Ma di che cosa parliamo?

Per dichiararsi atei bisogna anzitutto capire che cos’è Dio.


Dio esiste. Eccome se esiste. Nella testa di chi ci crede, come idea esiste di sicuro. Ma che razza di idea è? «Definisci Dio»: questa richiesta può mandare in cortocircuito il credente quadratico medio. Ma tu sapresti definirlo? No? Be’, dovresti. Se ti dichiari ateo, dovresti sapere che cosa neghi, giusto?

I credenti pensano di saper descrivere il Padreterno, ma appena scavi sotto la superficie scopri come molti non si allontanino tanto dal barbogio antropomorfo sulla nuvola, a giudicare e premiare e punire: una specie di supereroe buono e giusto. Il gregge non ha confidenza col trascendente, e i pastori ci marciano alla grande. Per noi atei, quel Dio lì è un bersaglio facile: perculare il fedele di basso rango è come sparare sulla Croce Rossa. Come dici? Creduloni siffatti non esistono? Pensa alle processioni con le statue delle Madonne e dei santi patroni e immagina che cosa può rimbalzare fra i neuroni di chi recita le giaculatorie.

Come dici? Creduloni siffatti non esistono? Pensa alle processioni con le statue delle Madonne e dei santi patroni e immagina che cosa può rimbalzare fra i neuroni di chi recita le giaculatorie.

Più stimolante è affrontare la fede di chi ha una concezione sofisticata della divinità e adora un Dio unico, spirituale, intellettualizzato e trascendente. Siccome dal deismo al cattolicesimo lo spettro delle credenze è ampio e ciascuna richiede un approccio differente, bisogna essere ben informati. Perché si fa presto a dire «Dio».

Cominciamo dal panteismo spinoziano: di fatto, è indistinguibile dall’ateismo. Non esiste una realtà trascendente. La realtà immanente ha in sé la propria ragion d’essere, perciò è ontologicamente necessaria. Poiché la necessità ontologica è una caratteristica divina, sotto quest’aspetto – solo questo e basta – la realtà immanente è Dio. Ogni ateo, se ci riflette bene, ammette di essere un panteista. Amen.

Passo successivo: il deismo. Dio esiste, trascende la realtà fenomenica, spiega l’ordine razionale dell’universo e gli dà un significato. Sembra un discorso sensato, ma non supera la prova del rasoio di Occam: le domande esistenziali che ti poni sull’universo te le puoi porre anche su Dio, ma rimangono senza risposta. Dunque Dio non risolve i problemi, anzi li complica. Ergo è occamisticamente inutile. Possiamo farne a meno.

Il teismo attribuisce a Dio caratteristiche più spinte: non solo è trascendente, ma è creatore del cosmo e interviene qua e là. Pertanto è una divinità dotata di volontà, libera e consapevole. Può intrattenere un rapporto personale con alcuni umani. A maggior ragione, pure questo Dio viene tagliato dal rasoio di Occam.

Fin qui siamo rimasti nell’ambito della filosofia. Se caliamo questo Dio astratto nella Storia, troviamo la pletora di pantheon inventati da Homo sapiens in cinque millenni.

Anzitutto ci sono le religioni politeiste. Sembrano roba antica, ma contano ancora molte centinaia di milioni di seguaci. Addirittura miliardi, se consideriamo il cristianesimo cattolico.

Per l’induismo, le singole divinità sono manifestazioni differenti di un unico principio divino, sicché pure questa religione è, a modo suo, una stramba forma di monoteismo. Questo principio divino è una sorta di spirito naturale poco definito, quindi aperto a innumerevoli interpretazioni. Da cui, appunto, le sue incarnazioni: più di 300 milioni di divinità. Il fedele può venerarne una sola concreta e di suo gusto e instaurare con lei un rapporto personale oppure può adorare l’indefinita divinità suprema. A piacere. Non c’è un unico Libro sacro, ma un insieme di opere considerate fonti di ispirazione spirituale: i Veda, i Brahmana, le Upanisad, il Mahabharata. Esistono alcuni dogmi comuni: la reincarnazione, il karma, le caste, la ricerca dell’unione con la divinità.

