«Non riesco proprio a crederci»

Se studi la teoria dell’evoluzione, l’ateismo è una conseguenza quasi inevitabile. Come nel caso di Lisa Signorile, autrice de «L’orologiaio miope».


L’orologiaio lo inventò William Paley all’inizio dell’Ottocento, quando sostenne che Dio è necessario per spiegare la complessità degli organismi viventi come un artigiano è necessario per spiegare la complessità di un orologio. Paley venne smentito prima da Charles Darwin ancora nel XIX secolo e poi nel 1986 da Richard Dawkins, che ha usato la stessa analogia ma ha sostenuto che l’orologiaio è la selezione naturale e non solo non è divino, ma è proprio cieco. No, è miope: così Lisa Signorile sdrammatizza l’immagine di Dawkins nel giugno del 2007, quando apre il suo bloghettino amatoriale. Si era nel Paleozoico della tecnologia: i social media erano embrionali e gli smartphone un sogno da nerd.

L’orologiaio miope parlava degli «animali strani, brutti, rari, estinti o semplicemente di cui nessuno parla». Nessuno tranne Lisa, zoologa abituata a lavorare «in giro per il mondo traslocando tritoni, contando topi tropicali, inseguendo lupi e scoiattoli» e all’epoca impegnata nella ricerca sul campo con l’Imperial College London e la Zoological Society London. Siccome ne parlava in modo divertente, colloquiale e ironico, quel bloghettino diventò una lettura irrinunciabile per tutti gli impallinati di scienza. Nel 2012 ne nacque un libro con lo stesso titolo pubblicato da Codice e il blog si trasferì nel sito del National Geographic, dove fiorisce tuttora. Nel frattempo Lisa è diventata divulgatrice a tempo pieno ed è in procinto di abbandonare l’Inghilterra a causa della Brexit. E, da brava nipotina di Darwin, è sempre atea.

È giusto, Lisa? Tu sei atea? O sei agnostica?

No, no: sono atea.

Hai ricevuto un’educazione religiosa?

Sì, fino alla seconda Media ho fatto tutto quello che dovevo: battesimo, comunione, cresima.

E credevi in Dio?

Più che altro mi dicevano che ci dovevo credere e io ci credevo. Però avevo un sacco di sensi di colpa, perché a Messa mi annoiavo moltissimo e vivevo questa noia con grande disagio.

Quando e come è avvenuta la tua deconversione?

È successo in giovane età, quando ho acquisito sufficienti facoltà cognitive per pormi delle domande. A quel punto ho perso la fede. Non è stato un evento improvviso, un’illuminazione sulla via di Damasco. Anche se in effetti un evento scatenante all’inizio c’è stato. Però mi ci sono voluti alcuni anni per pensarci e capire. Comunque alla fine delle Superiori ero già atea.

Quale evento?

Avevo 12 o 13 anni. Mi avevano detto che bisognava confessarsi periodicamente, perciò io, obbediente alle regole, un giorno incontrai il prete sul sagrato della chiesa e gli dissi che volevo confessarmi. Lui mi rispose: «Torna domani. Adesso ho da fare». Il giorno dopo tornai e, durante la confessione, mi accorsi di avere davanti una persona davvero meschina, perfino odiosa. Mi chiesi allora perché Dio onnipotente parlasse attraverso una persona così, perché quel prete fosse l’intermediario fra me e la potenza divina suprema. C’era una contraddizione stridente. Avevo solo 12 anni, ma capii che o c’è un problema con i preti o c’è un problema con Dio. Alla fine conclusi che Dio non esiste ed è normale che a dargli voce siano proprio le persone che hanno bisogno di far parlare un amico più grosso al posto loro.

Ti sei mai sentita discriminata per il tuo ateismo, sul piano personale?

No, perché sono abbastanza militante e sono pure iscritta all’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, ma non faccio crociate contro la religione: «alla Dawkins», per intenderci. Inoltre le mie conoscenze sono in una «bolla» abbastanza selezionata. Il problema peggiore l’ho avuto con la mia famiglia, che considerava inaccettabile il mio ateismo. L’aspetto ridicolo della faccenda stava nel fatto che i miei genitori stessi non erano molto praticanti. Tuttavia ritenevano inconcepibile dichiarare in modo aperto il proprio ateismo: «Stai zitta, ché non è possibile che non credi in Dio», mi dicevano.

E sul piano professionale?

Nemmeno, perché l’ateismo non influisce sul mio lavoro e io lo vivo in una dimensione abbastanza privata. Però mi è capitato un fatto curioso quando, per un lunghissimo inverno, ho insegnato scienze in un Liceo psico-pedagogico a San Giovanni Rotondo. Puoi immaginare quanto la religiosità permei un posto così: sembrava di essere in Iran. Lì, dove domina la superstizione nei confronti di Padre Pio, ho percepito la perplessità della gente di fronte alla mancanza di fede. Così, quando a scuola capitammo sul discorso e io dissi alle studenti di essere atea, constatai il loro sconcerto, perché mi chiesero come fosse possibile. Io spiegai loro come ci si sente a vivere senza Dio e senza sensi di colpa e, entro la fine di quell’ora di scuola, vidi più di una persona abbastanza sollevata: era come se ci fosse un ateismo nascosto e inconfessabile.

