«Sono ateo, ma…»

Corrado Lamberti, da quasi mezzo secolo divulgatore dell’astronomia, non crede in Dio. Però è convinto che la religione possa servire all’umanità. Anche se dirlo sembra un po’ elitista.


Se conosci un impallinato di astronomia, prova a chiedergli quale nome gli viene in mente pensando alla divulgazione. Il primo sarà Margherita Hack buonanima. Il secondo però sarà Corrado Lamberti. Che con Hack ha condiviso innumerevoli attività culturali, libri, riviste e anche idee politiche e filosofiche.

Corrado si laurea nel 1972 alla Statale di Milano: fisica cosmica. Poi conosce Margherita e nel 1979 insieme fondano «l’Astronomia», all’inizio bimestrale e dal 1984 mensile. Era un’epoca pionieristica, perché in Italia quasi non c’era altro nella divulgazione astronomica. Hack e Lamberti danno alla rivista una linea molto eclettica: tanti articoli di astrofisica teorica, altri di tecnica osservativa, ma altri ancora di letteratura, con contributi di Moravia e di Prezzolini. Per dire il livello. Nel frattempo Lamberti, docente di fisica alle Superiori nel Comasco, comincia a scrivere libri di astronomia e di fisica per il grande pubblico. Inoltre cura collane, enciclopedie e opere altrui. Nel 2002 abbandona la vecchia rivista e ne fonda una nuova, «le Stelle», di cui rimane direttore fino al 2008: quelli invece erano gli ultimi anni delle riviste cartacee, ormai destinate all’estinzione provocata dalla comunicazione digitale.

Verrebbe da pensare che, conclusa l’epoca d’oro dei periodici, Lamberti si sia ritirato a vita privata. Macché: lui continua a sfornare libri, alla media di uno ogni due anni. Non pago di ciò, prosegue l’attivismo politico: se in gioventù aveva militato nel sindacato e nella Sinistra extra-parlamentare, oggi continua la sua militanza antifascista – è presidente di una sezione dell’ANPI –, resta un convinto marxista e si occupa di ambientalismo. E da sempre Corrado Lamberti è anche ateo, proprio come Margherita Hack.

Corrado, tu sei ateo o agnostico?

Sono ateo. Se la distinzione tra ateo e agnostico è che il secondo sospende il suo giudizio sull’esistenza di Dio, mi sento meglio descritto dalla prima definizione. Se poi, come spesso si sente dire, un ateo è diverso da un agnostico perché dà battaglia contro tutte le religioni, devo precisare che non sono un ateo militante in questo senso. Sono ateo: non credo nell’esistenza di Dio. Ma rispetto chi ha un vero e forte sentimento religioso.

Hai ricevuto un’educazione religiosa?

Sì, ma nella libertà. L’educazione religiosa me l’ha impartita mia madre, sollecitandomi a frequentare la parrocchia. Da bambino sono stato pure chierichetto, anche con un certo trasporto. Mio padre invece era piuttosto lontano dalla religione, sebbene non si dichiarasse ateo. Credo che avesse una posizione abbastanza simile alla mia.

Pertanto hai attraversato una deconversione.

Sì, a un certo punto mi sono allontanato da solo dalla religione.

È stato un allontanamento graduale oppure frutto di una comprensione improvvisa?

È difficile da dire. Ho cominciato a distanziarmi dalla Chiesa quando ho osservato nei sacerdoti dei comportamenti che non mi piacevano. In particolare l’attaccamento al soldo. Per esempio, mi aveva scandalizzato vedere il prete riscuotere del denaro dopo un funerale. Se ci ripenso adesso, non è niente di che: il semplice pagamento per la prestazione di un servizio. Ma da bambino la interpretavo come un’imposizione: la pretesa di denaro proprio in un momento di dolore. Oltretutto, in quella diffusa condizione di povertà che c’era a quei tempi dalle mie parti, ogni soldo dato alla Chiesa era un soldo sottratto all’economia familiare. Quella mancanza di riguardo e di attenzione del sacerdote verso le famiglie di povera gente aveva dato scandalo ai miei occhi di bambino. Scandalo in senso evangelico. Dopo è seguita la mia maturazione politica e sono venute altre idee che mi hanno allontanato del tutto dalla Chiesa.

La tua famiglia come ha preso il tuo allontanamento dalla fede?

