La salvezza non in dio ma da dio

Alessandro racconta la propria Storia per «Io senza Dio»


Mi chiamo Alessandro, ho quasi 50 anni, sono ateo da 35 anni. Prima ero un fervente cattolico. Molti potrebbero pensare che questa mia ortodossia cattolica infantile e adolescenziale sia da attribuire a un ambiente familiare bigotto. Nulla di più falso: madre indifferente alla Chiesa, padre ateo. 

Fui però battezzato: negli anni ’70 la quasi totalità dei bambini veniva bagnato dall’acqua santa e si frequentava la religione cattolica a scuola e il catechismo in chiesa, era la prassi. Inoltre per questioni logistiche mi fecero frequentare l’asilo dalle suore.

Fu molto probabilmente il mix tra il mio carattere e il contesto sociale e culturale extra-familiare che bastò per instillare nel me bambino una forte fede, tanta fede da fare il chierichetto, suonare le campane, cercare l’amicizia del prete e avere anche desideri di sacerdozio. Frequentai catechismo, a.c.r e infine a.g.c.

Ma, mentre la mia fede si radicava nel corso della crescita, i rapporti con i coetanei sia a scuola sia fuori peggioravano fino alla totale assenza di amicizie, e spesso e volentieri passavo molto tempo in solitudine. Alle Medie e alle Superiori iniziarono anche atti di bullismo ed emarginazione. Il motivo? Non lo so. È un pensiero che mi assilla ancora oggi. Non sono riuscito a capire perché. Se per colpa mia, del mio carattere, o a causa dell’ambiente circostante che non era dei più idilliaci – era la via più malfamata della città e i ragazzi che vi abitavano spesso erano delinquenti o aspiranti tali, teppisti, prepotenti –, se perché ero solo nel mio quartiere senza parenti o amici di famiglia, visto che i miei genitori non si erano mai integrati e neanche loro avevano amici. Oppure un mix di questi fattori.

Era inevitabile che prima o poi queste due parti della mia vita arrivassero allo scontro interiore. 
Da una parte il me cristiano, devoto, fedele e ligio ai precetti della religione cattolica. Porgi l’altra guancia. L’amore per il prossimo, il perdono, la fratellanza, la comunione, l’accoglienza per l’ultimo eccetera. Dall’altra il disagio, il pensiero di non essere «normale», lo sconforto, l’angoscia di una vita sociale assente o, quando presente, di scarsa qualità.

Nell’arco della mia adolescenza ci furono alcuni step importanti che mi spinsero a pensare alla realtà con un metodo più razionale e logico e non edulcorato sotto la caleidoscopica lente spirituale.

Il primo di questi momenti si verificò alle Medie, quando chiesi ai miei genitori di poter cambiare non solo sezione ma anche edificio scolastico per via delle violenze subite, ma i miei genitori me lo negarono suscitando in me una rabbia repressa, una delusione totale e latente verso i miei genitori che anziché aiutarmi permettevano la mia discesa nella solitudine.

Il secondo momento fu quando anche all’interno del contesto cattolico, nei gruppi a.c.r. e a.c.g., venni escluso ed emarginato. A un certo punto si forma una specie di spirale negativa che ti porta a essere emarginato anche in contesti in cui normalmente non dovrebbe succedere, anche se non credo che la Chiesa si possa definire un contesto normale né salutare (ma questo lo capii un po’ di tempo dopo): meno piaci a te stesso e meno piaci agli altri, meno piaci agli altri e meno piaci a te stesso. È una cosa che ho capito in età troppo adulta. Da adolescenti non si ha il libretto delle istruzioni e se chi è incaricato di educarti (docenti, genitori, educatori) non lo capisce, non ti sostiene, non ti guida può procurare danni incalcolabili, specialmente se sei un soggetto fragile.

Il terzo momento fu quando percepii che dovevo cavarmela da solo, e non avevo gli strumenti né una psiche abbastanza forte e formata per uscirne indenne. Ebbi tanti problemi di natura psicofisica, iniziai ad avere tic, repulsione per lo studio, complessi vari. Un esempio: al laboratorio di teatro ci chiesero di inventare un personaggio per la recita, e io non trovai niente di meglio che inventare Odioman, la persona più odiata e che si farà odiare di più.