Sempre fra i politeismi troviamo lo shintoismo e il confucianesimo, il primo con l’adorazione degli spiriti naturali e il secondo con la venerazione degli antenati. Nessuno dei due offre una gran finezza teologica. Lo shintoismo serve a giustificare il potere dell’imperatore facendo risalire la sua dinastia ad Amaterasu, la dea del Sole. Il confucianesimo è soprattutto una dottrina morale che enfatizza i legami familiari e l’armonia sociale nel rispetto delle tradizioni.

E adesso arriviamo al piatto forte dell’ipotesi teologica: i monoteismi. Di solito si fondano sugli insegnamenti raccolti nelle Sacre scritture, ispirate o perfino dettate da Dio a uno a più profeti. Come facciamo a saperlo? Perché lo dice Dio nelle Sacre scritture. Ah, ecco.

Come facciamo a saperlo? Perché lo dice Dio nelle Sacre scritture. Ah, ecco.

Se andiamo a ravanare nella Storia, troviamo il primo monoteismo con il faraone egizio Akenaton, nel XIV secolo a.C. Oggi ce n’è per tutti i gusti, compresi i monoteismi per noi un po’ esotici come il sikhismo e lo zoroastrismo. I più conosciuti e diffusi sono quelli del ceppo abramitico, così detti perché il fondatore iniziale di tutti e tre è la figura mitica di Abramo.

Per l’ebraismo, Dio è onnipotente, onnisciente, eterno. È il creatore dell’universo. È trascendente, e ogni sua rappresentazione antropomorfa è solo allegorica, a beneficio del popolino ignorante di filosofia. Più che buono, il Dio ebraico è giusto. Ha tanti nomi differenti (Yahweh, Adonai, Eloah, Shaddai eccetera) per rispecchiarne la natura multiforme. Yahweh è interessato agli umani, ma non a tutti: solo agli ebrei. Gli altri popoli non contano se non in quanto vicini degli ebrei, ostili o amici. Ed è incazzoso: se si adira con te o il tuo popolo, magari perché gli hai disubbidito o ti sei interessato a qualche altra divinità, sono cazzi amarissimi, ché Yahweh non ci pensa due volte a sterminare te, la tua stirpe per quattro generazioni, i tuoi parenti vicini e lontani, i tuoi amici, la tua servitù e il tuo bestiame. Tutto questo si trova nelle Sacre scritture ebraiche, molte delle quali coincidono con l’Antico testamento cristiano. Sono «Parola di Dio» in quanto ispirate da Dio. Infatti Yahweh parla: al popolo, ai profeti, ai re, ma anche al primo che passa. La Sacre scritture contengono, oltre alle lodi rivolte a Yahweh, le cronache delle vicende del suo popolo prediletto, costellate da conquiste, guerre, genocidi, epidemie e sfighe varie, insieme a un lungo elenco di puntigliose prescrizioni sull’alimentazione, le abitudini sessuali e altre attività quotidiane: tutta roba essenziale nell’economia dell’immenso universo creato e regolato da Dio.

Ed è incazzoso: se si adira con te o il tuo popolo, magari perché gli hai disubbidito o ti sei interessato a qualche altra divinità, sono cazzi amarissimi, ché Yahweh non ci pensa due volte a sterminare te, la tua stirpe per quattro generazioni, i tuoi parenti vicini e lontani, i tuoi amici, la tua servitù e il tuo bestiame.

