Sia lodato Camus

Reverendo Gwyon racconta la propria Storia per «Io senza Dio».


Ho respirato cattolicesimo a pieni polmoni per tutta l’infanzia e l’adolescenza. Mia madre era – ed è tuttora – una cattolica molto fervente: messa tutte le domeniche, preghiera prima di andare a dormire, Radio Maria come unica stazione radio possibile, recitazione del rosario davanti alla Madonnina e la lista potrebbe proseguire tanto da far impallidire anche il peggior bigotto di vostra conoscenza. Questi sono solo alcuni dettagli per poter comprendere il mio livello di immersione nel cristianesimo nella prima fase di vita: ai tempi ero un acritico sommozzatore cattolico.

Io, com’è ovvio, ho seguito in modo passivo il percorso standard, come la maggioranza in Italia: l’ineludibile catechesi con sacramenti annessi. Nel contempo seguivo anche il percorso extra per cattolici Flanderini, comprendente i sopracitati rosari, vie crucis, visite nei conventi, presepi, messe infrasettimanali e un sacco di altre cose spassosissime per un bambino.

Non sono stato né un bambino né un ragazzo curioso. Non provavo nemmeno ad approfondire la questione religiosa e non avevo alcuna interesse a farlo. L’unica cosa che sapevo al riguardo era che avrei impiegato il mio tempo in maniera diversa anziché in quelle soporifere attività finalizzate ad accrescere la mia fede.

Nonostante non mi fossi mai posto troppe domande, c’era qualcosa che mi fece storcere il naso ben presto. Sono affetto da una rara malattia ematica in forma grave, che da piccolo mi ha causato non pochi problemi alle articolazioni. Nulla di troppo invalidante, ma era comunque un disagio credere che fossi diverso dagli altri. Sentivo declamare in continuazione, in ogni situazione, l’infinita bontà e onnipotenza di questa entità suprema in cui credono i cristiani. Ciò fece scattare un interrogativo in me: «Ma, se Dio è così buono e onnipotente, perché esistono le malattie rare?». Fu il primo, che fece germogliare in me il seme dell’ateismo in tenera età. La seconda domanda arrivò sempre nel medesimo periodo. Mi era capitato di sentire: «Ci sono bambini che muoiono di fame, dovremmo ringraziare il Signore». «E perché io non muoio di fame?», pensavo.«Dio fa forse dei favoritismi?», mi chiedevo. Un’altra enorme incongruenza: era solo la seconda di tante, che nel tempo avrei scoperto a bizzeffe.

Dopo la cresima iniziai a rifiutarmi di scialacquare il mio tempo in chiesa, con tutti quegli estenuanti canti – che ormai conoscevo a memoria – e quelle tediosissime prediche. Mia madre desiderava che continuassi ad andare, ma semplicemente, come tutti i miei coetanei, ero disinteressato. Iniziai a pensare che le istituzioni ecclesiastiche non fossero affatto necessarie. Inoltre iniziavo a provare sempre più ostilità nei loro confronti, vista la loro ostentata ostilità nei confronti degli omosessuali, sommata ad altre ottusità e ipocrisie. Se c’era un Dio, mi sarei messo in contatto con lui personalmente, con la preghiera: non erano necessari intermediari. Nel contempo però accumulavo sempre più dubbi. In me coesistevano due metà. Quella più razionale – ma troppo pigra –, conscia del fatto che, se fosse esistito uno stanzino dei «dubbi sulle questioni di fede e religiose», sarebbe diventato ben presto una villa plurifamiliare gremita di perplessità. Poi c’era l’altra metà: quella più fragile e irrazionale, quella in cui la componente emotiva prevaleva, la parte a cui faceva comodo credere che ci fosse una vita ultraterrena o che ci fosse un essere superiore che avesse dato origine all’universo. Insomma avere il pacchetto di risposte preconfezionato era molto più conveniente in quel periodo, rispetto a porsi un paio di interrogativi in più.

Andai avanti con i paraocchi ancora qualche anno, fino al periodo post-puberale, conservando le parti «buone» del Nuovo testamento ed evitando la marea di aspetti molto opinabili che si possono riscontrare non solo nella Bibbia, chiaramente, ma in tutti i monoteismi abramitici.

Nel 2019 accadde un evento che mi portò a mettere in discussione tutto. Iniziai a farmi seriamente le cosiddette «grandi domande»: Dio, il senso della vita, la morte e un sacco di altri quesiti che danno di che masturbarsi intellettualmente ai filosofi. Le domande iniziarono a grandinare così forte da destare la mia mente ottusa e intorpidita da tempo. Non ero per nulla avvezzo a un briciolo di autoanalisi, alla riflessione o al ragionamento logico. Iniziai a chiedermi quale fosse la religione giusta o perché dovessi essere cattolico invece che shintoista oppure che prova avessi che i testi sacri fossero davvero sacri. E tanti tanti tanti altri divertentissimi quanto sadici quesiti teologico-esistenzial-metafisici.