In quegli anni pensai anche a soluzioni estreme e pregai tanto. Eh sì, perché pregai dio, lo pregai tantissimo e ci parlavo pure, e gli chiedevo sempre tutti giorni il perché di questa situazione, della sofferenza di un ragazzo che non sembrava aver fatto nulla di male e non essere né meglio né peggio di tantissimi altri ragazzi della sua età, con gli stessi desideri e interessi, le prime cotte, la ragazza che ti fa un sorriso e che ti dice «Mi piaci» anche se la settimana dopo non le piaci più, e invece veniva quasi quotidianamente deriso e vessato o escluso. E speravo, ero convinto che prima o poi dio mi rispondesse. E indovinate un po’? Non rispose. Devo comunque ringraziarlo, perché grazie a dio iniziai a capire che non dovevo ringraziare lui, ma il mio spirito di conservazione che non mi ha permesso di mettere in pratica quelle soluzioni estreme. Ho iniziato finalmente a intuire che forse stavo parlando con un muro, non con dio.

Contestualmente, mentre con una domanda dopo l’altra, un dogma dopo l’altro, mese dopo mese, anno dopo anno, tra le Medie e le Superiori, la mia fede in dio andava scemando, mio padre, spinto e circuìto da me – spinto a mia volta dal clero –, si convinse a frequentare la Messa. Perciò il quarto momento fu quando si verificò una «inversione mistica»: mentre, Messa dopo Messa, la mia posizione in chiesa passava dalla prima panca fino a chilometri dalla chiesa, mio padre, Messa dopo Messa, dal fondo della chiesa giunse alla destra dell’altare.

Il quinto momento, con la mia liberazione totale dalla fede – la mia pillola rossa, quella che ti fa vedere quanto è profonda la tana del Bianconiglio –, capitò tra i 16 e i 17 anni, dopo l’ennesima, comprovata violazione di tutti i precetti di morale cristiana da parte di tutti. Compresi i miei genitori e il mio divenuto ipercattolico padre. Un’estate mi feci il buco nell’orecchio sinistro. E quando mio padre lo scoprì non mi parlò per più di un anno. Io non so se per lui quella cosa fu la goccia che fece traboccare il vaso. Il mio carattere non era certo facile, non andavo bene a scuola, ero nervoso, scontroso, scorbutico, specialmente in casa, e anche un discreto fancazzista, lo devo ammettere. Fumavo sigarette, uscivo di casa e mi facevo vedere solo per cena, di studiare proprio non avevo voglia – anche se sostanzialmente non fui mai né bocciato né rimandato – e decisamente ero scazzato, ero frustrato, ero nauseato dalla vita, dal finto buonismo cattolico, da tutto. Insomma ai suoi occhi probabilmente ero un fallimento totale.

Capii definitivamente che dio non esisteva costruendomi progressivamente, anno dopo anno, una filosofia e una visione personale sulla fede e sulla vita, sul motivo per cui dio esiste. Ovvero: non esiste, ma esiste in quanto invenzione umana e, siccome l’occasione fa l’uomo ladro, gli esseri umani l’hanno subito utilizzata come strumento di controllo e mezzo coercitivo per mantenere l’ordine e amministrare il potere spesso abusandone. 

Una filosofia personale sulla religione e sulla vita che ho coltivato e continuo a coltivare. Una costante crescita personale che coinvolse anche quella parte più profonda di me: l’io, l’ego che finalmente, privo di dogmatismi, precetti e legacci religiosi, sarebbe da lì a poco sbocciato, cresciuto e maturato e che comprese che in fondo bisogna stare bene con sé stessi, da soli, che bisogna volersi bene per come si è e, se agli altri non piaci, pazienza. Non devi piacere per forza. E gli altri non devono piacere a te, in special modo se ti trattano male.

Così piano piano riuscii con difficoltà a ricostruirmi una vita sociale e un equilibrio psichico stabile e sano, e anche un rapporto stabile, sebbene non quello che mi sarebbe piaciuto avere, con i miei genitori.