Il cristianesimo è l’upgrade dell’ebraismo costruito intorno a un’altra figura mitica: Gesù detto il Cristo. Alcune caratteristiche del Dio cristiano coincidono con quelle di Yahweh: è onnipotente, onnisciente, eterno, giusto, trascendente, creatore dell’universo. In più è buono e ci ama tanto. Ci ama così tanto da aver spedito in mezzo a noi suo figlio: Gesù, appunto. Per poi farlo crocifiggere. Perché? Ovvio: per redimerci dal peccato originale, cervellotica spiegazione, ebraica prima e cristiana dopo, del paradosso della sofferenza in un mondo creato da un Dio buono e onnipotente. Dopo la morte in croce, Gesù è risorto ed è tornato a sedere alla destra del Padre, dando ai cristiani la certezza della risurrezione di tutti. Questo è il fondamento del cristianesimo e, se non fosse vero, tutta la fede cristiana sarebbe una stronzata colossale: non lo dico io, ma san Paolo (1 Cor 15,12-19). Ok, non dice proprio «stronzata colossale», però il senso è quello. Tuttavia, visto e considerato che la vita fa schifo dopo Cristo come faceva schifo prima di Cristo e che molta parte della sofferenza è provocata proprio dai seguaci di Cristo, sorge un sospetto: magari quel sacrificio e quella risurrezione sono stati piuttosto inutili?

Gesù è Dio pure lui, insieme allo Spirito santo. Tutti e tre compongono la Trinità. Perciò il Dio cristiano è unico ma è anche triplo. Come fa? Boh. Mistero della fede. Tutte le grandi correnti cristiane sono trinitariste. Eccezioni significative sono i Mormoni e i Testimoni di Geova.

Perciò il Dio cristiano è unico ma è anche triplo. Come fa? Boh. Mistero della fede.

Le Sacre scritture cristiane sono composte dall’Antico testamento, che pressappoco coincide con le Sacre scritture ebraiche, e dal Nuovo testamento, che contiene quattro Vangeli con le cronache della vita di Gesù, gli Atti degli apostoli con le avventure dei suoi seguaci dopo la risurrezione, una raccolta di lettere attribuite a discepoli e accoliti e infine l’Apocalisse con la descrizione della fine del mondo. Fra i seguaci una menzione particolare merita san Paolo, il vero fondatore della religione e l’iniziatore del proselitismo. Infatti il cristianesimo, a differenza dell’ebraismo, è universalista e aspira alla conversione di ogni essere umano. E oggi 2 miliardi e rotti di credenti sono lì a dimostrare il suo successo.

Le versioni più antiche dei documenti nel Nuovo testamento risalgono a parecchi decenni dopo i fatti descritti, le attribuzioni sono spesso false e ci sono incoerenze interne ovunque. Insomma, il libro sacro dei cristiani è tutto fuorché un documento storico. Su Gesù nelle fonti coeve non cristiane c’è poco o nulla. Sulla risurrezione non c’è proprio niente. Sicché possiamo dire che sì, è esistito, ma va’ a sapere com’era e chi era, va’ a capire la differenza fra il Gesù storico e quello evangelico. In sostanza, ben poca cosa per fondarci sopra la fede in una divinità trascendente.

Sicché possiamo dire che sì, è esistito, ma va’ a sapere com’era e chi era, va’ a capire la differenza fra il Gesù storico e quello evangelico. In sostanza, ben poca cosa per fondarci sopra la fede in una divinità trascendente.

In due millenni il cristianesimo è esploso in una miriade di correnti, differenti fra loro per i dogmi. La più diffusa è il cattolicesimo. Che, oltre all’adorazione di Dio, Gesù e lo Spirito santo (però cagato poco, poveretto), prevede la venerazione pure della Madonna (gettonatissima, invece) e di una sterminata folla di santi, diventando un politeismo (ma guai a dirglielo!). In più, il cattolicesimo possiede una bella collezione di dogmi: dalla transustanziazione dell’ostia consacrata fino alla verginità di Maria prima e dopo il parto, dalla risurrezione dei morti dopo il Giudizio universale fino all’Immacolata concezione. Queste e tante altre simpatiche assurdità sono frutto dell’ispirazione dello Spirito santo e sono trasmesse attraverso il magistero della Chiesa, «una, santa, cattolica e apostolica», depositaria della dottrina rivelata agli apostoli da Gesù. La Chiesa è la sola autorizzata da Dio a interpretare le Scritture, a conservare la tradizione e di conseguenza a stabilire che cosa va creduto come Verità di fede e che cosa è bene o male per guidare le scelte morali dei credenti. E anche dei non credenti, ché se una cosa è sbagliata per i fedeli dev’essere sbagliata per tutti.

