualcosa. Perché offendere un cane o lo zio? Meglio imprecare contro qualcuno che non esiste.
– Maria Rosa

Ne parlavo giusto stanotte con lo spigolo del comodino…
– Mario

Assolutamente sì, specie quando sono in macchina e trovo traffico, quando mi faccio male o quando mi cade qualcosa. Cioè spesso.
– Mattia

No, non mi piace farlo e non mi piace sentirlo. Lo trovo molto violento, anche inutile. Dico, anche con una nota di orgoglio, «Porco il clero», il che fa stranire parecchio quel bigotto di mio marito…
– Arianna

Bestemmiare, quando non usato come arma di difesa, è una caduta di stile. A mio parere.
– Angelo

I credenti umanizzano i loro dei perché, appunto, sono frutto della mente umana. «È come se offendessi mia madre: io ti denuncerei subito!», mi sono sentita rispondere una volta.
Appunto: tua madre esiste in maniera indiscutibile e incontrovertibile, il tuo dio che dovrebbe essere onnipotente e onnisciente e che mi potrebbe fulminarmi all’istante prima che io bestemmi no, non ve ne è prova.
Quindi ovviamente,non entrerei mai in una chiesa durante una messa per tirare giù un bestemmione, ma in strada, in un luogo pubblico, sul suolo di un paese laico – che in realtà dovrebbe essere aconfessionale – come l’Italia, non mi puoi davvero cacare il cazzo! Bestemmiare è davvero liberatorio e catartico ed esprime sul serio il massimo dissenso verbale che una persona vissuta in una società bigotta, opprimente e poco liberale come la nostra può esternare con una parola.
– Valeria

Negli imprevisti spiacevoli qualche improprerio, riferito sia al sacro sia al profano, mi passa per la testa e talvolta esce anche dalla bocca. Come già detto da chi si è espresso prima del sottoscritto, è un atto liberatorio che fa bene alla psiche umana. Dunque non vedo il motivo di sforzarsi a tralasciare possibili «espressioni irriverenti e rabbiose» nei confronti della bufala più grande che l’uomo abbia inventato.
– Giovanni

A me diverte sentirle soprattutto dagli altri. Su YouTube è pieno di video di poeti veneti e toscani che, in occasioni speciali, si dilettano nella nobile arte della blasfemia.
Inutile dire che scappano anche a me. Vuoi non deridere un po’ il frutto dell’ignoranza e delle superstizioni umane?
Però il vigile può multarmi se lo faccio per strada. Quindi cerco di trattenermi almeno in pubblico. I soldi stanno meglio in tasca mia che in quella di uno Stato bigotto.
– Danilo

No, mai, non ne vedo la necessità.
Impreco vari insulti, ma, visto che da piccolo non mi hanno mai lasciato bestemmiare, non l’ho mai imparato e se lo faccio è un atto intenzionale, nel caso in cui voglio fare un esempio durante un discorso.
– Leopoldo

Faccio prima a contare le volte che non l’ho fatto.
– Airis


Dipende dalle persone. Generalmente comunque preferisco evitare, per motivi di educazione, di bestemmiare in pubblico, ma privatamente lo faccio molto spesso.
– Basilio

Lavoro in un ufficio di IT: la bestemmia è il nostro modo normale di comunicare.
– Massimiliano

Non ho l’abitudine a farlo, il mio imprecare è «soccia», che non è raffinato ma assai radicato nel territorio.
– Anna

Proprio non mi viene. Impreco parecchio, semmai.
– Alberto

I perbenisti ipocriti si fingono basiti…
– Antonello

Io generalmente lo faccio per imprecare, quindi perché qualcosa di importante mi ha fatto girar le balle. In pubblico perciò deve essere qualcosa di grave, tipo 15 giorni fa, quando una tipa è uscita da uno Stop senza guardare e mi ha firmato tutta la fiancata della macchina, rischiando di peggio perché mi ha buttato sull’altra carreggiata, che ho fatto appena in tempo a rimettermi nella mia, prima di fare un frontale. Mentre constatavo i danni è partito un bel rosario e il mio ultimo pensiero era preoccuparmi di cosa pensassero i presenti. Poi mi sono calmato, ho calmato la ragazzina, abbiamo fatto la constatazione amichevole e ognuno a casa sua. In casa invece ne dico parecchie, tipo quando vedo il monocromatico (cit.) buttato in ogni telegiornale, sento qualche dichiarazione di Salvini o della zucchina, naturalmente il classico intruppare in qualche mobile, e anche in questi casi non mi preoccupo molto di che reazione possa avere chi mi circonda.
– Luke