E quindi? Qual è la morale della mia storia, ammesso e non concesso che ce ne sia una o solo una? Una la propongo: alla fine, nel dolore e nell’oscurità della mente, ho trovato la salvezza non in dio ma da dio.

Alessandro

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4 pensieri su “La salvezza non in dio ma da dio

  1. Ciao Alessandro e grazie anche da parte mia per la tua storia. 🙂
    Non credo sia facile raccontarsi in questo modo, mettendo a nudo anche le proprie fragilità.
    Mi sono davvero emozionato leggendoti.

    Sottoscrivo parola per parola il bel commento di Raffaele!

    Siamo quasi coetanei e atei da un tempo simile.
    E siamo qui a condividere.
    Quindi ti racconto in che cosa mi sono rivisto.
    Nel contatto precoce con la religione, nei sacramenti, nell’Azione Cattolica, in una adolescenza incasinata e difficile (anche se diversa dalla tua), nell’essere stato credente prima di leggere con chiarezza il mio modo di vivere l’interiorità e il mondo, nella solitudine di un percorso di crescita…
    (mi fermo, altrimento scrivo un papiro)

    “Da adolescenti non si ha il libretto delle istruzioni e se chi è incaricato di educarti (docenti, genitori, educatori) non lo capisce, non ti sostiene, non ti guida può procurare danni incalcolabili, specialmente se sei un soggetto fragile.”
    E’ proprio così. Dal punto di vista emozionale, affettivo, relazionale, del bisogno di riconoscimento, legittimazione, sostegno… ho anch’io dei ricordi pesanti, dolorosi… e le dinamiche sociali e psicologiche che favorisce la religione hanno giocato un ruolo molto negativo.

    E, sì: talvolta non bisogna aver paura di riconoscere e ammettere, come fai tu, che ci sono persone per le quali la “salvezza” non è in dio, ma DA dio.
    Se dipingi il mondo con un unico colore, nascondi chi è fatto di altri colori.

    E fa bene raccontare, condividere, testimoniare anche per chi ha fatto, sta facendo o ha bisogno di fare lo stesso percorso, di riconoscersi le stesse scoperte, le stesse consapevolezze, di sentirsi meno solo.

    Un abbraccio 🙂

    Frank

    • Grazie frank per aver letto e commentato.
      Come ho risposto a Raffaele ognuno ha la sua pillola rossa, io invece l’ascolterei volenteri tutto il perocrso di crescita..
      Come scrive un cantautore della mia regione
      “ognuno col suo viaggio, ognuno diverso, ognuno infondo perso dentro i cazzi suoi”
      Ecco forse se c’è una cosa che non ho scritto è stato il rapporto con la musica…e con la poesia
      Ho scritto tante poesie.. ho inziato in seconda media…e ho iniziato a suonare la chitarra…e scrivere pure qualche bruttissima canzone….
      Queste cose mi hanno aiutato molto… diciamo che la canzone “portatemi dio” di Vasco quando lo ascoltai la prima volta fu come uno “schiaffo”…. Che non sai da dove arriva e chi te lo da….. proprio come vedere matrix la prima volta… appena finii di ascoltare e vedere quella canzone e quel film ebbi la stessa reazione, e cioè immediatamente riavvolgere il nastro e ripremere play…..per cercare di capire da dove arrivava lo schiaffo e da chi…
      La tua frase su come ognuno dipinge il mondo legato alla religione mi piace…anche questa la prendo e la faccio mia…

      Dobbiamo continuare a offrire pillole rosse…non dobbiamo abbatterci….nonostante ancora molti scelgano la pillola azzurra…..
      Prendendo spunto dal talmut e choam mi bacchetterà: “chi salva da dio un uomo, salva il mondo intero”

