«Più che ateo, sono irrilevanteista»

Magari un Dio creatore esiste, magari no. Un fatto tuttavia è sicuro: non c’è alcuna prova di un suo intervento nella creazione. Perciò per Paolo Attivissimo l’esistenza di Dio è irrilevante.


«Nomen omen», avrebbero detto gli antichi Romani. Lui ci scherza: «Vi potrà sembrare strano, ma è davvero il mio cognome anagrafico». Nondimeno il dubbio è lecito. Vai a vedere ciò che Paolo Attivissimo dice di sé stesso:

«Se proprio dovete affibbiarmi un’etichetta, definitemi “giornalista informatico”, “divulgatore informatico” o “studioso di bufale nel Web”, ma non chiamatemi “esperto”, per carità, gli esperti sono fatti di tutt’altra pasta. Se vi interessano le storie strane che girano nei media e volete un titolo semiserio, usate “cacciatore di bufale”; se volete un appellativo molto serioso, usate “studioso della disinformazione mediatica”.»

E allora ti domandi: «Ma come fa?». Come fa, fra libri pubblicati, bufale sbufalate, trasmissioni radiofoniche, documentari sulle conquiste spaziali, auto elettriche, traduzioni tecniche, consulenze e conferenze, moglie, figli e gatti? Come riesce a far stare tutto in 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana, 365 giorni all’anno? Be’, fa e riesce. Ma non chiamarlo «miracolo». Perché Paolo è attivissimo, ma è anche ateo.

Paolo, tu sei ateo o agnostico?

Nessuno dei due termini mi soddisfa. L’agnostico ancora non ha deciso, e non è questa la mia posizione. Dal canto suo, l’ateo è categorico: Dio non esiste. Ora, si può avere il fondato sospetto che non esista, tuttavia non lo si può dimostrare. Peraltro non ci sono neppure prove che esista, perché Dio, se c’è, non dimostra di intervenire nelle faccende umane. Quindi io mi definisco irrilevanteista: Dio, se anche esiste, non è rilevante. È un termine inventato abbastanza di recente, per rispondere a chi mi pone la domanda con intenti provocatori.

Hai ricevuto un’educazione religiosa?

Sono nato in Inghilterra, a York. Mio padre era cattolico, mia madre anglicana. Sono stato battezzato lì, in una chiesa cattolica, ma sono stato portato in Italia quando avevo pochi mesi. Abbiamo vissuto a Bereguardo, un paesino nei pressi di Pavia. Mia sorella maggiore era molto religiosa e anch’io seguivo il catechismo e ho fatto la prima Comunione. Poi però basta: quando è venuto il momento della Cresima, non ho voluto farla. Sarà stato verso i 12 anni.

Questa tua deconversione è stata graduale oppure improvvisa, a seguito magari di un episodio determinante?

È stato un fenomeno progressivo. In casa giravano molti libri di ogni genere e io leggevo per esempio Isaac Asimov e Bertrand Russell. In più il sacerdote di Bereguardo non era proprio uno stinco di santo. A questo si aggiunsero alcuni episodi personali. Ricordo il prete che a catechismo mi chiese se io fossi anglicano. Io nemmeno sapevo che cosa significasse!

L’attribuzione di una religione ai bambini è ridicola. Chi direbbe mai che un bambino è marxista? Nessuno. Sarebbe assurdo. Eppure si pretende che un bambino sia cattolico o anglicano. Non esistono i bambini cattolici o anglicani: esistono semmai i bambini figli di cattolici o figli di anglicani.

(Ride.) È vero. Aggiungi che mi dicevano che Gesù era morto per colpa degli ebrei. Molti cattolici lo pensavano ancora. Stiamo parlando degli anni ’70 in un paesino perso nelle nebbie della Pianura padana, con la mentalità di quell’epoca e di quel posto. Colpa degli ebrei? Non riuscivo a capire perché. Anche degli ebrei venuti dopo? Ma quindi la Chiesa cattolica ce l’ha con gli ebrei proprio come i nazisti? Insomma ho cominciato a pormi un po’ di domande e alla fine la religione ha perso ogni plausibilità.

In famiglia come l’hanno presa?

Bene. Mia sorella aveva già attraversato una crisi religiosa e si era allontanata dalla Chiesa, anche se poi si sarebbe riavvicinata. I miei genitori a Messa non ci andavano più per gli episodi di cui ti ho accennato. E io la domenica, da bambino, non avevo alcuna voglia di andarci da solo.

Ti sei mai sentito discriminato per il tuo ateismo, sul piano personale o professionale?