Non c’è stato alcun trauma, alcun conflitto. Come ho detto, mio padre e mia madre hanno sempre rispettato la mia libertà di pensiero. Semmai c’è stato un certo smarrimento in alcuni parenti quando mi sono sposato soltanto con il rito civile. Devi pensare che 50 anni fa in quel paesino di provincia eravamo il primo caso di una coppia che decideva di non sposarsi in chiesa. Se ne parlò addirittura nei paesi vicini. Qualche parente bigottone ne fu disgustato, ma non i miei genitori.

Ma almeno i tuoi figli li hai fatti battezzare?

No. Ho voluto lasciarli liberi di scegliersi la religione che preferivano. Non è che volessi avere dei figli non cristiani, ma solo dei figli coerenti, che potessero essere atei o credenti o perfino sacerdoti, purché lo fossero in piena coscienza.

Quella dei figli battezzati per far contente le vecchie zie è una tradizione diffusa.

Infatti, come per il matrimonio, in famiglia ci furono delle critiche, ma sempre solo dai parenti più bacchettoni. I miei genitori accettarono le nostre scelte in piena libertà.

Ti sei mai sentito discriminato per il tuo ateismo, sul piano personale o professionale?

No, assolutamente. Non ricordo episodi in cui abbia avvertito una discriminazione.

In che modo la tua ricerca o il tuo lavoro hanno determinato o rafforzato il tuo ateismo?

Se ti rispondessi che gli studi scientifici hanno rafforzato il mio ateismo, sottintenderei che nego l’esistenza di Dio attraverso un discorso puramente razionale. Ma non sarebbe corretto, perché ragione e fede viaggiano su binari paralleli e non possono né devono interagire. Non ha alcun senso affermare che è possibile dimostrare scientificamente la non esistenza di Dio, e a maggior ragione non vale il contrario. Tuttavia è anche vero che qualche giustificazione ulteriore della mia propensione all’ateismo mi pare di averla trovata dentro una migliore conoscenza della storia evolutiva degli esseri umani e dell’universo. Ma è qualcosa che è venuto dopo, non una relazione di causa ed effetto. Non è che fare scienza porti necessariamente all’ateismo. Semmai è una sorta di giustificazione a posteriori, che meglio inquadra una precedente scelta esistenziale.

Una scelta irrazionale?

Definirla irrazionale tout court forse è troppo. Piuttosto è dettata dall’istinto, da una propensione del carattere, che poi viene naturale cercare di giustificare sulla base della propria esperienza di vita.

Hai mai manifestato esplicitamente il tuo ateismo?

Sì, per esempio quando me lo chiede il pubblico delle conferenze.

E quali sono le reazioni del pubblico?

Di solito la gente pensa: «Per forza è ateo. È uno scienziato!». E io tengo sempre a precisare che questa conclusione è sbagliata, che sono molti gli scienziati credenti e che la cosa non è per nulla sorprendente. Se poi qualcuno, da scienziato, si azzarda a inerpicarsi per i sentieri della fede pretendendo di dimostrare razionalmente l’esistenza o la non esistenza di Dio, costui fa un cattivo servizio sia alla scienza sia alla religione. E ovviamente vale il contrario: è semplicemente ridicolo pensare di forzare le conclusioni della scienza attraverso pregiudizi religiosi.

L’esistenza di Dio è argomento di discussione con altre persone?

Di solito no. Chi mi conosce sa che sono ateo, ma non gli interessa sapere perché. Al contrario, semmai sono io che cerco il dialogo con i credenti, specie con qualche sacerdote: il sentimento religioso è un argomento di discussione che mi intriga.

Perché ti intriga?

Perché desidero capire che cosa c’è nella testa di un credente, che cosa gli fa credere ciecamente nell’esistenza di un Dio. A me sembra assurdo, ma voglio capire perché non lo è per chi ha fede. Però questi discorsi li faccio soltanto con chi crede davvero e si comporta di conseguenza. Degli altri, di chi è religioso per consuetudine, per inerzia mentale o peggio per convenienza, non mi frega niente.

Come giustifichi oggi il tuo ateismo? Se dovessi spiegare a qualcuno perché non credi in Dio, quale argomento gli proporresti? Uno e uno solo: il più convincente.

Che non sento alcun bisogno di un Dio. Può bastare?

Puoi escludere la possibilità di iniziare a credere in Dio?