Dalla Chiesa cattolica si sono diramate altre chiese, fin dalle eresie e dai Concili dei primi secoli intorno a questioni di grande spessore. Tipo la natura di Cristo. È solo Dio? È solo uomo? È tutt’e due? In seguito c’è stato lo scisma della Chiesa ortodossa nell’XI secolo. Allora c’era in ballo la dottrina del Filioque: lo Spirito santo procede dal Padre e anche dal Figlio oppure solo dal Padre? Roba tosta. Assieme al Filioque, però, pesava parecchio la faccenda del riconoscimento dell’autorità ecumenica del vescovo di Roma, ossia del Papa. Nel XVI secolo si sono separate le Chiese evangeliche, anche dette protestanti: salvezza per fede e non per opere, predestinazione, niente culto dei santi e della Madonna, niente transustanziazione, niente magistero della Chiesa di Roma. Anzi, niente magistero proprio, poiché si dà la priorità alla lettura e all’interpretazione individuale delle Sacre scritture. Prive di un’autorità teologica centrale condivisa, le Chiese protestanti si sono frammentate in tante correnti diverse, ciascuna con le proprie credenze, sensibilità, istituzioni, cleri, riti. Da tutte queste divisioni nel cristianesimo sono seguiti anatemi, scomuniche, persecuzioni, guerre di religione, massacri, roghi, torture e altre piacevolezze. Ad maiorem Dei gloriam.

Da tutte queste divisioni nel cristianesimo sono seguiti anatemi, scomuniche, persecuzioni, guerre di religione, massacri, roghi, torture e altre piacevolezze. Ad maiorem Dei gloriam.

Intanto in Arabia, fra il VI e il VII secolo, ecco un altro upgrade del monoteismo abramitico: l’islam. Le caratteristiche divine sono le solite: onnipotenza, onniscienza, eternità, giustizia, trascendenza, creazione dell’universo. Ma soprattutto si ribadisce l’unicità: Allah è uno e uno solo. Ne deriva il raccapriccio dei musulmani per il culto cristiano della Trinità e a maggior ragione per la venerazione cattolica della Madonna e dei santi. Come dar loro torto?

L’islam risale fino ad Abramo e riconosce Gesù come profeta e non come figlio di Dio. Il compimento finale del progetto divino si realizza con l’ultimo dei profeti: Maometto. E con il Libro sacro definitivo: il Corano, superiore a tutte le Scritture precedenti. Al Corano si aggiungono gli hadith, ovvero i racconti sulla vita del Profeta.

Maometto è una figura storica un po’ più solida di Gesù. Fondatore di una religione universalista come il cristianesimo, ne ha iniziato la diffusione in Arabia, estesa dai suoi successori all’Europa, all’Africa, al Medio Oriente e all’Asia. Il Profeta ha compiuto atti miracolosi, come visitare l’inferno e il paradiso e godere di una visione diretta di Allah. Ma ha pure fatto cose quanto meno discutibili, come sposare una bambina di 7 anni e consumare il matrimonio quando lei ne aveva 10 e lui 54: lasciamo al lettore il semplice esercizio di descrivere questo comportamento con una sola parola.

Il Corano è «Parola di Dio» non perché sia stato scritto da Maometto ispirato da Allah. No, no: è proprio Allah a esserne l’autore, mentre Maometto si limitava a sognarne il contenuto dettato dall’arcangelo Gabriele e a ripeterlo da sveglio ad alcuni testimoni. Da cui si deduce che Dio parla arabo e che il Corano, nella sua versione originale, è un oggetto sacro nello stesso modo in cui un’ostia consacrata è sacra per un cattolico.

Il Corano è una raccolta di affermazioni su Dio, sulle sue prescrizioni, sulle sue proibizioni. Siccome è stato scritto da Allah in persona, contiene la Verità: tutta quella necessaria e sufficiente, niente di più e niente di meno. Quel che c’è scritto lì dentro è vero in assoluto e chi lo nega è un infedele. Non esiste interpretazione, ma solo lettura letterale. Il Corano dice di lapidare gli adulteri? Poche storie: si lapida. Il Corano dice di ammazzare gli apostati? Poche balle: si ammazza.

