Un fantasy personale

Lodovico racconta la propria Storia per «Io senza Dio».


Era comodo, credere? Era rassicurante, credere? Era un modo per dare un senso facile, credere? Era la volontà di fuggire da un mondo che fa paura, credere?
Ebbene, per me sì. E ci ho creduto. L’ho anche tanto voluto, credere. Con tutto me stesso ho lottato per non far crollare mai la fede in «qualcosa».
Poi sono stato onesto e ho lasciato cadere la corazza e finalmente mi sono liberato, con dolore, con paura e anche con angoscia, ma ero libero e padrone dei miei pensieri e delle mie scelte. Almeno quelle che potevo controllare.

Sono vissuto immerso nella cultura cattolica fin da piccolo. Ma non per imposizioni di famiglia, semplicemente c’ero dentro: papà timidamente e tiepidamente credente, seppur la sua parte di famiglia un po’ più attiva nella vita parrocchiale, e mamma, al contrario, una mangiapreti con un sentimento di forte antipatia verso la Chiesa e la religione, così come gran parte della sua parte di famiglia. Eppure, nonostante tutto questo, la Chiesa gravitava attorno alla vita di tutti noi, seppur in modo diverso per ciascuno.

Da bambino mi affascinavano la figura di Gesù, il suo calvario, la sua sofferenza e i suoi insegnamenti. Lo pensavo buono, integerrimo, puro. Era riuscito a fare del bene un vero e proprio faro di vita e a renderlo concreto in azioni. Io, in qualche modo, volevo assomigliargli, anche se, confesso, mi faceva paura: sentivo – perché così mi dicevano – che ogni mia azione cattiva sarebbe stata giudicata da lui, quindi sarebbe poi giunta una punizione e infine il perdono. Quando commettevo qualche marachella oppure mancavo di rispetto a qualcuno, lo prendevo in giro o gli facevo uno scherzo di troppo – ma, senza andare troppo distante, quando anche solo pensavo qualcosa che sapevo non sarebbe stato approvato –, mi veniva il mal di testa e vivevo aspettando la punizione, sapendo che poi ci sarebbe stato un perdono. Aspettavo… aspettavo… e quando finalmente capitava qualche cosa che ritenevo brutta, con sollievo pensavo «Ottimo, ho espiato, quindi tra poco arriverà il perdono». Dentro di me però percepivo che c’era qualcosa di tremendamente inquietante in tutto questo. Avrei poi realizzato che questa sensazione non era nient’altro che la psicopolizia di cui narrava Orwell.

Mentre crescevo, il rapporto con Dio diventava più conflittuale: sentivo notizie di preti che commettevano atti orribili, studiavo la storia della Chiesa e mi si accapponava la pelle, leggevo le vicende del Vaticano e non mi capacitavo che a capo di tutto quello potesse esserci quel Dio di cui tanto sentivo parlare.

Ed eccola: la dissonanza cognitiva. Mi spiegavo: «Quelli sono uomini, Dio invece è un’altra cosa. Ma certo! Logico!». In realtà lo dicevo per sentirmi bene, per non allontanarmi da quell’idea di bene, di Amore infinito che mi avevano inculcato in testa. La risposta mi bastava, mi pareva anche solida, e soprattutto avevo imparato bene ad accreditare le azioni agli esseri umani, ma dentro di me sempre quel dubbio: «Ma, se è così onnipotente, perché permette tutto ciò?». E di nuovo: la dissonanza cognitiva. Ecco le risposte migliori:
– perché ci concede il libero arbitrio,
– perché ci ama così tanto che permette anche che sbagliamo (variante della precedente),
– perché ci sono una volontà maligna e una benigna e sono in lotta e a volte vince una e altre volte vince l’altra e sta a noi comprendere quali sono i segnali della volontà buona per diventare suoi guerrieri e combattere contro il male per permettere a Dio di trionfare.

Sì, questa mi convinceva: se esisteva l’Amore supremo, doveva esistere anche l’Odio supremo. Mi ero creato il mio fantasy personale, dove contavo qualcosa ed ero addirittura un soldato di una volontà superiore e, in barba alla teologia cristiana, ero diventato pure politeista!

Complimenti a me e alla mia voglia di continuare a credere perché era comodo, rassicurante, dava un senso facile e riusciva a mitigare la paura di un mondo disordinato e in preda al caos, difficile da comprendere.

Sono andato avanti in questo modo per lungo tempo, fino ai 20 anni, quando infine ho rigettato Dio, credendo in «qualcosa di superiore» inconoscibile e insondabile, rimanendo però devoto alla figura di Gesù, che consideravo comunque un ottimo esempio. Ma dentro di me quel castello di bugie, costruito da me stesso, stava per crollare, anche grazie alle mie idee politiche marxiste. Conciliare Marx e il sentimento religioso era difficile e soprattutto dentro di me mi sentivo sporco: ero intellettualmente disonesto e questo mi causava una gran fastidio.