Me ne curo così poco che manco me ne accorgo, #stopblasphemylaws
– Nicola

Io in casa uso un linguaggio libero e intercalo molto, ma non uso bestemmiare. Ciò non vuol dire che io ogni tanto non svacchi qualche moccolo, a volte anche fantasioso, ma se lo faccio vuol dire che la mia pazienza ha superato ogni limite, vuol dire che tra me e i miei gangheri c’è ormai una distanza siderale che quella tra la Terra e Proxima Centauri lévati. Vuol dire che sono prossimo all’omicidio – plurimo, tra l’altro –, quindi non me ne può fregare di meno di quello che pensano gli altri… anzi, spero proprio che capiscano che non è più il caso di continuare nessun tipo di discussione. La uso come deterrente.
– Raffaele

Dipende con chi sono. Gli amici che ho scelto e che frequento ovviamente non hanno nulla da dire.
– Rosa Patrizia

Generalmente chi ho intorno bestemmia quanto e più di me.
Ovviamente ci si attiene anche al contesto, non per credenza ma per educazione: ad esempio evitiamo di bestemmiare parlando con clienti o collaboratori esterni, anche se tra noi colleghi non ci facciamo problemi.
– Barbara

Evito di bestemmiare se ho di fronte dei credenti. Anche se mi è capitato che anche degli atei mi rimproverassero per aver bestemmiato.
– Anna Angie

In famiglia non bestemmio, così come evito il turpiloquio, avendo due bambini. Anche al lavoro evito per lo stesso motivo, avendo a che fare con pazienti anziani. Tuttavia, in piena pandemia di struttura, al lavoro, mentre cercavo di organizzare gli spostamenti degli infetti per creare una zona pulita, alla dodicesima ora di fila di lavoro, mi è scappato un «Porca Madonna» tanto liberatorio quanto inatteso dagli astanti, stupiti dalla naturalezza della «invocazione» e dal fatto che una donna in posizione di responsabilità «dicesse certe parole», come se il genere di chi parla potesse creare sostanziali differenze di interpretazione.
Con i miei genitori non bestemmio perché appartengono a Comunione e Liberazione ed evito il più possibile l’argomento religioso, un po’ per quieto vivere e un po’ per affetto.
Sono arrivata a quasi 40 anni prima di pronunciare la mia prima bestemmia, nonostante avessi compreso l’inesistenza di dio già da qualche anno. essendo stata una fervente credente, tra CL e oratorio, la bestemmia è per anni stata esclusa dal mio mondo, e pronunciarne una è stato il primo vero segnale dell’inizio di un cammino di emancipazione dalla religiosità.
– Elena

Non bestemmio mai, in nessuna religione.
– Carlo

Ho imparato a valutare l’interlocutore. Se bestemmio è perché ne capisce il significato, oppure lo urta e io volutamente gli devo dare fastidio. Non deve essere violento. Ad esempio, se ci fosse una 90enne del mio paese che sgrana un rosario, mi sembrerebbe una violenza gratuita.
– Paolo

Qui in Cechia dicono tutti «Gesummaria» e «Sacra(mentun)». Ogni tanto mi scappano.
– Erica

Non mi capita spesso di bestemmiare né di farmi sentire quando lo faccio, ma troppe volte mi sono sentita riprendere con la frase: «Però la bestemmia in bocca a una donna è più brutta».
– Livia