Il Corano dice di lapidare gli adulteri? Poche storie: si lapida. Il Corano dice di ammazzare gli apostati? Poche balle: si ammazza.

Purtroppo sussiste un problema: alcune penose incoerenze interne al Corano. Prima Allah dice una cosa e poi ne dice un’altra, incompatibile con la prima. Come si fa? Semplice: conta la più recente. Ma le sure, ossia i capitoli del Corano, sono in ordine non cronologico di rivelazione, bensì per la loro lunghezza. Sulla cronologia delle sure e sull’interpretazione degli hadith si sono scatenati i conflitti teologici fra le diverse correnti islamiche. Le due principali sono il sunnismo e lo sciismo, peraltro divisi in origine su una questione nient’affatto teologica: la successione al potere politico dopo la morte di Maometto. E anche in quel caso furono guerre, battaglie, massacri. Ininterrotti fino al presente. Perché Allah è grande e misericordioso.

E anche in quel caso furono guerre, battaglie, massacri. Ininterrotti fino al presente. Perché Allah è grande e misericordioso.

E Buddha? No, Buddha no. Buddha lo aggiungiamo solo per amor di completezza, ché il buddhismo non è una vera e propria religione. Non dovrebbe esserlo, almeno, sebbene ne presenti alcune caratteristiche, come un complesso di credenze, alcuni libri sacri e degli ordini monastici.

Siddharta, vissuto in India fra il VI e il V secolo a.C., non era Dio, non era il figlio di Dio, non era il profeta di Dio. Era solo un tizio giunto alla comprensione di alcune profonde verità, la prima delle quali è: «La vita è dolore». E grazie al cazzo: più che un dogma, è una constatazione. Siddharta, raggiunta l’Illuminazione e diventato Buddha, propose una spiegazione dell’origine del dolore e suggerì una via per liberarsene.

Il buddhismo è una specie di psicoterapia, insomma. Può piacere o non piacere, può convincere o non convincere, ma con Dio non ha nulla a che spartire. Difatti Buddha era agnostico: siccome la vita è dolore, prima di farti le pippe mentali sul problema teologico dovresti preoccuparti di emanciparti dalla sofferenza. Puro buon senso, dai.

Difatti Buddha era agnostico: siccome la vita è dolore, prima di farti le pippe mentali sul problema teologico dovresti preoccuparti di emanciparti dalla sofferenza. Puro buon senso, dai.

Eppure, come spesso accade, i seguaci tradirono il suo pensiero e, sopra il nucleo del messaggio originale e razionale, dopo la sua morte edificarono uno stupa di superstizioni, fra le quali l’attribuzione di qualità divine a Siddharta stesso. Da cui il culto, la venerazione, i riti e il solito ciarpame culturale religioso.

Infine c’è il taoismo: il Tao è un principio ordinatore eterno, impersonale, assoluto ma non trascendente. È Dio? Mah. Sembra. Nondimeno un taoista ti direbbe che no, non si può nemmeno fare un paragone. Il Tao è anche una Via: la Via dei fenomeni mutevoli dell’ordine naturale e la Via da seguire per affrontare l’esistenza umana.

Ah, dimenticavo il Dio confuso. Il Dio fai-da-te di chi non aderisce ad alcuna religione tradizionale e pesca qua e là quel che gli garba: un po’ di pensiero evangelico, una spruzzata di buddhismo, un pizzico di sensibilità New age. «La Chiesa fa schifo, però Gesù è stato un grande filosofo e i Vangeli mi ispirano molto. E io sento che c’è qualcosa». Che cosa? «Non saprei spiegarlo. Qualcosa che va al di là della realtà materiale. Uno spirito. Un’energia». Un’energia. Cioè la capacità di un sistema fisico di compiere lavoro, giusto? «Eh?» Lasciamo perdere, va’. In confronto, perfino il Motore Immobile di Aristotele aveva più dignità.

Choam Goldberg


Potrebbero interessarti anche gli articoli di questi Percorsi:

(A)teologia


Potrebbero interessarti anche i video di questi Percorsi:

(A)teologia