E se il/la credente tiepido/a se lo tiene è perché qualcuno prima, molto prima, glielo ha dato. Anzi glielo ha inculcato.
Se l’ateismo è davvero questa posizione assolutamente razionale e logica, perché allora molte persone intelligenti, colte e dotate di spirito critico, che sono in grado di seguire i ragionamenti razionali e logici e di coglierne gli errori, sono credenti?
Bella domanda si pone e pone a tutti/e noi Sylvia Green nel suo blog, ecletticity. E aggiunge:
Questa è direi la domanda delle domande per il mondo ateo, la domanda su cui la nostra empatia si blocca e fatichiamo a darci una risposta che possa avere un senso.
Brava Sylvia. Brava anche nel proporre una risposta. E qua mi trovo subito in imbarazzo: la descrivo qui, la sua risposta, oppure no? Se lo faccio, se spoilero il suo articolo, poi tu magari non te lo vai a leggere, ed è un peccato, perché è un bell’articolo. Se non lo faccio, c’è il rischio che tu non capisca. Mmm…
No, non lo spoilero. Se vuoi conoscere la tesi di Sylvia, leggi il suo articolo, che merita. E sappi che io condivido la sua risposta alla domanda.
Però.
Però è solo mezza risposta. L’altra mezza è un fattore che Sylvia non considera. Un fattore che arriva molto prima: l’indottrinamento infantile.
«Dateceli dai cinque ai dieci anni, e saranno nostri per tutta la vita» è una di quelle frasi che si sentono ripetere ogni 3 per 2 negli ambienti atei, con le attribuzioni più diverse. Alcuni dicono che sia di de Maistre, altri la ascrivono più in generale ai gesuiti. Chissenefrega: l’importante è il concetto. Ed è un concetto assodato: l’imprinting religioso ricevuto durante l’infanzia è potentissimo. Non insuperabile, ché altrimenti non si spiegherebbero i casi di persone educate in contesti bigotti e cresciute con una fede profonda e condivisa in una comunità esclusiva, che poi, anche in età adulta, iniziano a nutrire dubbi sempre più forti fino ad approdare all’ateismo. Sofferto ma proprio per questo ancora più consapevole.
Eppure resta il fatto: nella stragrande maggioranza dei/lle credenti la fede religiosa affonda le radici nell’indottrinamento infantile. Quando un/a bambino/a cresce in una famiglia, in una scuola e più in generale in una società dove si dà per scontata l’esistenza di una divinità benevola e onnipotente, dove quel dogma quasi non viene messo in discussione, è quasi inevitabile che, da adulto/a, lo avrà introiettato in modo acritico. Quella divinità può avere caratteristiche specifiche e palesemente assurde: per esempio è una ma anche tre e si è incarnata in un uomo che è stato ucciso e poi è risorto, oppure è assolutamente soltanto una e si è rivelata per l’ultima e definitiva volta a un antico profeta nel deserto.
Crescendo, il/la bambino/a, se non è molto sveglio/a e/o se non ha la possibilità di formarsi una cultura, continuerà a credere che è tutto vero. Ossia che quelle palesi assurdità non sono assurde affatto. Che Dio può nascere da una donna vergine e che il pane può trasformarsi in carne umana. Oppure che Dio può aver dettato a un profeta il testo di un Libro sacro, increato ed eterno. Quel/la credente forse riderà dell’assurdità delle credenze delle altre religioni, senza nemmeno rendersi conto dell’identica, speculare assurdità delle proprie credenze.
Se invece il/la bambino/a è abbastanza intelligente e ha la fortuna di poter studiare, si renderà conto delle cazzate e diventerà un/a credente tiepido/a, che magari frequenta i riti comunitari perché lo fanno tutti/e, senza però prendere sul serio ogni dogma di fede. Tuttavia anche il/la credente tiepido/a, anche quello/a che «Non credo a tutto quello che dicono i sacerdoti», alla fine arriva sempre a «Comunque credo che Qualcosa c’è». Perché? Per le convincenti ragioni descritte da Sylvia. Ma attenzione: sono convincenti applicate all’adulto/a. Da dove ha preso quel Qualcosa, l’adulto/a? Lo ha ereditato dal/la bambino/a che era. Lo ha depurato dalle cazzate più clamorose, ma quel Qualcosa è rimasto: uno spirito, un’energia cosmica, un sa-il-cazzo-che-cosa trascendente, benevolo e onnipotente, creatore dell’universo, fonte di qualche legge morale, garante di qualche tipo di sopravvivenza umana dopo la morte.
Che il Qualcosa benevolo e onnipotente sia assurdo quanto i dogmi delle religioni tradizionali perché è inconciliabile con la sofferenza innocente è un problema che il/la credente tiepido/a non si pone. Se mai gli/le capita di porselo, cerca di non pensarci, distoglie l’attenzione, si distrae pensando ad altro, alla peggio si trincera dietro un «Non capisco ma credo lo stesso» oppure un «Sento dentro di me che Qualcosa c’è» o perfino un «Non posso credere che Qualcosa non esista». Non può e non vuole farne a meno per i motivi spiegati da Sylvia. Ma, se ce l’ha, se se lo tiene ben stretto, è perché prima, molto prima, qualcuno/a glielo ha dato. Anzi glielo ha inculcato.