Al momento ti dico di sì, ma non si può mai sapere che cosa riserva la vita. Ho visto molte persone avvicinarsi alla fede in momenti di grande debolezza, come una malattia o un lutto. Spesso chi lo fa finisce per credere in Dio in forme esasperate, anche un po’ patologiche. È una risposta irrazionale, umanamente comprensibile, a un’esperienza sconvolgente: nella disperazione ci si affida a un ente superiore. Ora mi sento di assicurare che a me non dovrebbe succedere. Ma chi lo può dire?

Che genere di prova considereresti convincente per accettare l’esistenza di Dio?

Non credo che possa esistere alcuna prova.

Nemmeno se uscendo la sera vedessi le stelle muoversi in cielo fino a comporre la scritta «Dio esiste»?

Mah. Un Dio che per dimostrarmi la propria esistenza usasse trucchi da baraccone come questi mi sembrerebbe uno sciocco giocherellone. Sarebbe una trovata da saltimbanco, da imbonitore. Dio, se c’è, dovrebbe essere più serio e non trastullarsi con simili stupidaggini.

L’esistenza umana può avere un senso anche senza Dio? In particolare, quale senso dai tu alla tua esistenza?

La mia esistenza ha un senso in quanto io sono, come ciascuno di noi, una singola cellula di quel grande organismo che è l’umanità, un organismo che esiste da qualche centinaio di migliaia di anni. Fino a quando questo organismo collettivo sopravvivrà, tutti noi possiamo, anzi dobbiamo dare un contributo per rafforzarlo, perché si arricchisca di conoscenze, perché consenta di garantire una vita serena e sempre migliore a ciascun individuo. Per tutto questo, che considero un dovere, non mi aspetto premi nell’aldilà. Il premio è la soddisfazione di fare ciascuno la propria parte, di poter lasciare un segno del nostro passaggio. Non mi importa di essere ricordato come individuo con un nome e un cognome, ma mi piace pensare che, per esempio, per me che nella vita ho fatto l’insegnante, i miei studenti possano essere maturati e migliorati come individui anche grazie alle mie lezioni, che abbiano trasferito ad altri ciò che hanno imparato da me, in modo che fra cinque o sei generazioni qualche altro giovane, che neanche saprà chi era Corrado Lamberti, ne sarà arricchito. Del resto il contributo non lo diamo solo a livello intellettuale, ma anche con l’esempio di vita, o anche solo a livello biologico, come quando un genitore mette al mondo un figlio. Ecco, per me il senso della vita è questo: essere cellule di quell’organismo, cellule che svolgono il proprio lavoro per migliorare l’esistenza della specie, rafforzarla, spingerla avanti. Se però mi chiedi a che cosa serva tutto ciò, poiché tutto ha avuto un inizio e tutto finirà, forse anche la specie umana, io non so darti una risposta.

Dio non è necessario nemmeno per garantire un comportamento morale degli esseri umani?

Per quanto riguarda l’etica, io penso di essere il più cristiano degli atei.

In che senso?

Nel senso che i miei principi morali sono quelli stessi di un cristiano, con la solidarietà, l’amore per il prossimo, nell’insegnamento del Cristo, come stella polare. Solo spogliati da ogni traccia di trascendenza. Io non condurrò mai una battaglia contro le religioni. Infatti sono convinto che nell’educazione morale della gente le religioni abbiano avuto un ruolo fondamentale e che abbiano contribuito positivamente allo sviluppo della società umana.

Tu e io siamo agli antipodi. Per me i monoteismi abramitici sono la peggiore sciagura che abbia mai colpito la cultura umana. Non spariranno mai troppo presto, se mai spariranno.

Io invece li valorizzo proprio sul piano della loro valenza morale. In che cosa noi ci differenziamo dagli animali? Semplifico molto, per necessità di concisione: nel mondo animale ciascun individuo lotta da solo per la sopravvivenza, per affermare sé stesso. Individualismo ed egoismo sono i princìpi e gli strumenti evolutivi nel mondo animale. Se vuoi, questa è l’etica che sottende anche il liberismo economico: la ricerca del successo personale, dell’affermazione di sé come strumenti per l’avanzamento della società. In realtà io credo che lo sviluppo impetuoso della società umana abbia trovato una molla di eccezionale efficienza nella socialità, nel solidarismo. La solidarietà è il più efficace strumento evolutivo per la specie umana: ne favorisce la sopravvivenza, la crescita, lo sviluppo. Io la considero una legge naturale, dettata dalla nostra specifica natura di esseri razionali ed emersa dall’esperienza storica di tutti i popoli. È la legge fondamentale che dovrebbe orientare tutta la nostra etica.

