Perché…

…esiste qualcosa invece che nulla? La risposta dipende da come interpretiamo la domanda. E una possibilità ci porta verso una divinità molto speciale.


Di fronte a un evento ci chiediamo: perché? Di solito lo facciamo senza riflettere sulla doppia possibile interpretazione della domanda: causale oppure teleologica.

Nel primo caso ci interroghiamo sulla causa dell’evento. Perché il gatto è morto? Risposta: perché il veleno lo ha ucciso. Nel secondo caso invece ci domandiamo quale fosse lo scopo dello stesso evento. Perché il gatto è morto? Risposta: perché pisciava sullo zerbino del vicino e lui, con il fine di liberarsene, lo ha avvelenato.

Ora guardiamoci attorno: nell’universo vediamo materia ed energia, con relazioni e fenomeni determinati da leggi naturali rigorose espresse in forma matematica. Perché esiste questo universo?

«Perché?» causale: qual è la causa dell’universo e dei suoi fenomeni? Per ogni evento ne esiste un altro che lo causa, che poi ne ha un altro che lo causa, che poi… e così via all’indietro nel tempo. Fino a quando? Fino alla causa primigenia, cioè la causa incausata. Eccolo lì: è Dio. Il Dio di Tommaso d’Aquino e prima ancora di Aristotele. Ne abbiamo dimostrato l’esistenza? No.

La meccanica quantistica ha fatto piazza pulita da un bel po’ del principio di causalità.

Per evitare l’ipotesi teologica potremmo proporre una soluzione alternativa. Potremmo immaginare l’eternità dell’universo: esiste da sempre ed esisterà per sempre. Perciò non sarebbe necessario postulare una causa incausata primordiale. Sarebbe una possibilità da esplorare e non renderebbe cogente la conclusione dell’esistenza di Dio. Ma, per quanto sia comunque stimolante e affascinante, non c’è bisogno di pensare a un universo eterno. Infatti sussiste un problema ancora più grave e profondo: è sbagliata l’ipotesi secondo la quale tutti i fenomeni hanno una causa. La meccanica quantistica ha fatto piazza pulita da un bel po’ del principio di causalità. Su scala atomica e subatomica gli eventi si verificano seguendo sì leggi naturali rigorose, ma senza una causa: accadono e basta. Per esempio, compaiono particelle dal nulla e sopravvivono per un tempo che rispetta il principio di indeterminazione di Heisenberg: quanto più grande è la loro energia, tanto più breve è la loro esistenza, e viceversa.

Dunque anche l’origine stessa dell’universo potrebbe trovarsi in una fluttuazione quantistica. Ma com’è possibile, se nel cosmo ci sono così tanta materia e così tanta energia? Bisogna considerare pure il contributo negativo dell’energia gravitazionale: se compensa quello positivo della materia, allora il totale può essere minuscolo e di conseguenza la durata dell’esistenza enorme. Pari perfino a miliardi di anni.

Il Big Bang è quanto di meglio siamo riusciti a produrre con la razionalità scientifica. Di sicuro è più semplice di un «Fiat lux» pronunciato da una divinità trascendente e misteriosa.

È andata proprio così? È questo il Big Bang, la comparsa della materia e dell’energia senza una causa da una fluttuazione quantistica? Forse sì. È un’ipotesi plausibile e inserita in quadro teorico solido e molto ben confermato sul piano sperimentale. Il Big Bang è quanto di meglio siamo riusciti a produrre con la razionalità scientifica. Di sicuro è più semplice di un «Fiat lux» pronunciato da una divinità trascendente e misteriosa. Che dunque diventa inutile, se ci facciamo guidare dal sano principio di economia intellettuale: il Rasoio di Occam. Laplace direbbe: «Maestà, non ho bisogno di questa ipotesi».

Affrontiamo ora il «Perché?» teleologico. E cominciamo con un Gedankenexperiment.

Sulla mia scrivania c’è una piccola pianta grassa alla quale sono molto affezionato. Siccome è spinosa, le ho dato nome Baruch (ah ah). Ora chiudo gli occhi e immagino un universo come quello in cui sono, ma nel quale Baruch non esiste. Posso immaginarlo? Certo. Poi immagino un altro universo nel quale non esistono né Baruch né la tenda dietro di lui. Posso? Certo. E così via: immagino versioni sempre nuove dell’universo nelle quali faccio sparire la scrivania, la finestra… il palazzo di fronte, la montagna dietro il palazzo… la Terra, il Sole, la galassia. Sono tutti universi pensabili. Alla fine mi ritrovo con il nulla. È pensabile? Sì, lo è. Ma non è reale: qualcosa esiste. Perché? Ecco la domanda teleologica: fra le due opzioni, perché proprio questa, nella quale esiste un universo, esistono fluttuazioni quantistiche, esistono leggi naturali? Insomma, perché esiste qualcosa invece che nulla?

Il credente ha una risposta ovvia: «Perché Dio lo ha voluto». Dio è la giustificazione dell’esistenza del cosmo. Bada: non la causa, ché quello è un altro problema e lo abbiamo già sviscerato. No, no: il senso. Dio è il senso dell’universo.

Dio non ha bisogno di un senso, perché è il senso di sé stesso. Usando il gergo dei filosofi, possiamo dire che Dio è l’Essere Ontologicamente Necessario.