La bestemmia in contesti non protetti suscita sorpresa, rimprovero, disappunto, disagio, offesa. Dipende anche dal tono che si usa. In contesti protetti può essere molto divertente e liberatoria. Tra le cose interessanti che ho sentito dire riguardo la bestemmia, ci sono ad esempio: «Una persona intelligente non ha bisogno di bestemmiare» e «Se dio non esiste perché si dovrebbe bestemmiare?». Posso raccontare alcuni aneddoti. Alle Superiori mi ricordo che due compagni di classe facevano una gara: estraevano una lettera dell’alfabeto e vinceva quello che riusciva a trovare più bestemmie che iniziavano con quella lettera. Erano dei veri artisti e mi divertivano un mondo. Potrebbe essere un’idea, in effetti, quella di fare dei match di free style bestemmiosi. Con alcuni amici si scrivevano poesie con metriche classiche e canzoni a base di bestemmie. Personalmente, se so che posso offendere, non bestemmio. Non lo faccio molto in generale, comunque. Quando ero ragazzino, per provare, sono andato in mezzo a un campo e, lontano da occhi e orecchie indiscreti, ho smadonnato ad alta voce. Ero spaventato e mi sentivo in colpa, ma sotto sotto anche forte e impavido. Alla fine ho visto che non succedeva niente, quindi, volendo, si potrebbero anche sostituire le preghiere con le bestemmie e il risultato sarebbe lo stesso. Spesso mi sono chiesto come mai bestemmiare, per un italiano, possa essere così istintivamente liberatorio e divertente. Credo che sia una reazione all’aver subìto un’educazione religiosa: un’educazione oppressiva, moralista e irrazionale impartita da un’istituzione arrogante e manipolatoria. Un ragazzo inglese con cui ho vissuto qualche mese era affascinato dalla bestemmia, una modalità espressiva che in Inghilterra non hanno. Si potrebbero organizzare dei corsi…
– Frank


Presumo – o almeno così ho colto – che si parli della presunta apertura della Chiesa verso temi caldi. Temi che la paralizzano da secoli. Con grande eco, e poca verifica, sono state presentate al mondo le illuminate e moderne parole di Papa Francesco sulle unioni civili. Bene, io non ho trovato nulla. O, meglio, ho trovato delle dichiarazioni in cui il pontefice avrebbe commentato fatti dello Stato laico a lui perlopiù vicino di casa. La Chiesa è e resta sessista e omofoba. Come quei genitori che dicono «Ah, se mio figlio fosse gay io lo accetterei», sapendo che il loro figlio non è gay. La chiesa è quello che è sempre stata: ha solo un buon media manager. La regola? Parafrasare, alludere, rinnegare quanto velatamente detto o non detto.
– Manuela

Grazie a dio no! A dirla tutta siamo davanti a un rinascimento ateo: la gente oggi può dire di essere atea senza timore di essere poi emarginata socialmente, e molto spesso può dirlo anche senza timore di ripercussioni professionali. 30 anni fa era diverso: giuro che me lo ricordo, anche se ero un bambino. La mia impressione è formata dalla conoscenza del tessuto sociale veneto e calabrese: vivo in un posto ma provengo dall’altro.
– Nicola

No, tutt’altro. Io più che un rinascimento vedo una rinascita del senso religioso, nel senso peggiore del termine, ovvero il tentativo di usare le boiate dettate dalle religioni per imporre leggi e regolamenti anche a chi disconosce le dottrine «rivelate». Mala tempora currunt
– Luke

Poiché il Vaticano sta in Italia come nelle aziende stanno gli organismi di certificazione qualitativa dei sistemi di gestione, anche le ovvietà, se espresse dagli ispettori-certificatori, trovano l’accoglienza di una meraviglia dello scibile universale. Perciò qualsiasi affermazione del Papa trova politici e media che come bambini «fanno ohhhhh / che meraviglia / che meravigliaaa…».
– Claudio

Non credo. Viviamo nell’epoca più laica di tutta la Storia dell’umanità. E sarà sempre meglio, solo che ci vorranno secoli se non millenni per avere una società veramente laica. Purtroppo non ci sarò a vedere il risultato…
– AB

In Europa l’inconsapevole prospettiva della prossima generazione è quella del catto-islamismo, così come per la nostra è stata, altrettanto inconsapevolmente, quella del catto-comunismo. La sterilizzazione dell’Illuminismo è l’obiettivo condiviso delle religioni e il sincretismo verrà utilizzato e sarà applaudito come efficace alternativa al coltello.
– Claudio

Non credo si tratti di una riaffermazione del pensiero religioso, semplicemente dell’affermazione dell’ignoranza. Quando la cultura scarseggia, maghi e santoni compaiono in ogni angolo.
– Riccardo

Penso di sì.
La religione si nutre di paure, e in questo periodo il terreno è fertile.
La risposta cambia a seconda dell’accezione che attribuisco alla locuzione «rinascimento religioso», ma le motivazioni sono quelle.
– Filo

Se consideriamo le teorie del complotto e la pseudoscienza religioni, sì.
Per quanto riguarda il cattolicesimo, non mi sembra sia cambiato granché. O forse non ho colto io cambiamenti significativi, tranne per la prima volta alcuni cattolici fanatici in disaccordo col Papa.
– Anna Angie