No. Però non ho mai vissuto in comunità molto fondamentaliste. A Pavia frequentavo l’oratorio dove andavano tutti i miei compagni di scuola. Lì ho pure avuto alcune belle conversazioni con uno dei sacerdoti. Tuttavia nessuno mi imponeva di partecipare attivamente alle funzioni. Anche in occasioni sociali e familiari come matrimoni e funerali, in chiesa mi alzavo in piedi per rispetto, ma non mi segnavo e non prendevo la Comunione. Mai nessuno mi ha detto qualcosa.

In che modo la tua ricerca o il tuo lavoro ha determinato o rafforzato il tuo ateismo?

Mi sono sempre occupato molto, con atteggiamento critico, di osservazioni della realtà naturale. E alcune religioni prevedono un intervento divino anche nel mondo fisico. Ma quali prove hanno? So bene che non si può applicare il metodo scientifico alle entità metafisiche, ma quando queste entità sconfinano nel mondo naturale allora il metodo diventa utilizzabile. Se qualcuno pretende di poter ottenere qualcosa pregando, per esempio una guarigione, ecco un fenomeno da osservare e verificare. Le persone per le quali si prega hanno statisticamente una guarigione più frequente? No, quindi pregare è irrilevante per la loro guarigione. Inoltre il metodo scientifico impone di porsi sempre delle domande, di non accettare delle verità in modo dogmatico, e questo approccio porta in maniera inevitabile ad allontanarsi dalle religioni rivelate. Ci sono state poi le letture di quegli autori che mostrano come si possa vivere senza fede, che la religione non è per forza l’unica bussola possibile per orientarsi nell’universo né per sviluppare un codice morale.

Hai mai manifestato esplicitamente il tuo ateismo?

Solo quando me lo hanno chiesto. Se non succede, non lo esplicito. Quando me lo domandano, lo dico senza peli sulla lingua.

Con quali reazioni?

Con interesse, devo dire. C’è un vantaggio nel presentarmi come irrilevanteista: con la scelta di un termine così preciso faccio capire che alla questione ho pensato a lungo. Per molti credenti un ateo è soltanto un pigro, un superficiale, un vuoto da colmare. Invece io dimostro che la mia posizione è frutto di un percorso di riflessione.

L’esistenza di Dio è argomento di discussione con altre persone?

Non spesso, ma càpita, per esempio in famiglia. Mia moglie, Elena, è cattolica, sebbene un po’ a modo suo.

Quindi ti sei sposato in chiesa?

Sì, ci ha sposati un caro amico sacerdote di mentalità molto aperta e moderna. Abbiamo avuto una bella conversazione e abbiamo scoperto che oggi per la Chiesa esiste una forma specifica del rito matrimoniale, durante la quale la persona credente pronuncia la propria promessa solenne di fronte a Dio e quella non credente di fronte all’altra e a tutte le persone riunite. Inoltre non ci sono clausole che impongano di educare i figli nella religione cattolica.

Però avete fatto battezzare i vostri figli.

Mio figlio più grande, avuto da un matrimonio precedente celebrato solo con il rito civile, non è battezzato. Le due ragazze avute con Elena invece sono state battezzate. Nel periodo in cui abbiamo vissuto in Inghilterra hanno frequentato una scuola confessionale e hanno partecipato alle funzioni religiose, almeno per un po’. In seguito una delle due ha abbandonato perché non era più interessata, mentre l’altra è rimasta più legata alla religione. Comunque abbiamo dato loro la possibilità di informarsi su tutte le fedi. In casa non c’è mai stato il problema di avere visioni contrapposte e conflittuali, anche se di religione si parla spesso e nascono discussioni vivaci e interessanti.

Come giustifichi oggi il tuo ateismo? Se dovessi spiegare a qualcuno perché non credi in Dio, quale argomento gli proporresti? Uno e uno solo: il più convincente.

Non vedo nel mondo alcuna traccia dell’esistenza di un Dio. Potrebbe esistere un creatore, ma se interferisse con le vicende umane noi ce ne accorgeremmo, osserveremmo dei fenomeni spiegabili soltanto con il suo intervento. Se a un amputato ricrescesse l’arto mancante. O se, di fronte a una suprema ingiustizia, si spalancassero le nubi e un fulmine folgorasse il colpevole. Ma non c’è traccia di fenomeni simili. Quindi non possiamo concludere con certezza che un Dio creatore non esiste, ma possiamo essere sicuri che, anche se c’è, non interviene nella creazione. Perciò non ha senso stare a discuterne e io sono irrilevanteista: che esista o non esista, per me è irrilevante. Anzi, trovo più rassicurante che non esista. Perché se esiste, allora vuol dire che gli orrori del mondo non sono frutto del caso, ma sono pianificati a tavolino: sono intenzionali e sono opera di Dio. Quel parassita che infetta l’occhio di un bambino in Africa e lo rende cieco? Opera di Dio. Virus, batteri, parassiti, terremoti? Stessa cosa: tutta opera di Dio. Però ci viene chiesto di credere che Dio sia buono.