Così, durante la pandemia, ormai venticinquenne e deluso dalla spiritualità, mi sono avvicinato agli atei militanti e ai cristiani integralisti: vedevo e leggevo le opinioni, gli studi, e le convinzioni degli uni e degli altri e – che dire? – Padre Kayn tra una risata e l’altra mi ha spinto a non temere più il giudizio di Dio, mi ha aiutato, facendomi sbellicare, a vedere razionalmente le cose e a studiarle da un punto di vista più simile al mio e mi ha incoraggiato a intraprendere il mio personale percorso verso l’ateismo.

È stata dura? Oh sì. Durissima. Mi sono trovato improvvisamente solo, senza più appoggi, senza più un cielo da guardare in caso di disperazione o di tristezza e senza più un’entità misteriosa a cui rivolgere le mie parole, perché sentivo che esse diventavano cenere direttamente sulle mie labbra. Però dentro di me ora lo sentivo: ero coerente, solido, presente a me stesso, con uno sguardo sull’impermanenza della vita che me la rendeva preziosa, meravigliosa, degna, ma soprattutto mia.

I primi anni sono stati un naufragio completo, perché dovevo trovare da me il senso, da me il percorso, e soprattutto dovevo interrogarmi profondamente: «Chi sono io? E dove voglio andare io? Quale progetto avrò io per me?». Tutto dipendeva dalle mie scelte e da come avrei deciso di vivere d’ora in poi, che cosa avrei deciso di scoprire e a che cosa avrei rinunciato, perché imparavo che a una scelta corrispondeva una rinuncia e non potevo avere tutto. Il mio tempo è diventato prezioso e il momento bellissimo da assaporare, anche se era doloroso, anche se mi spingeva a dire «Forse sarebbe meglio uccidersi». Ma, se anche lo avessi fatto, quella scelta sarebbe stata comunque mia, sarei rimasto io il padrone della mia vita. Io e non Dio. Quel bene che sentivo dentro di me era qualcosa che mi spingeva a chiedermi: qual è la cosa giusta da fare? Ho dovuto poi ragionarci e non accontentarmi di una risposta preconfezionata che non sapeva di nulla.

C’è la tentazione di tornare indietro? A volte sì, quando le situazioni della vita sono troppo asfissianti. Ma è questione di un attimo, perché tanto, anche se tornassi indietro, saprei che starei solo mentendo a me stesso, facendo la cosa più stupida che si possa fare. C’è solo un’azione da compiere: andare avanti. Perché so che questo percorso, seppur difficile, seppur sofferente, mi porterà dove un giorno potrò dire «Sono qui perché l’ho voluto io e non Dio».

Alla fine c’è solo una persona alla quale dovrò rispondere: il me futuro sul letto di morte, che mi chiederà «Hai vissuto secondo i tuoi principi? Sei stato felice nel modo che tu hai deciso?». Se dovessi rispondere no, allora quello sì che sarebbe come dire «Ho buttato la mia vita nel cesso, porco Dio».

Lodovico

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2 pensieri su “Un fantasy personale

  1. Vedo una costante in questa esperienza comune a molti. Cioè la suddivisione netta tra Dio e Gesù. Il primo è un ente estraniato dalla realtà, lontano, imperscrutabile, inavvicinabile, difficile da sentire, da percepire. Insomma qualcosa di molto fumoso. Gesù al contrario diventa un amico presente, una figura che piace, che affascina, qualcosa di vicino, tangibile, addirittura qualcosa di umano. E poi noto la trasposizione del brutto, dell’inaccetabile, verso Dio, cioè verso qualcosa che tutto sommato non ci appartiene, mentre tendiamo ad aggrapparci all’unica figura, Gesù, che ha una “presenza” più disegnabile…nel senso come possiamo disegnare Dio? Come una nuvola, un vecchio barbuto, un insieme di cose amorfe? Mentre invece Gesù ha un volto, un corpo etc. benchè frutto dell’iconografia e dei racconti evangelici. Anche per me in fondo è stato così, più facile staccarsi da dio che da Gesù.

  2. La “psicopolizia” di Orwell. Esattamente quello in cui ci hanno fatto credere. Da quando sono felicemente approdato all’ateismo io mi domando ogni giorno: ma coloro che pregano, qualunque religione e qualunque dio, sanno che le loro preghiere non verranno esaudite? Se davvero esiste una forza “spirituale” che fa cambiare, fa succedere le cose, allora, io penso, il mondo andrebbe un po’ meglio di come sta andando.

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