Purtroppo penso di sì! Non la rinascita delle religioni monoteistiche che, quale più e quale meno, hanno subìto o stanno subendo e che stanno agonizzando, bensì la nascita di nuove religioni forse meno dogmatiche, ma sempre con lo scopo di creare gruppi dal pensiero unico. E sempre facendo leva sui bisogni affettivi delle persone che non hanno troppo tempo per pensare o documentarsi. Insomma, per farla breve, altri umani prenderanno le redini di questo potere.
– Giovanni

Un rinascimento religioso falso sì, pieno di ignoranza, fanatismo, valori religiosi inutili e privi di fondamenta.
– Alfonso

Sì, a un tentativo di rilancio della religiosità in varie forme, perché essa è funzionale al controllo delle persone. Chi crede all’arca di Noè o alla reincarnazione o ai surreali dogmi cattolici vuoi che non creda alle politiche economiche, sociali e militari dei governanti?
– Giulio

Non so in altri stati, ma in Italia vedo tra gli adolescenti una tale indifferenza religiosa che fa «paura». Questo perché gli adolescenti di oggi, tra i quali del resto ci sono anch’io, hanno maggiore spirito critico e reputano importante porsi delle domande esistenziali? Ma per un cazzo. Semplicemente non gliene frega niente. Aiutano comunque all’allontanamento dello sviluppo del pensiero religioso in futuro. Poi che allontanino anche da un futuro è un altro discorso.
– Jakopo


Il teologo Küng, morto di recente, aveva affermato che nel mondo non ci sarebbe stata pace senza che le religioni si fossero rappacificate tra di loro.
Di conseguenza, seguendo il suo pensiero da insider, il problema per la pace sono le religioni: tutte, direi.
– Federico

Il capitalismo.
– Daniele

Quella predominante. In Italia sicuramente quella cattolica, così come in Polonia e dovunque sia prevalente. E così via. Nella «nuova culla del Rinascimento», l’Arabia Saudita e in tutte le teocrazie islamiche ovviamente l”slam. Ma pure in India gli indù sono pericolosi per gli altri e fanno danni. E poi sì, anche quelle che crescono, anche fuori dal loro contesto originario, più velocemente.
– Luke

Dipende dalla sviluppo sociale di un Paese.
– Enrico

La religione di Stato, quella che si può avvalere anche di forze pubbliche per imporsi.
– Paolo

Nell’attuale periodo storico ce n’è una sola che si espande in tutto l’Occidente a partire dai suoi templi e centri culturali, per lo più diretti e finanziati dalle peggiori teocrazie del globo. Regimi che prosperano in nome di una folle divinità con la fobia per il maiale e le donne a capo scoperto, in cui vige una lugubre legge religiosa che prevede per le donne meno diritti di un animale domestico oltre che la pena di morte per apostati, blasfemi e omosessuali.
Una sola che anche nel libero Occidente impone sistematicamente il suo credo con la violenza e i metodi mafiosi sia all’interno sia all’esterno delle sue comunità, ottenendo straordinari successi nell’espandere la propria ideologia, che ormai è largamente dominante su scala globale.
Una sola che con una sapiente combinazione di intimidazioni e vittimismo è riuscita a modificare profondamente uno dei pilastri della cultura laica e liberale occidentale, frutto di secolari battaglie: il concetto di libertà di satira e di espressione che ormai anche tanti laici vogliono ridefinire al ribasso in nome di un «Vivi e lascia vivere» che mette nelle mani degli estremisti il potere enorme di decidere che cosa va censurato e che cosa è offensivo.
Non si contano i personaggi pubblici, intellettuali, scrittori, giornalisti e attivisti, ma anche comuni cittadini poco più che adolescenti – Mila vi ricorda qualcosa? – costretti a vivere sotto protezione come pentiti di mafia colpevoli di aver esercitato la libertà di critica o di satira verso quella che è a tutti gli effetti un’ideologia totalitaria e suprematista mascherata da religione. Purtroppo per molti di loro la sentenza di morte per blasfemia è andata tragicamente a segno.
Chiediamo a loro qual è la religione più pericolosa.
– Gigi

L’islam è abbastanza avanti. Non fosse altro per il fatto che le viene concesso molto spazio in nome della tolleranza e del politicamente corretto. Spazi che sarebbero impensabili per ogni altro. In Gran Bretagna hanno persino il diritto di farsi giudicare da tribunali personali!
– Gluigi