Questa risposta si presta a una nuova domanda: perché esiste Dio? «Dio esiste perché sì», risponde il credente. Ovvero: Dio esiste perché la sua esistenza è connaturata alla sua essenza. Dio esiste perché non può non esistere. Dio non ha bisogno di un senso, perché è il senso di sé stesso. Usando il gergo dei filosofi, possiamo dire che Dio è l’Essere Ontologicamente Necessario. L’idea non è nuova: la troviamo già nel mito del roveto ardente del Pentateuco. Che cosa risponde Dio a Mosè, quando questi gli chiede chi è? Ecco:

Mosè rispose a Dio:
– Ecco, quando andrò dagli Israeliti e dirò loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato da voi, essi mi chiederanno: «Come si chiama?». E io che cosa dovrò rispondere?
E Dio disse a Mosè:
– Io sarò sempre quello che sono! Poi soggiunse:
– Così dovrai rispondere agli Israeliti: Il Dio che si chiama «Io-Sono», mi ha mandato da voi.
– Esodo 3,14-15

Questa divinità definita come giustificazione dell’esistenza dell’universo e necessaria in sé stessa pone però un problema simile alla divinità definita come causa: sempre per il rasoio di Occam, è inutile. Per capirlo, ricostruiamo il ragionamento.

Perché esiste Dio? «Perché sì, perché Dio è ontologicamente necessario». Ebbene, questo secondo passo è antieconomico.

Perché esiste qualcosa invece che nulla? «Perché Dio lo ha voluto». Perché esiste Dio? «Perché sì, perché Dio è ontologicamente necessario». Ebbene, questo secondo passo è antieconomico. Io mi fermo prima e risparmio. Perché esiste qualcosa invece che nulla? Perché è ontologicamente necessario. Non ha uno scopo: esiste perché sì, e basta.

Lo so: c’è un’obiezione. «Ma non ci avevi detto che possiamo immaginare il nulla e perciò l’universo non è ontologicamente necessario? Com’è ‘sta cosa?». Semplice: la non esistenza dell’universo è immaginabile, ma questo non implica che sia anche possibile. Senza dubbio possiamo immaginare realtà alternative impossibili. D’altronde Dio soffre dello stesso problema: dovrebbe essere ontologicamente necessario per definizione, eppure gli atei immaginano la sua non esistenza.

Questo è panteismo: l’Essere, inteso come realtà immanente, diventa Dio.

In conclusione, l’Essere è. Non può far altro. Però questo non è ateismo allo stato puro. Questo è panteismo: l’Essere, inteso come realtà immanente, diventa Dio. È il Dio di Spinoza (il filosofo, non la mia pianta grassa): «Deus sive Natura». Ma l’identità fra Dio e la realtà immanente è più antica e ne troviamo traccia perfino nella tradizione cristiana: nello Pseudo-Dionigi, in Scoto Eriugena, in Meister Eckhart, in Nicola Cusano. Com’è ovvio, non è un Dio personale. Non è un creatore. Non si rivela. Non ti aiuta a distinguere il bene dal male. Non ti premia e non ti punisce. Non ti fa sentire amato. È molto lontano dal Dio dei monoteismi abramitici. Nondimeno una proprietà divina ce l’ha, una e una sola: la necessità ontologica.

Sicché non siamo atei? Certo che sì. Atei per il Dio creatore dell’universo. Soprattutto siamo atei per il Dio abramitico, personale e oppressivo, assurdo e incoerente e impossibile. Tuttavia, se affrontiamo con onestà la domanda teleologica fondamentale, ossia «Perché esiste qualcosa invece che nulla?», e lo facciamo con sottigliezza filosofica, ci accorgiamo che l’ateismo assoluto, quello che nega anche l’Essere Ontologicamente Necessario, è impossibile. Lo impone l’onestà intellettuale.

Choam Goldberg

Sapete… c’è una cosa che mi sono sempre chiesto… come può Dio esistere, se il mondo è fatto esattamente come se non esistesse? È un dubbio legittimo, no? – No. – Io ho pensato questo… Secondo me Dio non è una persona metafisica, ma è l’essere di tutto quanto. «Essere» inteso come verbo, non come ente. Cioè… Dio esiste nel senso che ogni cosa è. Però sembra che non esista perché questo Essere delle cose non è a sua volta una cosa. Chiaro? Quindi, se dico che Dio ha creato il mondo, non sto dicendo che c’è questo tizio invisibile che una mattina si è svegliato e ha detto «Sai che faccio oggi? Creo il mondo!». No. Dire che Dio ha creato il mondo vuol solo dire che senza l’Essere niente è. Tutto qui. E dire che ci ha fatti a sua immagine e somiglianza vuol dire che solo per l’essere umano le cose sono, mentre per tutti gli altri… per i gatti, le piante, i sassi… le cose si limitano a sussistere, ma è come se non ci fossero. Quando si dice che Dio ci ha fatti tutti uguali, significa che tutti condividiamo lo stesso modo di essere. Siamo 7 miliardi, ognuno con la sua vita, i suoi ricordi, il suo numero di telefono, ma c’è un solo modo di essere umani. Ecco, per me Dio è questo.
– Ancora preti (Priests Again) – Ep.23 Angelus

(Foto: Billerti)


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