Puoi escludere la possibilità di iniziare a credere in Dio?

Proprio escluderlo no: non si sa mai. Un momento di crisi mistica può sempre capitare. D’altra parte bisogna accordarsi su ciò che si intende per «Dio». Dipende da quanto si vuole stiracchiare la definizione. Potresti intendere l’insieme delle regole che governano l’universo. La matematica, nella sua perfezione e bellezza, potrebbe essere una versione di Dio. Io capisco la spiritualità di chi considera l’universo come un’entità divina con un ordine dettato dalle leggi della fisica. Se vuoi, come chi vede la Terra come una sorta di organismo vivente, Gaia. Non abbraccio in modo incondizionato questa visione, ma la accetto. Piuttosto escludo di avere una crisi mistica e di poter credere in un tizio barbuto su una nuvoletta.

Cioè il Dio tradizionale dei monoteismi abramitici più ingenui.

Esatto. Mi sembra una visione troppo antropocentrica della divinità.

Che genere di prova considereresti convincente per accettare l’esistenza di quel Dio? Magari un fenomeno straordinario e inspiegabile con le leggi naturali? Per esempio, se uscendo la sera vedessi le stelle muoversi in cielo fino a comporre la scritta «Dio esiste», non ti convertiresti?

In «Una settimana da Dio» il protagonista, Bruce, interpretato da Jim Carrey, acquisisce i poteri di Dio e, per impressionare la sua ragazza, fa avvicinare la Luna alla Terra, senza però provocare disastri naturali, se non ricordo male. Ecco, per convincermi, Dio dovrebbe spostare la Luna rapidamente da una parte all’altra dell’orizzonte. Poi dovremmo trovare il modo di chiarire quale delle tante divinità è. Odino? Brahma? Zeus? Il Dio della Bibbia? Quello del Corano? Ma questo è un altro problema.

Ma, se pure succedesse, non ti chiederesti se è solo una tua allucinazione?

Infatti non basterebbe: la mia osservazione dovrebbe essere confermata da tutti gli Osservatori astronomici nel mondo. Però sarebbe un buon inizio.

L’esistenza umana può avere un senso anche senza Dio? In particolare, quale senso dai tu alla tua esistenza?

L’esistenza umana può benissimo avere un senso senza Dio. Spiegare quale senso le do io è un po’ complicato. Io penso che tutte le persone desiderino la felicità, ma non nel senso frivolo di un appagamento superficiale, bensì la sensazione di star bene insieme alle persone che si amano, di donare loro gioia, serenità, piacere. Questo può essere un senso individuale. Ma pure un senso collettivo, se per felicità intendi il progresso e la crescita della cultura e delle conoscenze della specie umana, la creazione di cose meravigliose. Quindi una felicità nel senso più alto del termine. Aggiungo la continuazione biologica della specie. Arrivato a un certo punto della mia vita, pensando a quante cose stavo realizzando, mi sono chiesto: a che pro? Dove finirà tutto questo? In quel momento è stata per me una scelta naturale farmi una famiglia, avere dei figli, ma non necessariamente come estensione di me stesso, bensì per un senso di bisogno di continuità. Non sento il bisogno di credere in un aldilà con arpe, angeli e nuvolette: credo più concretamente che ognuno di noi continui negli altri. Sono un informatico, provo a spiegarmi con un paragone informatico: in ogni persona con la quale interagiamo si forma una copia di noi, una simulazione, se vuoi, e quella copia di come siamo persiste dopo la nostra morte fisica. Sai quando vivi con una persona da anni e quindi sai esattamente cosa dirà, farà, le piacerà? È perché dentro di te c’è quella copia, quella simulazione di lei. Più intensamente interagisci con lei, più quella sua copia è dettagliata, ricca e fedele. E quindi persistente oltre la morte dell’individuo. Chiamala «anima», se vuoi.

Dio non è necessario nemmeno per garantire un comportamento morale degli esseri umani?

No. Per quello basta la «Dichiarazione universale dei diritti umani». Che però ha diversi punti di contatto con il codice morale di molte religioni. Se elimini la parte corrispondente alla Verità rivelata, rimane la regola aurea, nella forma positiva «Fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te» o nella forma negativa «Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te». È un ottimo punto di partenza e funziona con ma anche senza una divinità.

Se dovessi demolire la fede di un credente, quale argomento gli proporresti?