L’individualismo.
– Federico

Io le ritengo tutte pericolose, insieme alle pseudoscienze.
– Anna Angie

Il cattolicesimo.
– Ester Roma

Che domande! Lotta impari. Ma – scusate – se sentite la notizia di teste mozzate, gente accoltellata, donne obbligate a coprirsi dalla testa ai piedi, vignettisti uccisi e apostati minacciati di morte… per caso vi viene mai il dubbio che sia stato un ebreo? O un cristiano? O un buddista? Ci sono centinaia di religioni nel mondo, ma oggi dietro le peggiori nefandezze ce n’è sempre solo una. Sempre la stessa.
– Lucio

Senza alcun dubbio le tre religioni monoteiste. Il concetto di un dio unico è nefando.
– Giovanni

Tutte le religioni sono pericolose e dannose: inducono l’essere umano a trasformarsi da cittadino in suddito!
– Giovanni

Le tre religioni monoteiste, sicuramente, e in egual modo. La Storia e i fatti lo dimostrano!
– Antonello

Credo la religione con maggior potere all’interno della società, quella cioè che riesce a interferire politicamente con la vita di chi non fa parte del culto. Inoltre una religione è tanto più pericolosa quanto più ha una vocazione universale: cioè vuole far proseliti, evangelizzare, incidere politicamente in ogni contesto e rendere le sue leggi obbligatorie per tutti.
– Frank


Purtroppo è qualcosa che sono costretto a subire.
– Giovanni

Di più quello nei Paesi avanzati. Quello nei Paesi arretrati è ancora vulnerabile agli anticorpi della modernità, il primo sembra aver sviluppato resistenza.
– Pietro

Sì, mi preoccupa molto, perché tende a limitare le libertà nella convinzione di essere nel giusto.
– Massi

Degli integralisti, ma più in generale degli ignoranti, mi preoccupa soprattutto la fertilità. È risaputo che c’è una relazione inversa tra grado di istruzione e numero di figli. Quindi l’ignoranza e l’estremismo hanno un potente vantaggio biologico di distribuzione. Motivo per cui scuola e istruzione a tutti livelli e in tutti i Paesi sono cruciali per il nostro mondo.
– Marc

Tutti gli integralismi mi preoccupano, anche quelli nell’informatica e nello sport.
– Massimiliano

A me preoccupa il fatto che gli integralisti si incazzano se applichi i loro dettami assurdi nei loro confronti.
– Riccardo

In quanto donna mi preoccupa moltissimo. Sappiamo bene, come scrive Giuliana Sgrena, che Dio odia le donne.
– Anna

Sarò laconico ma anche canonico: la mia risposta è si. Ma non solo mi preoccupa, mi dà proprio fastidio, come un gattaccio alzo il pelo e mi viene voglia di invadere la Polonia. Ricordiamo però che è la stupidità a guidare certi eccessi. Purtroppo essere stupidi non è una malattia e non si può nemmeno curare, lo sei e ci resti. E l’abbinamento della stupidità con la religione – ma anche con qualsiasi altra ideologia, pensiero, idea eccetera – diventa una miscela tipo acido nitrico e glicerina… e alla fine boom.
– Raffaele

Mi preoccupano meno dei «moderati». Dove la scuola non è ancora intervenuta, c’è speranza. Magari è necessario ancora un salto generazionale, ma si può fare qualcosa. È gente tutto sommato istruita come Pillon che per me è un vero cancro.
– Paolo

Come tutti gli integralismi, specchio di patologie psichiatriche. Ho conosciuto vegani integralisti che volevano uccidere tutti i carnivori. Ho dovuto difendermi brandendo una melanzana.
– Andrea

Sì, come qualsiasi mancanza di apertura mentale assoggettata, per comodità, a un pensiero unico declamato da un… «pastore». Non per nulla i soggiogati sono considerati membri di un gregge!
– Giovanni


Dare un senso alle cose è un vezzo e un vizio della mente umana. La vita non ha senso. La morte non ha senso. Non ha senso e non è né giusta né ingiusta. Quello che facciamo nel tempo che abbiamo determina il nostro senso, come vediamo le cose, come le incalaniamo sui binari della nostra logica. Sento un «senso» se faccio qualcosa per gli altri, se assecondo una passione, se rispetto i valori che ho scelto. Lo sento io. Ciò non implica che questo senso ci sia davvero.
– Manuela