  2. Alessandro, innanzitutto grazie per aver condiviso questa storia. Leggendola, ho sentito il peso di anni compressi in poche righe, come un romanzo di formazione scritto a schiaffi. Il tuo Odioman mi ha trafitto, c’è qualcosa di tragico e magnifico in un personaggio che incarna l’odio che ti portavi addosso, quasi un supercattivo nato dalla solitudine. Mi sono innamorato di lui. Mi piace pensare che forse è stato proprio lui, il quasi-eroe che ti ha salvato, un alter ego che ha preso a pugni il destino al posto tuo.
    Capisco il dialogo col muro. Anch’io parlavo con Gesù, ma a differenza tua, quel muro a volte sussurrava risposte. Uscirne è stato come strapparsi un’ala, liberazione e lutto insieme. Io non ho mai avuto problemi di vessazione, anche perchè con il mio fisico, con l’aver frequentato judo e poi aver giocato a rugby, non mi sono mai trovato dalla parte delle prede. Non ho nemmeno fatto il predatore, anche se ho usato la forza per salire i gradini della scala sociale che mi ha portato ad essere quello a cui non bisognava rompere le scatole. Quel che conta è che siamo usciti. La tua “pillola rossa” è stata più amara della mia, hai dovuto sbriciolare ogni dogma con le unghie, in una lotta senza alleati. Eppure, alla fine, hai trovato la cosa più sacra: te stesso. Non un dio, non una dottrina, ma l’ostinazione a volerti bene nonostante tutto.
    La morale? Forse è questa, le religioni crollano, i dogmi sfioriscono, ma chi sopravvive al buio impara a generare la propria luce. E se un giorno incontrassi il Alessandro bambino, gli direi solo: “Resisti. Diventerai Odioman, e sarà bellissimo”. Perché a volte, salvarsi significa diventare ciò che ti avrebbe distrutto… ma con ironia.

    • Grazie a te per averla letta e commentata…. si.. hai centrato il segno..probabilmente con il “materiale” della mia vita un romanzo di formazione…di successo marginale…per carità… potrebbe saltare fuori…e non è detto che mi ci metta sotto un giorno…mi hai dato una buona idea…ciò detto…giocoforza ho dovuto comprimere per esigenze editoriale, choam è stato chiaro sul limite delle battute. Tanto ho dovuto tagliare dal testo originale per rientrarvi.
      Odiomen…ora che lo posso eviscerare un po’ di più rispetto al testo principe.. è un personaggio creato da me perché… perché…bho..forse era un insieme di cose, un modo per dichiarare al mondo che ero convinto che la gente mi odiava (il mio mondo ovviamente era ridotto data l’età, essenzialmente in luoghi e spazi relativamente limitati, scuola e compagni, chiesa e “fratelli”, genitori) e contestualmente io odiavo loro anche se all’epoca avevo questo scontro interiore tra perdona ed ama il prossimo tuo…e “ti odio perché odi me”… mi ricordo ancora lo “stemma”…a mo’ di supermen ma con al posto della S, una O, e il mio “slogan” non era “da grandi poteri derivano grandi responsabilità” ..ma… Sono Odioman il supereroe più odiato e che vi farà odiare tutti di più… insomma la mia missione era spargere l’odio per il mondo…. Probabilmente era il mio urlo tragicomico al mondo….forse ci vorrebbe uno psicologo e un bel po di tempo di analisi per capire questo…chissà.
      E forse bhe… come tanti piccoli tasselli quello è stato un bel tassello per formare la mia futura nuova consapevolezza del “me” …ovviamente e chiudo su odiomen…a casa il mio personaggio non fu compreso ne accettato…cercarono di farmi cambiare idea….ma mi impuntai…e con grande disappunto dei miei genitori lo presentai a teatro….che mica ci arrivarono che era un “messaggio” da parte di un bambino, con dei seri problemi…. Che vuoi che ti dica non tutti sono nati per fare i genitori…e c’è purtroppo di peggio a sto mondo…
      La pillola rossa, come spiega morpheus, non si può descrivere, ognuno la vive a suo specifico modo. Si può solo cercare di immaginare dalle parole magari del soggetto… ma non è mai come viverlo sulla propria pelle…e quello che hai scritto te mi fa pensare che il nulla fa paura….la consapevolezza del nulla fa paura….e che forse è uno dei tanti “difetti” della nostra “psiche” e che “aggiusta” colmando il nulla con qualcosa che non esiste…ma almeno è “qualcosa” e tanto basta per mantenere l’equilibrio psichico e l’uomo si accontenta.
      Mi piace molto la morale che mi hai suggerisco…la prendo volentieri e la faccio mia.
      Ancora grazie

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