Qualcosa iniziò a creparsi dentro di me. Avevo il vago sentore che ero molto vicino all’assunzione della pillola rossa di Matrix. Quella pillola rossa si chiamava «Lo straniero»: il romanzo di Albert Camus. Inizialmente avrei preferito essere bastonato, piuttosto che leggerlo, poiché mi rivelava delle verità a cui non ero pronto. Tuttavia fu salvifico. Compresi la necessità di evitare l’autoinganno per pavidità, sicché dovevo ammettere ciò che credevo già da un pezzo: non c’è alcuna continuazione dopo la morte, non c’è alcuna anima e non esiste alcun piano divino. È solo lo smanioso bisogno degli esseri umani di dover dare un ordine al caos e, probabilmente, l’incapacità di accettare la propria finitudine. Attraversai un periodo di crisi, in cui mi chiedevo costantemente: «Come fa la gente a vivere in un universo in cui non esiste Dio? Com’è che questi si svegliano e vanno al lavoro come se nulla fosse, pur sapendo che si vive una volta sola e poi c’è il nulla eterno ad attenderli?». Meditare e leggere testi filosofici – lo stoicismo e l’esistenzialismo francese in modo particolare – mi fu di enorme aiuto per uscire progressivamente da quel periodo.

Non fu immediato il passaggio all’ateismo. Prima attraversai diverse fasi: panteista, deista, panpsichista, quella-in-cui-potrei-provare-con-una-dottrina-orientale e, finalmente, la fase in cui ci si costruisce la propria Weltanschauung. E in questa visione non c’è alcun bisogno di credere in un’imperscrutabile entità extramondana. L’uomo ha inventato Dio per delle ragioni comprensibili. C’è chi decide di bersela, e va bene, purché non leda la libertà altrui o non la strumentalizzi a fini politici o economici. Io cerco una visione disincantata della realtà: vederla per quello che è, senza necessità di edulcorarla. Né brutta né bella: caotica, sfaccettata, complessa, enigmatica e talvolta tragica. Nonostante ciò, in mezzo all’oceano di dolore, miseria, solitudine e ingiustizie, qualche ragione per cui vale la pena vivere c’è.

La parte più ardua è accettare che dopo non c’è nulla, si torna dove si era prima di nascere. Un’accettazione lenta e graduale, che richiede tempo. Ma quando arriva è liberatoria: si prende consapevolezza che questa esistenza è l’unica a disposizione, perciò ogni istante diventa prezioso perché è irripetibile. Inoltre, prendendo coscienza della triste condizione che accomuna il genere umano, si dovrebbe essere meno propensi a generare sofferenza inutile – tanto a sé stessi quanto agli altri – ed essere più inclini alla solidarietà. Perciò credo proprio che sia possibile un’esistenza senza Dio. E che sia pure possibile provare a dare un significato a questo brevissimo e grottesco giro di giostra.

Reverendo Gwyon

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2 pensieri su “Sia lodato Camus

  1. Gran bella testimonianza, scritta tra l’ altro in modo davvero piacevole.
    Personalmente, ho avuto una famiglia decisamente cattolica anche se non a quei livelli estremi, comunque ho dovuto sorbirmi il percorso standard dei sacramenti.
    Non ho mai avuto bisogno di libri illuminanti, fondamentalmente, sono nato direttamente ateo put dovendo fingere di crederci da finire quel benedetto percorso e far tacere i miei.

    Detto ciò, alcuni libri mi hanno ulteriormente consolidato la visione sociologica della questione, uno su tutti credo sia “la trilogia della fondazione” che descrive perfettamente, attraverso una storia di fantascienza, l’evoluzione della società umana che passa anche attraverso la religione come strumento di controllo.

    Altri libri ancora mi hanno suggerito cosa può fare il fanatismo religioso in condizioni sociali di enorme stress fisico e psicologico, opere leggere dalle quali non ci si aspetterebbe un messaggio circa le idee dell’ autore sull’argomento, mi viene in mente il racconto lungo “the mist” di King: una fanatica religiosa comincia a vaneggiare sull’apocalisse in corso descritta dalle scritture accumulando sempre più ascoltatori attenti, fino a convincerli che urge un sacrificio di un innocente per placare l’ira divina, nel caso specifico il bambino figlio del protagonista.

    Altri ancora hanno “espanso” il mio individualismo, come “il lupo della steppa”.
    La lettura può risultare pericolosissima per i sistemi sociali basati su qualcosa d’inesistente ma che riesce a causare estremo timore e aggregazione tra gli accoliti dello stesso. Non è un caso che, per due millenni, è esistito l’ indice dei libri proibiti dalla chiesa. Da un certo punto in poi era chiaro che non si potesse più continuare con quella “usanza”.

  2. Bravo, reverendo Gwyon! Complimenti!
    Il suo racconto mi ha colpito perché interessante e ben scritto, con un’ottima costruzione e un elegante uso della lingua italiana. Un’affabulazione degna di un monologo teatrale.
    Ma l’interesse è nato anche dalla mia esperienza di transizione dalla fede cattolica all’agnosticismo, transizione analoga alla sua: una progressione liberatoria dal cattolicesimo, senza traumi, con una ricerca per dubbi, e una spinta decisiva provocata da un libro (nel mio caso: Odifreddi- Perché non possiamo essere cristiani ,,,).
    Però mi è rimasta una curiosità: perché lei si è firmato “Reverendo Gwyon”? Ovviamente è uno pseudonimo. Storico o letterario? E qual è il significato? Ho chiesto all’I.A. di Chatgpt che mi ha svelato l’origine letteraria (“The Recognitions” di William Gaddis), ma ovviamente non la motivazione personale. La può chiarire lei?
    Ancora un’altra domanda. Lei chiude scrivendo: “… credo proprio che sia possibile un’esistenza senza Dio”.
    “Lei crede!” Ha una forma di fede? Oppure sa/ritiene/ipotizza?… o rimuove freudianamente il problema?
    Agostino (è il mio nome – nessun riferimento al santo)

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