E perché non potrebbe?
– Mauro

Concordo con i due commenti precedenti, e aggiungo che anzi se ci fosse un dio onnisciente e onnipotente il senso della nostra vita sarebbe ben misero: senza libero arbitrio saremmo tutti robottini, e nell’altro caso la nostra vita sarebbe solo un esame di cui l’esaminatore conosce già l’esito.
– Ivan

Viene da fare una domanda contraria: se l’esistenza è un «dono» di Dio, allora ha senso?
È come chiedere se un diorama ha senso senza l’autore.
– Massimiliano

Assolutamente no, e mi spingo oltre: tra 5 miliardi di anni il sole ci brucerà e cancellerà ogni traccia della nostra esistenza. Saremo quindi esistiti? È un po’ come la storia dell’albero che cade senza che nessuno lo senta…
– Marc

Non è tanto l’esistenza o meno di dio a dare senso alla vita, quanto piuttosto l’esistenza di un’anima che sopravviva al nostro corpo, e, di conseguenza, l’esistenza di un’aldilà. Le due cose, dio e aldilà, non sono legate: potrebbe esistere un’aldilà senza dio, ed è ciò che credono i buddisti. La cosa è importante perché, una volta che ci si libera dal vincolo di dover pensare che o c’é dio o non c’é nulla, si apre un mondo di possibilità. L’aldilà potrebbe essere una dimensione metafisica come immaginano i buddisti, ma potrebbe anche essere una dimensione parallela alla nostra e perfettamente spiegabile scientificamente.
– Giulio

Quando questa domanda la fanno i credenti, di solito rispondo che l’esistenza di dio non darebbe automaticamente senso alla vita. Spesso lo si dà per scontato anche tra i non credenti, ma scontato non è e andrebbe argomentato. Tra l’altro, si può anche argomentare il contrario, cioè che l’esistenza di dio priverebbe la vita di senso. Lo ritengo un punto importante, perché questa concessione pone noi non credenti automaticamente in una posizione difensiva, in cui dobbiamo affannarci a trovare un senso alla nostra vita, mentre i credenti ce l’hanno «gratis» per il solo fatto di essere credenti. La mia opinione è che la vita di per sé non ha «senso», nel senso – ah ah – che siamo semplicemente una delle tante specie uscite dalla lotteria dell’evoluzione, frutto «del caso e della necessità». Questo del tutto indipendentemente da dio. Poi, in quanto esseri pensanti, possiamo dare alla nostra vita il senso che vogliamo, ed è una questione personale, per credenti e non credenti. Per qualcuno sarà sicuramente la fede in Dio, ma è solo una delle tante possibilità, non ha né più né meno valore di altre.
– Daniele

«La risposta è dentro di te, però è sbagliata.» Cit.
– Gianluca

L’esistenza non ha un senso: si esiste perché ci sono le condizioni adatte alla vita, almeno su questo pianeta.
– Anna Angie

Dio chi?
– Giancarlo

Quando vedo correre il mio cane, felice solo della mia presenza, quando lo guardo negli occhi, anche se sono consapevole che lui durerà poco, ma lui non lo sa e forse è felice per questo, la consapevolezza non serve a nulla… È veramente una maledizione, solo nell’innocenza troviamo un senso alla vita…
– Luca


Al di là di aver trasmesso il mio DNA, me la godo con i miei interessi. L’unica cosa che mi secca è perdermi – temo – i risultati delle prossime missioni, specie l’esplorazione dei mari di idrocarburi su Titano e di quelli su Encelado, Europa, Ganimede. In subordine la scoperta di tracce almeno di vita passata su Marte. Forza Perseverance! E aggiungo, come ci disse padre Coyne, che la vita extraterrestre sarebbe per i teologi un serio problema. Poi venga pure il Grande Sonno.
– Marco

L’unico senso che posso dare alla mia esistenza è quello di fare star bene le persone a cui tengo di più o almeno di fare del mio meglio perché facciano una vita dignitosa. Una volta sembra che l’avvocato Agnelli abbia detto che in fondo lo scopo principale della vita è stare bene. Condivido questa Weltanschauung.
– Basilio

È una domanda tipica del mondo dei credenti e sarebbe il momento di cominciare a valutare la giusta risposta: «Sono cazzi miei!».
– Giovanni