E su questa legge si fonda la morale di Corrado Lamberti, che non sente il bisogno di Dio.

Sì, è la morale a cui mi ispiro, che in politica mi ha spinto verso il comunismo. Una morale che considero derivata razionalmente da una legge di natura, non certo dettata da un’autorità superiore di natura divina.

Questo vale per te. E per gli altri?

Purtroppo molti individui sono portati a comportarsi come bestie asociali, egoiste. D’altra parte è difficile essere altruisti, rinunciare a qualcosa per gli altri. L’istinto ti porta semmai ad abbracciare la legge della giungla.

E la religione che ruolo ha?

Nella Storia tutte le religioni hanno dato un grande contributo alla costruzione delle società umane, fornendo una guida morale. Hai presente Cartesio e il suo discorso sulla morale provvisoria? Ecco, io vedo le religioni come la necessaria morale provvisoria su cui hanno preso avvio e forma le società umane: un’etica inculcata nella testa dei popoli primitivi sfruttando il timore di una divinità superiore. Senz’altro una forzatura, ma un male necessario. E, siccome le religioni un contributo possono darlo ancora oggi, questo è il motivo per cui non le combatto. Considera Papa Francesco, il suo generoso impegno e la difficoltà che incontra nel promuovere certi valori nel suo stesso gregge. Sono finite le grandi ideologie del XX secolo e la società sembra sul punto di disgregarsi, minata da un individualismo estremo. Francesco è rimasto l’ultimo vero leader morale di questo mondo, e tu guarda quanto fatica fa nel mantenere il proprio popolo fedele ai valori di solidarietà e di apertura agli altri. In Italia tutto sommato questi valori tengono ancora un po’, perché c’è un’antica tradizione cattolica. Ma fino a quando? Poi, certo, non è che io non veda gli aspetti negativi delle religioni, che hanno indotto i cristiani nel passato e certe frange estremiste musulmane nel presente a compiere nefandezze terribili. Ma bisogna saper distinguere tra l’autenticità dell’insegnamento di una religione e la sua interpretazione nelle varie fasi storiche, spesso strumentale, anche da parte delle stesse gerarchie. E, nonostante tutto, secondo me il ruolo delle religioni nella Storia degli esseri umani, in particolare del cristianesimo, è stato positivo.

Insomma tu sostieni che, anche se la fede religiosa non corrisponde a nulla di reale perché Dio non esiste, nondimeno è necessaria per dare una guida morale. Se non a te, quanto meno alle masse.

Sì, perché mica tutti arrivano a capire la necessità della legge naturale della solidarietà. D’altra parte anch’io credo di aver maturato questa consapevolezza con il tempo, con lo studio e con l’approfondimento. Non si può pretendere che un analfabeta funzionale sviluppi ragionamenti profondi per comprendere a quale morale dovrebbe adeguarsi. È più facile che aderisca a un’etica attraverso i precetti religiosi appresi da bambino. Dio e la religione non sono necessari, ma possono rivelarsi un utile artificio per questo scopo.

Ma questo discorso fatto da un comunista non suona un po’… elitista?

Eh, lo so. Ma guarda che non è mica facile arrivare con la razionalità a capire come la solidarietà sia la legge fondamentale che deve guidare l’etica di ogni essere umano. Prova ad andare in un bar a parlare di immigrazione e di solidarietà: scuotendo la testa, ti daranno del buonista, che è un modo elegante per darti del coglione. I valori si sono ribaltati: sdoganato dalla vulgata salviniana, l’egoismo è diventato un valore positivo, sinonimo di concretezza. Nella mentalità corrente, il precetto morale da seguire è: «Sii egoista, pensa a te stesso, tutt’al più alla tua famiglia. Non indulgere a ridicole utopie». Non credo di essere elitista: constato solo un dato di fatto. Con grande tristezza!

La mia non era un’accusa. Figurati. Io per primo sono elitista: dopo i monoteismi abramitici, la seconda peggiore sciagura che abbia mai colpito la cultura umana è il suffragio universale.