Come se il tuo coming out a lezione avesse reso possibile anche il loro coming out.

Io non so come quelle ragazze abbiano poi vissuto in seguito la propria mancanza di fede, ma spero che quel piccolo episodio scolastico abbia innescato in loro almeno delle riflessioni. Però in un posto così, dove l’influenza della religione è tanto pesante, essere apertamente atei dev’essere molto difficile. Se vuoi farlo, con ogni probabilità te ne devi andare.

In che modo la tua ricerca o il tuo lavoro hanno determinato o rafforzato il tuo ateismo?

C’era poco da rafforzare: l’ateismo è parte del mio modo di vedere il mondo, che non richiede la presenza di un Dio. Se fossi diventata un’amministratrice di condominio o una maestra d’asilo, penso che le mie convinzioni sulla religione sarebbero state identiche. Tuttavia conoscere l’evoluzione aiuta a chiarirsi un punto o due sulla domanda fondamentale «Da dove veniamo?», e questo è un piccolo vantaggio «professionale».

Oggi l’esistenza di Dio è argomento di discussione con altre persone?

Dipende da dove mi trovo. In Inghilterra nel mio ambiente l’accettazione dell’ateismo è pacifica. Sono anche iscritta alla Secular Society, ma al di fuori del problema delle scuole religiose qui c’è ben poco di cui un ateo possa lamentarsi. Viene davvero da chiedersi, come Dawkins, in che modo si possa tuttora essere religiosi in una società così aperta, come si possa mantenere una visione del mondo ristretta dalla religione. Eppure…

Eppure?

Eppure devo ammettere di vivere un po’ in una «bolla» culturale, al di fuori della quale la realtà è diversa e la religione permea la cultura. Una realtà con la quale mi è capitato di dovermi confrontare. Per esempio, mi è capitato di lavorare come tutor e di insegnare scienze in privato a casa degli studenti. Per un periodo mi capitò di avere nello stesso pomeriggio prima lezione in una casa profondamente islamica e poi in una casa di ebrei ortodossi. La ragazzina musulmana frequentava una scuola islamica dove quasi non studiava scienze, perciò pagavano me perché senza le mie lezioni supplementari non sarebbe stata in grado di superare l’esame. La ragazzina ebrea era in gamba, ma sua madre era molto antipatica. Era venerdì e dovevo entrare dalla porta di servizio perché si facevano le pulizie prima del sabato e non si poteva sporcare o anche solo toccare nulla, per cui dovevo fare lezione in cucina, entrando in punta di piedi. Una volta la mamma della ragazzina musulmana mi chiese, alla fine della lezione: «E ora dove vai?». E io dovetti essere estremamente vaga, perché stavo per andare a Golders Green, che è il quartiere ebraico. Per fare lezione in quella casa islamica avevo dovuto superare il «test religioso», specificando che ero italiana e avevo avuto un’educazione cattolica ma non ero praticante. Non sapevo come avrebbero preso il mio ecumenismo didattico, ma sospetto male. Una volta però in una famiglia indiana feci lezione il giorno di Diwali e la casa sistemata per la festa era bellissima.

E in Italia com’è la tua esperienza?

Soprattutto nell’Italia meridionale, a me è capitato di discutere di religione con ogni genere di persone, anche con preti, ma dipende dalle circostanze. Per esempio, non puoi permetterti di manifestare il tuo ateismo se ti trovi in un contesto formale. In generale, se ti dichiari ateo la gente ti considera un’anomalia. Il fatto che la gente mi guardi strano se manifesto il mio ateismo è uno dei motivi per cui vivo la cosa relativamente in privato.

Come giustifichi oggi il tuo ateismo? Se dovessi spiegare a qualcuno perché non credi in Dio, quale argomento gli proporresti? Uno e uno solo: il più convincente.

Dio è superfluo: possiamo benissimo spiegare il mondo senza bisogno di postulare l’esistenza di un essere trascendente. È un semplice taglio del rasoio di Occam. Siccome Dio non si vede e non si sa né dov’è né che cosa fa, e siccome l’universo può essere spiegato e descritto con le leggi della fisica, della chimica e della biologia… allora Dio non ha alcuna ragion d’essere.

Puoi escludere la possibilità di iniziare a credere in Dio?

Totalmente. La faccenda, a meno di una lobotomia frontale o di un ictus serio, al momento è del tutto fuori discussione.

Che genere di prova considereresti convincente per accettare l’esistenza di Dio?

Io sono anche una cicappina, perciò se mi trovassi di fronte al roveto ardente andrei subito a cercare il bocchettone del metano nascosto dietro. (Ride.) Sul serio, se anche dovessi pararmisi di fronte un fenomeno incompreso io cercherei una spiegazione razionale. Non riesco proprio a immaginare nulla che non sottoporrei a un’indagine razionale. Forse mi convincerei solo quando, dopo essere morta, mi ritrovassi all’inferno o in paradiso.

