«Abbasso i tolleranti», di Claudio Cerasa, è una ciofeca deludente.
Su questo saggio avevo delle aspettative: speravo fosse una lettura provocatoria. Abbastanza quanto meno da suscitare qualche riflessione. Invece mi sono sciroppato una sfilza di lezioncine piene di luoghi comuni grondanti moralismo di mezza tacca e proposte con una maieutica da quattro soldi, con quelle penose domandine alla fine di ogni capitolo che sembrano oneste ma di fatto sono retoriche. Per la serie: «Adesso ti racconto delle cose originali alle quali non avevi mai pensato da solo e ti aiuto a capire come stanno davvero le cose».

Il sogno di ogni analista: avere in terapia Dio. Ma non per Ella, atea e madre single di un adolescente autistico. Che con il Dio della sua infanzia ebraica non ha mai avuto un buon rapporto. Tuttavia, di fronte al disagio psicologico di questo nuovo paziente, non si nega alla sfida.
Ogni ateo ha la propria storia: chi lo è da sempre perché non ha mai ricevuto un’educazione religiosa, chi l’ha ricevuta blanda e diventa ateo senza strappi dopo aver riflettuto, chi perde la fede per reazione a una religiosità infantile opprimente. Questo è il caso di Ken Follett, di cui EDB ha appena pubblicato «Cattiva fede», riedizione in due lingue di un lungo articolo autobiografico già uscito su «Granta».
In queste frasi, verso la conclusione del saggio, si trovano la tesi centrale dello storico fiammingo David van Reybrouck e insieme il fallimento di quella stessa tesi. La tesi: la democrazia elettorale è moribonda e bisognerà sostituirla con una democrazia fondata almeno in parte sul sorteggio. Il fallimento: la fiducia dell’autore nella capacità dei sorteggiati di amministrare in modo efficace la res publica.
Facciamo un Gedankenexperiment. Supponi di poter scegliere il sistema politico nel quale vivere: una monarchia assoluta nella quale il sovrano è intelligente, colto, razionale, laico, altruista, aperto, buono, oppure una democrazia a suffragio universale nella quale la maggioranza è stupida, ignorante, credulona, bigotta, egoista, gretta, immorale. Hai qualche dubbio? Io no. E, se anche ne avessi uno piccolo piccolo, questo saggio me lo spazzerebbe via. Perché questo non è un libro bello: questo è un libro stre-pi-to-so. Questa è l’ultima, definitiva parola sul suffragio universale: in apparenza una conquista della civiltà, in realtà una delle peggiori iatture per l’umanità, secondo solo alla sfiga dei monoteismi rivelati. Jason Brennan è il nuovo Platone. E scusa se è poco.
A volte l’anticlericalismo mi disturba un po’. Sia chiaro: lo capisco. Di più: lo condivido. Ci mancherebbe. Però, più che alle lagnanze anticlericali, preferisco interessarmi al problema filosofico dell’esistenza di Dio. Mi sembra più stimolante. Problema con una soluzione inevitabile: Dio non esiste. Palese, per chiunque ragioni in modo razionale. Assodato questo, tutto il resto vien da sé: la Chiesa è un sistema di potere arcaico e fondato sulla superstizione, chi rifiuta i suoi dogmi è discriminato… eccetera eccetera. Lapalissiano: l’anticlericalismo è una naturale conseguenza dell’ateismo e dovrebbe essere quasi superfluo difenderlo come prassi.
Una religione teista rivelata (ovvero l’ebraismo, il cristianesimo e l’islam, per intenderci) è compatibile con una società aperta, tollerante, democratica? Pensando alle stragi degli ultimi anni, si direbbe di no. «Invece sì», affermano i sostenitori delle versioni moderate delle religioni, «perché i terroristi sono fanatici fondamentalisti, traditori del vero spirito delle nostre fedi, in realtà tutte accomunate dall’amore e dalla pace, come sanno bene i credenti sinceri». Ah ah.
Cerchi un libro di filosofia? Un libro convincente perché ben argomentato? Un libro capace di sollecitare riflessioni profonde? Allora non è questo. Perché il saggio di Maisel è una specie di manuale di auto-aiuto per chi si vuole disintossicare dalla fede religiosa e dalle stronzate paranormali: stesso tono entusiastico, stessa ambizione evangelizzatrice, stesso florilegio di testimonianze di convertiti. Ma la sostanza filosofica non c’è. Nemmeno un po’.