Dedicato agli apologeti dello zoo dei bigotti.
Se vuoi esprimere la tua opinione su questo video, scrivi a leternoassente@gmail.com
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I credenti affermano di «sentire» l’esistenza di Dio. E vabbe’: diamogliela per buona. Se però è un Dio ben preciso, «sentire» non basta.
Che cos’è la fede? La dico in modo semplice: la fede consiste nell’atto di credere che qualcosa sia vero anche senza averne le prove. Infatti, se ci fossero le prove, non sarebbe fede bensì conoscenza. Per esempio, io non ho fede nel fatto che la Terra ruota intorno al Sole e non viceversa: io so che è così. Lo so perché conosco tutti gli argomenti a favore del modello eliocentrico. Non c’è niente da credere.
O l’una o l’altra. Oppure la dissonanza cognitiva.
Copio dal Gruppo Facebook di uno dei tanti apologeti bigotti che appestano i social network:
Da laureato in Fisica ritengo che i vari Odifreddi e Flores D’Arcais abbiano fatto danni incalcolabili presentando la fede cattolica come un coacervo di superstizioni totalmente irrazionali. Creando questo gruppo voglio controbattere queste affermazioni dimostrando che la vera fede ha sempre un supporto razionale e che sono gli atei che ho nominato a non usare correttamente quella razionalità di cui si vantano.
E niente: fa già ridere così. Se pensiamo alla resurrezione di Cristo, alla Trinità divina, al peccato originale, alla verginità della Madonna, alla transustanziazione e al resto del cumulo di cazzate che per i bigotti sono Verità, la loro pretesa che il cattolicesimo sia razionale fa scompisciare dalle risate. Se possedessero un briciolo di onestà intellettuale, ammetterebbero di credere in quel pattume intellettuale per pura, semplice, elementare fede. Quindi in modo irrazionale, appunto.
Sicché adesso smettiamo di ridere e vediamo la differenza fra fede e ragione.
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E ognuno merita un punteggio diverso sulla scala di Dawkins.
La fede in Dio è razionale: c’è un intero settore dello zoo dei bigotti – ossia il gregge degli apologeti cattolici al pascolo nei social – che ha fatto di questa tesi il nucleo della propria propaganda. Troviamo la stessa tesi nel magistero ratzingeriano, secondo il quale fede e ragione sono compatibili. Eppure rimane una tesi priva di fondamento. Anzi proprio sbagliata.
La morte non è il Male. E un’altra teodicea non regge.
La community de L’Eterno Assente è formidabile: persone tutte diverse, ciascuna con la propria peculiarità. Per esempio, se di me i bigotti dicono che ho la fissa della teodicea, allora dovrebbero conoscere il mio gemello, rust: la sua passione è la caccia in rete ai documenti più strani, che poi sottopone agli altri come provocazione intellettuale. Con una predilezione per le teodicee, appunto. Sua è la scoperta degli articoli sul Male come assenza di Bene. Suo pure il rinvenimento della tesi di laurea con una panoramica sulle teodicee. Alcuni mesi fa rust ha scovato una nuova chicca, che ora finalmente vado ad analizzare.
Senza nemmeno usufruire della Legge 194.
Innumerevoli sono gli esempi di sofferenze a disposizione degli atei per argomentare contro l’esistenza del Dio abramitico, che dovrebbe essere onnisciente, onnipotente e buono e dunque dovrebbe amare e proteggere le proprie creature. Fra i molti, Mattia, nella community de L’Eterno Assente, attira la mia attenzione e condivide con me alcune riflessioni su un caso poco considerato: gli aborti spontanei.
Certo. Nel Libro sacro, nelle dottrine e nelle teste dei credenti. Ma non lo si può dire, ché altrimenti si passa per islamofobi.
L’islam è davvero differente e, dal nostro punto di vista, peggiore delle altre fedi abramitiche?
Sul piano dottrinale no: sono tutte dogmatiche, intolleranti, violente, patriarcali, sessiste, omofobe. Lo sono perché tutte si fondano su una Rivelazione divina annunciata in qualche Libro sacro. Libro nel quale si trovano, appunto, dogmatismo, intolleranza, violenza, patriarcato, sessismo, omofobia.
Sul piano pratico invece…
Che cosa gli chiederesti?
Ancora un guest post de L’Eterno Assente. Mattia Fabbri, docente di storia e filosofia, risponde a una domanda che tanti atei si sono sentiti porre.
Una delle domande che i credenti rivolgono più spesso agli atei è: «Che cosa faresti o diresti a Dio se, dopo morto, scoprissi che esiste?». Ricalca un po’ la vecchia scommessa pascaliana – quello che io chiamo «argomento del non-si-sa-mai» – e in genere fa presa sulle persone con un livello di istruzione molto basso e incapaci di scrollarsi di dosso i condizionamenti dell’indottrinamento religioso infantile. La domanda è comunque viziata da un sottinteso: l’unico Dio possibile, con cui l’ateo dovrà fare i conti, è quello creduto dal credente di turno. Così trascurando il fatto che ci sono migliaia di religioni e rispettive divinità differenti, ciascuna con la propria volontà, spesso in contrasto una con l’altra. Il credente che pone la domanda non immagina – o non vuole immaginare – che, seguendo la sua stessa «logica», anche lui potrebbe, dopo la morte, trovarsi davanti a un Dio – o magari a più dei? – in cui non ha creduto.
L’Eden è molto più razionale del fine tuning.
Fine tuning: così lo chiamano gli apologeti. In sintesi: le costanti fisiche dell’universo hanno precisamente i valori giusti affinché possa emergere la vita e dalla vita possa svilupparsi la coscienza umana. Se anche una sola delle costanti fosse stata appena un po’ diversa, qualcosa sarebbe andata storta e l’umanità non sarebbe mai apparsa. Questa – dicono sempre gli apologeti – è una prova dell’esistenza di un progetto dietro l’universo, con lo scopo preciso di arrivare a creare Homo sapiens. Poi, se sono abramitici, gli apologeti aggiungono che Homo sapiens non è un animale qualsiasi, ma è dotato di un’anima immortale ed è la creatura prediletta dal Creatore. Eccetera eccetera. Sorvoliamo sui dettagli e restiamo all’argomento del fine tuning. Che può essere demolito in molti modi. Io però voglio concentrarmi su una critica precisa: se le cose stanno così, Dio è un coglione.
Ma senza sacrificare la scorrevolezza e la leggibilità.
«Questo verbo esprime la esatta sfumatura semantica che voglio comunicare, oppure potrei usare un sinonimo più efficace? E quella virgola si giustifica oppure è meglio toglierla?». Io soffro, quando scrivo.
Il complimento più bello che mi sia mai stato rivolto da una lettrice è: «Sembra di ascoltare la tua voce». Tuttavia dietro questo stile colloquiale e scorrevole c’è un lungo e sofferto lavoro di revisione e cesellatura: ogni parola, ogni segno di interpunzione negli articoli de L’Eterno Assente è frutto di una scelta ponderata. In particolare sto attento all’inclusività.
Adesso però anche basta.
Un sotterfugio per rendere decente e presentabile un atto intellettuale che invece è indegno.
La radice etimologica è la stessa: il latino «fides». Perciò sentiamo spesso questo argomento da parte dei bigotti: siccome tutte le nostre vite sono basate sulla fiducia, allora anche la fede in Dio è ragionevole. Beh, ‘stocazzo.