L’argomento cosmologico

I bigotti continuano a riciclarlo, ma resta sempre pattume intellettuale.


Il Big Bang: basta nominarlo per provocare orgasmi in qualsiasi apologeta del Dio abramitico. L’idea è troppo arrapante per loro, se ci pensi: la scienza dimostra che c’è stato un inizio dell’universo. Non solo: possiamo anche datarlo. Certo, non c’entra un cazzo con la Genesi nell’Antico testamento, ma che problema sarà mai? La fede è progredita e oggi tutti considerano quel racconto allegorico. L’essenziale è il concetto, appunto: l’inizio. L’inizio fa subito pensare a un creatore. Se poi la prima intuizione la ebbe un sacerdote, Georges Lemaître… bingo! È il sogno bagnato di ogni apologeta. Lo senti? Lo senti ripetere la solita manfrina? «La scienza non dimostra l’esistenza di Dio, ma offre ottimi indizi!». Ma davvero?

Alexander Vilenkin è un autorevole cosmologo della Tufts University e ha scoperto, insieme ad Arvin Borde e Alan Guth, il risultato che da ora in poi chiameremo teorema BGV. In sostanza i tre hanno dimostrato l’esistenza di un inizio per ogni universo in espansione. Agli apologeti Vilenkin piace un sacco e citano spesso queste sue frasi:

With the proof now in place, cosmologists can no longer hide behind the possibility of a past-eternal universe. There is no escape, they have to face the problem of a cosmic beginning.
– Alexander Vilenkin

Siccome la scienza ha dimostrato che c’è stato un inizio, ecco la prova della creazione. Quindi ci deve essere un creatore. Scacco matto, atei! Ma…

…ma anzitutto un inizio non presuppone ipso facto un creatore trascendente. Pure un albero o una montagna hanno un inizio, ma non per questo possiamo dedurre l’esistenza di un creatore di alberi o di montagne. In realtà non potremmo dedurre nemmeno una causa. Tuttavia per il momento ammettiamo che una causa esista per tutto ciò che ha un inizio. Nondimeno la causa può essere naturale, come nel caso dell’albero e della montagna. Perché la causa dell’universo dovrebbe essere soprannaturale?

Tutto comincia con l’argomento cosmologico: una prova classica della teologia naturale, cioè la teologia che si illude di poter dimostrare l’esistenza del creatore a partire dall’osservazione della creazione. L’argomento affonda le proprie radici in Aristotele, che credeva in universo eterno ma postulava più motori immobili, per poi propagarsi nel pensiero filosofico occidentale attraverso Plotino, Avicenna, Giovanni Filopono, per arrivare a Tommaso d’Aquino, che fra le sue Cinque vie annovera la pretesa dimostrazione di una causa incausata. Conclusione: quella è Dio.

La versione dell’argomento cosmologico alla quale gli apologeti moderni sono più affezionati va sotto il nome di Kalam ed è tornata in auge da quando il teologo William Lane Craig l’ha rispolverata, alla fine degli anni ’70. La sua formulazione è semplice e si presenta come un classico sillogismo.

  1. Tutto ciò che inizia a esistere ha una causa.
  2. L’universo ha iniziato a esistere.
  3. L’universo ha una causa.

Che cosa non funziona nel Kalam? Parecchie cose.

Cominciamo dalla prima premessa e affrontiamo il concetto di causa.

Potrei recuperare David Hume per ricordare che in filosofia il principio di causalità è stato smontato in modo convincente fin dal XVIII secolo. Preferisco però ricordare Alberto Gigli Berzolari che, a una mia domanda durante una lezione di Fisica generale II, rispose: «Nella meccanica quantistica questo concetto non esiste. Perciò non lo nomini più, per favore, Goldberg». Eh già, perché così è: nella fisica quantistica non ha nemmeno senso parlare di una «causa». Qual è la causa del decadimento di un nucleo instabile? Non c’è. Qual è la causa di una fluttuazione quantistica del vuoto? Non c’è. Chi insiste nell’applicare il principio di causalità alla riflessione filosofica è rimasto ottusamente ancorato alla realtà macroscopica, dove in effetti il principio continua a essere utilizzabile. Ma a livello quantistico non se ne parla più.

Ma che c’entra l’universo con la meccanica quantistica? C’entra, perché il modello del Big Bang prevede che nelle fasi iniziali l’universo avesse dimensioni tali da richiedere, per studiarne i primi istanti di esistenza, l’applicazione della meccanica quantistica. Difatti una delle ipotesi è che tutto sia emerso da un fluttuazione quantistica del vuoto: l’appariazione dal nulla e senza causa di tutta l’energia e tutta la materia primordiali. Siccome a prima vista sembra un’assurdità, merita due parole di spiegazione.

Il principio di indeterminazione di Heisenberg dice che alcune coppie di grandezze fisiche non possono essere misurate insieme con precisione arbitraria. Secondo la versione più nota al grande pubblico, quanto meglio misuriamo la posizione di una particella, tanto più siamo incerti sulla sua velocità e viceversa. C’è però un’altra coppia di grandezze fisiche legata dallo stesso principio: l’energia e il tempo. In un fenomeno, quanto meglio conosciamo l’energia, tanto peggio conosciamo il tempo e viceversa. Una fluttuazione quantistica del vuoto si spiega con questo principio: dal nulla compare della materia – dunque anche dell’energia – sotto forma di una coppia composta da una particella e un’antiparticella e dopo un tempo brevissimo la coppia si annichila e scompare. Quanto maggiore è l’energia apparsa, tanto più breve è la sopravvivenza della coppia e viceversa. Qual è la causa della fluttuazione? Non c’è alcuna causa. Nessuno può prevedere dove e quando succede né sapere perché. Succede e basta. Ebbene, se la quantità di materia/energia è piccolissima, la sua esistenza può essere lunghissima. Che è quanto potrebbe essere successo con il Big Bang.