L’esistenza umana può avere un senso anche senza Dio? In particolare, quale senso dai tu alla tua esistenza?

Secondo me, il senso dell’esistenza umana non è correlato alla presenza di un Dio. Io esisto perché esisto e basta, senza che ci debba essere un ente trascendente a dare un significato alla mia vita. Proprio non ritengo necessario spiegare il mio essere attraverso qualcos’altro. E d’altronde perché dovrei dare un senso alla mia vita?

Dio non è necessario nemmeno per garantire un comportamento morale degli esseri umani?

Semmai il contrario: Dio è necessario per infondere sensi di colpa e quindi controllare gli esseri umani. E non mi sembra molto etico. Per questo penso che l’etica e la religione non vadano affatto a braccetto. Del resto si dimostra che gli atei non hanno una maggiore inclinazione a delinquere rispetto ai credenti. Anzi, secondo la mia percezione, ne hanno di meno. Conosco tanti atei che sono ottime persone e tanti credenti che sono pessime persone.

Esiste un istinto morale innato nell’essere umano? Ed esistono regole morali naturali?

L’istinto morale esiste, ma cambia nel tempo e nello spazio, dipende dall’epoca e dalla società. Per esempio, in alcune tribù della Nuova Guinea è normale che un adolescente sia adottato da un parente più grande, con il quale poi instaura una relazione sessuale: in quella società la pedofilia è accettata. I soli tabù morali universali sono l’incesto e il cannibalismo, che infatti esistono in alcune culture ma sono rarissimi.

Perché?

L’incesto perché sul lungo termine l’endogamia è dannosa nelle società ristrette, che hanno bisogno di variabilità genetica. Il cannibalismo rituale esiste ed è comprensibile: tanto il guerriero nemico lo avresti ucciso comunque e quindi mangiarlo per acquisire le sue qualità ci sta. Ma il cannibalismo alimentare non è sostenibile e porta all’estinzione.

Se dovessi demolire la fede di un credente, quale argomento gli proporresti?

Non lo farei.

Dunque non bisogna demolire la fede altrui?

Io considero fortunate le persone che possiedono una fede sincera e non si pongono domande. Beate loro, che con la propria fede si illudono di avere una giustificazione perfino delle proprie disgrazie: se sono colpite da un cancro, pensano che comunque Dio lo ha permesso e quindi deve esistere una spiegazione, anche se non la capiscono. Così possono affrontare le difficoltà e tirare avanti. In fondo, sono più felici di me. Per quale motivo allora dovrei demolire le piccole bugie che una persona si racconta per sopravvivere meglio? Peraltro a me disturba chi fa del proselitismo, dunque io stessa cerco di non praticarlo.

Pensi che la società sarebbe migliore se il numero di non credenti fosse maggiore?

Sì, certamente. Il problema è l’architettura cerebrale degli umani, basata sulla necessità del soprannaturale. Se non è Dio sono gli UFO, se non sono gli UFO sono gli yogi tantrici: di fatto, la maggioranza finisce per credere in questo genere di cose, probabilmente per motivi evolutivi. Poi, certo, c’è pure una piccola coda della gaussiana che va oltre e si libera della superstizione. Ma la società sarebbe migliore soprattutto se la necessità del soprannaturale non imponesse dei sensi di colpa. Che invece è proprio quello che fanno tutte le religioni.

Come giudichi l’azione degli atei militanti, che divulgano l’ateismo spesso con uno stile aggressivo e con l’intento di demolire la religione?

Con un sentimento ambivalente. Da un lato ammiro le persone come Dawkins perché sono delle figure di riferimento importanti. Dall’altro mi infastidiscono i loro emuli che diventano atei dogmatici, quelli che per il solo fatto di essere atei pensano che gli altri siano stupidi o in malafede. D’altronde per molte persone la fede è una questione di struttura cerebrale e cercare di demolirgliela è un atto un po’ crudele. Perciò Dawkins e gli altri mi stanno bene come simboli, ma bisogna evitare le crociate in favore dell’ateismo.

Siamo di fronte a un rinascimento religioso? Sei preoccupata?

Oh, sì, stiamo andando verso un rinascimento dell’oscurantismo religioso. E io sono molto preoccupata, poiché non so se c’è un modo per fermarlo e per tornare indietro. Nel XVIII secolo abbiamo attraversato l’illuminismo, nel XIX c’è stata la rivoluzione del pensiero di Darwin, nel XX il ’68, e a quel punto pensavamo di esserci liberati dalle superstizioni e dagli oscurantismi. Purtroppo il presente dimostra che non è così. Perché sia successo non lo so: lascio la risposta agli storici.

Come potrebbe essere combattuto questo ritorno dell’oscurantismo?

Non lo so. Individualmente penso che non si possa fare niente: queste trasformazioni sono conseguenze di eventi sociali molto più grandi delle azioni alla portata delle singole persone. D’altra parte l’idea di Dio è così estranea al mio modo di pensare che non riesco neppure a concepire di diventare religiosa per una contingenza sociale. Perciò posso solo stringere i denti e aspettare la fine di questo nuovo periodo buio.

Choam Goldberg


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