Mio figlio mi dice la stessa cosa, per provocarmi. (Ride.) Tuttavia è vero che il suffragio universale era adatto a una società come quella del ‘900, nella quale i partiti politici istruivano e orientavano i cittadini in campo politico. Le persone sapevano ciò che facevano, quando votavano. Oggi ciascuno è lasciato a sé stesso, orientato dal nulla che va in televisione. Non ci sono più né dibattito, né confronto, né sezioni di partito, solo chiacchiere da bar. Dunque c’è del vero nel pensare che il voto di un qualunquista non dovrebbe avere lo stesso peso di quello di una persona informata e consapevole.

Se dovessi demolire la fede di un credente, quale argomento gli proporresti?

Demolire la fede di qualcuno è una responsabilità troppo grossa e ben difficilmente me la accollerei.

È utile demolire la fede altrui, oppure ciascuno è libero di credere quel che vuole?

Chiunque deve poter credere quel che vuole, ci mancherebbe… Personalmente però mi piace contrastare tutte le credenze sciocche, irrazionali – non a caso io sono nel CICAP – e comunque prive di una dimensione etica. Non ritengo sia il caso della religione cristiana.

Questa tua visione positiva della religione non è mai entrata in conflitto con l’approccio di Margherita Hack, che era un’atea militante? Ne parlavate mai?

Sì, in effetti Margherita era molto più estremista di me. Io discutevo di religione soprattutto con Aldo, suo marito, e spesso ci trovavamo d’accordo. Lui stesso riconosceva che Margherita era molto tranchant, soprattutto era un’anticlericale convinta. Eppure negli ultimi tempi qualcosa era cambiato anche per lei. Non perché invecchiando ci si ammorbidisce, ma perché aveva avuto l’occasione di conoscere alcuni preti di strada, con i quali andava molto d’accordo.

Eh, i preti di strada. Sono brave persone, mica lo nego. Pure simpatici. E ci si trova in sintonia su tante cose. Però non li capisco: arrivano fino a un certo punto, ma mai alla conclusione più coerente, ossia l’abbandono della Chiesa.

Dipende dalla posizione da cui decidi di cambiare le cose: dentro il sistema oppure fuori dal sistema. Forse i preti di strada nella Chiesa sono un po’ com’erano i trotzkisti nel PCUS. (Ride.)

Pensi che la società sarebbe migliore se il numero di non credenti fosse maggiore?

Non ne sono sicuro. Ci può essere il non credente del tutto privo di una dimensione etica, perché non l’ha sviluppata dentro di sé. Uno che non solo non crede in Dio, ma neppure nella società, nella solidarietà, in ultima analisi nell’uomo. Insomma, non necessariamente essere lontani dalla religione rende migliori le persone.

Come giudichi l’azione degli atei militanti, che divulgano l’ateismo spesso con uno stile aggressivo e con l’intento di demolire la religione?

Non li vedo con favore. Per il motivo che ti ho detto: è una responsabilità troppo grossa. Ma è pure una battaglia persa. Se uno ha davvero fede, è molto difficile smantellargliela con argomenti puramente razionali. In ogni caso, se pure non combatto le religioni, sono un irriducibile oppositore di superstizioni e idolatrie, come la credulità nei santoni, nelle visioni, nelle madonnine piangenti. In questi casi arrivo al punto di richiamare i credenti a una maggiore serietà nella loro fede. Chi crede che una statua di gesso possa piangere sangue in realtà sta bestemmiando: attribuisce alla divinità comportamenti ridicolmente fatui. A quei credenti io dico: «Se proprio volete credere, siate seri, spendete la vostra fede per orientare eticamente le vostre vite, non fatevi abbagliare dalle baracconate».

Siamo di fronte a un rinascimento religioso? Sei preoccupato?

Non solo non vedo alcun rinascimento religioso, ma purtroppo constato il contrario. Vedo un allontanamento progressivo dalla religione, perché il capitalismo porta all’individualismo e all’egoismo, cioè all’opposto della solidarietà cristiana. Semmai sono preoccupato da questo.

Nemmeno nel fondamentalismo islamico avverti un pericolo?

No. Il fondamentalismo è soltanto l’espressione di una piccola minoranza. E comunque dietro ci sono motivazioni che usano strumentalmente la religione.

Choam Goldberg


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