Il senso di ciò che io riesco a fare di me e con le mie capacità nel mondo. «L’importante non è ciò che è stato fatto di noi ma ciò che noi facciamo con quello che è stato fatto di noi.» (Jean-Paul Sartre)
– Fabrizio

Cercare di migliorare me stesso ogni giorno, imparare quotidianamente qualcosa di nuovo, cercare di lasciare il mondo, per ciò che mi è possibile, migliore di come l’ho trovato. Ma anche spassarmela un po’, per come posso senza alterare le altre intenzioni, perché la vita è una sola e la morte la sua fine. Questo è ciò che cerco di fare per dare un senso alla mia vita.
– Luke

Mia madre, credente, vive con l’idea che un giorno sarà di nuovo con mio padre. Io sono oggi la persona che sono grazie a loro, e poi ho elaborato le mie qualità e i miei pensieri. A mia volta fatto questo con mio figlio, cercando di trasmettergli qualcosa affinché diventi un uomo che abbia certe possibilità. Alla fine un po’ di mio padre vive in mio figlio nell’uomo che diventerà. E così avanti.
– Paolo

Un fulmineo giro di giostra su una giostra molto malandata.
– Anna

Per me il senso della vita è la vita stessa, morte inclusa! Cercando di esistere nel miglior modo possibile nelle mie capacità di essere vivente, assorbendo e donando nelle mie capacità! Semplice e complesso nello stesso tempo! Punto!
– Fabio

So di esistere per concatenazioni casuali di eventi, sia sul piano evolutivo sia su quello individuale. Quindi me la vivo casual.
– Jacopo

L’esistenza non ha un senso. Si esiste e basta.
– Anna Angie

Non ho mai pensato al senso della vita. Quando sentivo qualcuno accennare l’argomento scappavo via. Questa fatidica domanda esistenziale non mi ha mai né colpito né entusiasmato. L’ho sempre trovata ridicola. Quindi non ho nessun senso della vita. Diciamo che sono un a-senso della a-vita… che brutta persona che sono, sono una a-persona. Anche se mi sforzo e provo a pensare a ‘sto benedetto senso, devo dire con estrema sincerità che non mi viene fuori niente. Eppure dico con franchezza estrema che morire mi rompe le palle e di molto anche. Non ho proprio voglia di chiudere gli occhi e di non aprirli mai più. Mi scoccia non sapere cosa succederà nel mondo e come tutto finirà… perchè tutto finirà un giorno, o una notte. Ma d’altronde che posso farci? Niente. Mi scoccia essere nato quando sono nato. Se fossi nato nel futuro avrei magari potuto usufruire dell’invenzione dell’elisir di lunga vita. Anche se forse non sarei più stato io. Mi piacerebbe però tornare indietro e rivivere la mia vita: eviterei certi errori e mi godrei di più ogni momento… Il senso della vita… magari il senso non ha senso e la vita non è vita… chissà!
– Raffaele

Nessuno,ma si può fare in modo che non sia così male (se si ha fortuna).
– Marco

Personalmente sono un edonista filosofico. Gli esseri umani (e i senzienti in generale) sono il fulcro del valore universale, i generatori e i fruitori di ogni valore in quanto soggetti di esperienza. E il piacere, in tutte le sue forme e sfumature (come sensazione semplice, come preferenza soddisfatta eccetera) assieme all’evitamento del dolore e della carenza, è il senso dell’esistenza. Senso oggettivo, come è oggettivo il nostro essere fulcro valoriale universale.
Vivere stati positivi di coscienza, evitare/oltrepassare stati negativi di coscienza, in relazione o meno con l’ambiente, in modo possibilmente collettivo, sia per convenienza sia per logica. Il massimo di fruizione positiva è la fruizione di tutti. Da questo senso oggettivo fioriscono i varissimi sensi soggettivi, possibilmente regolati tramite la ragione per ottimizzare l’esistenza.
– Simone

Il senso della mia esistenza è la mia esistenza stessa.
Altro senso non c’è.
E ciascuno la declina come meglio riesce, consapevole o meno di quello che sta facendo.
Godiamocela, nel pieno rispetto delle esistenze altrui.
– Rolando

Il piacere di stare con gli altri, comunque, cercando di far qualcosa per tentare di migliorare un’equa socialità. Un’utopia, quando ci si rende conto che il più debole non può nulla contro il più forte!
– Giovanni