Non lo farei. Uno dei princìpi del mio codice morale è che, finché la tua fede non interferisce con la mia visione del mondo e non causa danni ad altri, puoi credere in quello che ti pare. Vuoi credere nel Sacro unicorno petomane? Benissimo. Nei commenti a un articolo nel mio blog ho risposto a un testimone di Geova affermando che il fatto che altri abbiano la propria religione non mi turba per niente, così come non mi turba che altri abbiano un pisello, finché non insistono a volermelo ficcare in gola senza il mio consenso. (Ride.)

Mi ricorda un meme che circola fra gli atei: «La religione è come il pene. È bene averne uno. È bene esserne fieri. Ma per favore non tirarlo fuori e non agitarlo in pubblico. E soprattutto non provare a spingerlo nella gola dei miei figli».

(Ride.) Sì, ciascuno è libero di credere quel che vuole, ma entro certi limiti. Esistono forme di credenza deleterie per la società. Metti che uno creda nell’obbligo morale di uccidere tutti i non credenti.

Un esempio tutt’altro che campato per aria.

Appunto. Oppure considera i fanatici cosiddetti «pro vita» che ammazzano i medici che praticano gli aborti. O ancora prendi il caso dei testimoni di Geova e del rifiuto delle trasfusioni. Se un bambino in fin di vita ha bisogno di una trasfusione per sopravvivere e i suoi genitori si oppongono… be’, non me ne frega niente: possono credere quello che gli pare, ma la trasfusione al bambino io la faccio lo stesso. Poi magari finirò all’inferno, ma intanto gli avrò salvato la vita.

Pensi che la società sarebbe migliore se il numero di non credenti fosse maggiore?

Onestamente non lo so. In effetti le religioni offrono dei vantaggi sociali. Molta gente non ha voglia di pensare per formarsi un codice morale indipendente. Dunque la religione torna utile offrendo un pacchetto preconfezionato di istruzioni. Una società senza religioni rischia, in maniera paradossale, di non credere in nulla. Se la scomparsa delle religioni produce la scomparsa dei valori morali, perché le persone non si creano un modello morale laico, allora non c’è alcun miglioramento della società. Oggi per lo meno le religioni sono uno strumento di deterrenza: se non ti comporti bene, finisci all’inferno. Certo, se al posto del catechismo si insegnasse il pensiero di Bertrand Russell…

Come giudichi l’azione degli atei militanti, che divulgano l’ateismo spesso con uno stile aggressivo e con l’intento di demolire la religione?

Sono un estremo necessario, sebbene non condivida molte delle loro posizioni. In particolare Dawkins sta sbroccando un po’ e non è più un bell’ambasciatore dell’ateismo. Hitchens mi stava molto più simpatico, perché aveva sì uno stile aggressivo, ma anche un’ammirevole capacità di narrazione: adoravo come scriveva. Comunque l’azione degli atei militanti ci sta. Questi personaggi rumorosi, che si espongono in prima linea, vanno in televisione e hanno la battuta pronta, sono indispensabili per avviare la conversazione, per mostrare che essere non teisti non significa essere gusci vuoti. Non condivido però una certa aggressività rivolta verso le persone: essere credenti non significa essere stupidi. Perciò farli passare per stupidi non è neanche un metodo di comunicazione efficace. Io sono un fan dell’auto elettrica, ma non direi mai a chi ha un diesel che è un cretino. Non è un buon modo per fare proseliti. Infatti c’è il rischio di sembrare arroganti, di dare l’impressione di considerarsi più intelligenti solo per aver abbandonato la fede. Anche per questo motivo io rispetto il credo altrui, almeno finché non interferisce con le vite degli altri.

Siamo di fronte a un rinascimento religioso? Sei preoccupato? Come potrebbe essere combattuto?

Non penso che ci sia un rinascimento religioso. Semmai un imbarbarimento. Fino a non molto tempo fa c’erano grandi blocchi religiosi: il cristianesimo, l’islam, l’ebraismo eccetera, ciascuno con le sue varianti ma comunque comunità con milioni di affiliati. Oggi, anche a causa della comunicazione attraverso i social media, c’è stata una frammentazione che ha provocato un’estremizzazione. Ciascuno si inventa sistemi e regole dentro comunità piccole spesso autoreferenziali ed estremiste. Quando ci si isola, si finisce per percepire il diverso come un nemico da tenere lontano. I fondamentalismi nascono dalla propensione ad assumere posizioni estreme e a rifiutare ogni deviazione da queste posizioni. È questo che mi preoccupa. È proprio la diversità a essere interessante, invece. Se siamo diversi e creiamo una conversazione, alla fine possiamo uscirne tutti arricchiti, con qualche idea in più. È questo il bello delle idee: se tu hai una mela e me la regali tu resti senza mela, ma se invece tu mi regali un’idea poi l’idea ce l’abbiamo in due e siamo più ricchi di prima.

Choam Goldberg


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