Nondimeno ci sono pure i casi estremi: persone senza dubbio brillanti, intelligenti e colte, con una formazione scientifica di alto livello seguita da una carriera professionale prestigiosa, stimate dai/lle loro pari, rigorose nell’applicazione del metodo scientifico nel proprio lavoro, dotate di senso critico spietato nella ricerca scientifica, che però aderiscono in maniera consapevole a un monoteismo abramitico tradizionale. L’astrofisica o il biochimico che sa – come può e deve saperlo ogni scienziato/a serio/a – che l’universo è antico quasi 14 miliardi di anni e che Homo sapiens è frutto dell’evoluzione naturale, ma che tuttavia crede che esista un Dio creatore di quell’antico universo per arrivare a produrre Homo sapiens su un pianeta sfigato di una stella insignificante in una galassia qualsiasi e che lo stesso Dio trasformi per miracolo un pezzo di pane in carne umana e si arrabbi osservando Luigi, di anni 15, farsi le pugnette nel cesso della casa dei genitori a Voghera, mentre sempre quel Dio, onnisciente, onnipotente e buono, non muove un dito per salvare Maria, di anni 3, agonizzante sotto le rovine della sua casa distrutta da un terremoto in Sudamerica. Tutto questo – la scienza e le cazzate, la conoscenza razionale e le credenze dogmatiche – coesiste nella stessa testa, in una dissonanza cognitiva inspiegabile. Certo, quelle credenze – proprio quelle e non altre – arrivano dall’indottrinamento infantile. E certo, quelle credenze – proprio quelle e non altre – permangono per le cause esposte da Sylvia. Tuttavia rimane il mistero: perché in quell’astrofisica o in quel biochimico la razionalità e il pensiero critico arrivano ovunque ma poi, di fronte alle stronzate più evidenti, si fermano?
Prevedo un tentativo di risposta di qualche bigotto/a: «Si chiama “fede” ed è un dono, e infatti in questo dono consiste la prova della miracolosa azione di Dio». E niente: fa già ridere così. Sicché astenersi bigotti/e, per favore. E semmai proporre argomenti razionali. Come sempre si deve.
«Le parole non sono pietre» è un adagio che è vero finché non si crede alle parole; ma se la nostra educazione e quanto ci è stato detto da genitori, insegnanti e preti ci hanno indotto a credere, credere fino in fondo, senza remore, che i peccatori bruceranno all’inferno (o a qualche altro spregevole articolo di fede, come l’assunto che la donna è proprietà del marito), è perfettamente plausibile che le parole producano danni più profondi e persistenti delle azioni. Sono convinto che non è esagerato parlare di «abuso di minore» quando insegnanti e preti spingono i bambini a credere per esempio che se non si confessa un peccato mortale si brucia all’inferno per l’eternità.
– Richard Dawkins, «L’illusione di Dio»
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Ciao Micol. Sono sostanzialmente d’accordo sulla “no go area”, meno invece rispetto al liberarsi da quella che indichi come patologia mentale. Vediamo di fare un quadro. Possiamo dire che l’essere umano vive e si nutre di emozioni, quindi come dice l’articolo si Sylviagreen, in parte la religione consente di controllare alcune nostre paure. Dall’altro, come giustamente dice Choam, usiamo la religione anche perchè è un imprintig sociale che abbiamo avuto da giovinetti. Torniamo però alle nostre emozioni, che ci consentono di vivere. Sono comunque un fenomeno molto complesso, abbiamo le emozioni principali, come la paura, la rabbia, mentre abbiamo anche le emozioni indotte dalla società e dalla cultura che ci circonda, come appunto il senso di colpa che è parte integrante del cristianesimo stesso. dovremmo quindi chiederci a cosa servono le emozioni e se è giusto liberarsene. E’ anche vero che le emozioni, estremizzate, possono portare a patologie varie, forme ansiose, depressive etc. Quindi togliere la religione senza dare altre risposte alle emozioni che albergano nella nostra “no go area”, non risolverebbe il problema, di contro non si possono annullare le emozioni stesse, non possiamo chiudere la nostra “no go area”.
Esprimo qualche punto di disaccordo, nel tentativo di trovare una spiegazione piu’ utile del perché tante persone intelligenti e colte, e persino scienziati, continuino ad essere credenti.
L’ateismo non e’ semplicemente una posizione assolutamente razionale e logica, e’ qualcosa di piu’: e’ una posizione mentalmente sana.
La religione non e’ semplicemente una cazzata, e’ un delirio culturale, cioè un delirio accettato dalla società, nel quale il povero delirante non si trova da solo (come invece in tutti gli altri deliri).
Il condizionamento infantile religioso non risiede tanto nel contenuto aberrante delle cazzate che si inculcano nella mente dei bambini, quanto nella forma aberrante del processo del pensare stesso che viene loro insegnato.
La persistenza delle cazzate religiose nelle persone colte e intelligenti non e’ una dissonanza cognitiva, e’ un qualcosa di piu’ profondo: e’ una vera e propria dissociazione della coscienza per cui io sono un ginecologo e la mattina faccio partorire 15 donne, mentre la sera prego la cara Maria, rimasta per me vergine prima, dopo e durante il parto.
Per questo le facoltà logiche davanti alle cazzate religiose si fermano: perché le cazzate religiose non sono a loro accessibili, risiedono, completamente dissociate, in una “no go area” per le facoltà logiche, perché in quell’area il pensiero e’ diverso dal pensiero sano e normale.
La liberazione dalla religione non e’ una questione di intelligenza e studio: e’ un vero e proprio processo di guarigione da una patologia mentale che alcuni di noi hanno la fortuna di poter completare, grazie a delle relazioni inter-urmane sane, valide e soddisfacenti, e a esperienze personali dal valore terapeutico, che possono essere di vario genere.
Grazie, Micol, per la riflessione interessante e pertinente.