«Ma come è possibile?», potresti chiederti. «Se guardo l’universo, non vedo una quantità di materia/energia piccolissima. Anzi!». Vero, ma bisogna considerare pure l’energia gravitazionale, che è negativa. Se la somma è minuscola, pari quasi a zero, la durata della fluttuazione quantistica può essere di decine o di centinaia di miliardi di anni. Dal nulla e senza alcuna causa. Sentiamo l’opinione di Alexander Vilenkin.

If there was nothing before the universe popped out, then what could have caused the tunneling? Remarkably, the answer is that no cause is required. In classical physics, causality dictates what happens from one moment to the next, but in quantum mechanics the behavior of physical objects is inherently unpredictable and some quantum processes have no cause at all.
– Alexander Vilenkin

Qualcuno trova un creatore o addirittura un Dio nelle parole di Vilenkin? No, vero? Ma sentiamo che cosa pensa Vilenkin dell’uso del suo teorema per dimostrare l’esistenza di Dio.

So, what do we make of a proof that the beginning is unavoidable? Is it a proof of the existence of God? This view would be far too simplistic. Anyone who attempts to undestand the origin of the universe should be prepared to address its logical paradoxes. In this regard, the theorem that I proved with my colleagues does not give much of an advantage to the theologian over the scientist.
– Alexander Vilenkin

Chissà come mai gli apologeti queste frasi di Vilenkin non le citano mai? Non è strano. Difatti anche con lui i bigotti si producono in un’attività nella quale eccellono: considerando la scienza una specie di enorme insalata, ne estraggono solo gli ingredienti che garbano loro e trascurano tutti gli altri, come se non esistessero. Lo fanno con tutto: con la scienza ma pure con la storia e con la filosofia. Vuoi dimostrare che l’ateismo deprime? Peschi due famosi atei pessimisti e dimentichi tutti gli altri. Un trucchetto alla portata di qualsiasi cretino con la «c» aspirata.

Ma non divaghiamo. Proseguiamo invece con la seconda premessa: l’universo ha iniziato a esistere.

Il teorema BGV dimostra che non può esistere un universo in espansione adesso e infinito nel passato. Ma potrebbe essere ciclico? Vilenkin sostiene di no: comunque dovrebbe esserci stato un ciclo iniziale. Lo stesso vale per la gemmazione degli universi gli uni dagli altri: deve esserci o esserci stato un universo primordiale dal quale tutto ha avuto inizio, sostiene Vilenkin. Ma nemmeno Vilenkin va preso come un oracolo infallibile. Secondo Sean Carroll, Alan Guth – cioè la G del teorema BGV – considera un universo eterno come un’ipotesi perfettamente plausibile. Non solo: il teorema BGV si applica a uno spaziotempo classico e non considera una (peraltro ancora non formulata) teoria quantistica della gravità. Perciò va considerato un risultato importante sì, ma tutt’altro che definitivo.

Gli apologeti, inebriati dal teorema BGV, dichiarano che prima dell’universo non c’era nulla. Nulla di fisico, beninteso. Nulla di naturale. Attenzione però: «nulla» significa davvero nulla. Il limite è spaziotemporale: prima del Big Bang non esistevano l’energia e la materia ma neppure lo spazio e il tempo. Non c’era un luogo. Non c’era un istante. Ma, senza un luogo e senza un istante, non ha senso nemmeno parlare di una causa. Come può agire una causa prima del tempo, se il tempo non esiste? E come può operare una causa se non esiste uno spazio per farlo?

La cosmologia è una scienza di confine, nella quale le teorie sono molto numerose e variegate e i fatti assodati sono assai pochi. Le possibilità sono tante ed è oltremodo difficile decidere. Un fatto però è certo: tutti i modelli cosmologici sono razionali e compatibili con quanto già sappiamo dell’universo sulla base delle scoperte compiute finora. Forse l’universo si estende in un eterno passato ciclico. Forse ha avuto inizio in una singolarità prima della quale non esistevano né lo spazio né il tempo. Ora non lo sappiamo, ma speriamo di scoprirlo continuando a lambiccarci il cervello, raccogliendo nuove osservazioni, sviluppando nuove teorie. In confronto, l’ipotesi teologica – ovvero la nascita dell’universo come libera creazione soprannaturale di una volontà trascendente – spicca per la sua assoluta inutilità. Insomma non serve a un cazzo. Infatti quello che vediamo può essere spiegato facendo a meno di Dio.

A questo punto salterà fuori il bigotto di turno che, credendosi astuto, dirà che no, è troppo comodo, l’argomento cosmologico non può essere messo via così e il concetto di «causa» va inteso in maniera diversa, e invocherà il principio di ragion sufficiente.

In breve: si tratta di rispondere alla domanda «Perché?». Ma quel «Perché?» può essere interpretato in due modi.

C’è anzitutto un modo causale: dato un fenomeno, chiedersi perché si verifica consiste nell’interrogarsi sulla sua causa. Perché esiste l’albero? Perché il seme è germogliato. Perché esiste la montagna? Perché i movimenti tettonici hanno corrugato la crosta terrestre. È quanto abbiamo discusso finora. Perché esiste l’universo? Per esempio perché è emerso da una fluttuazione quantistica del vuoto. Oppure perché l’attuale fase di espansione segue a una precedente fase di contrazione, in un’alternanza infinita nel passato. O magari perché è la gemmazione di un altro universo.

La seconda interpretazione del «Perché?» – quella che sembra fare gioco ai bigotti diversamente astuti – riguarda non la causa, bensì la ragione sufficiente, appunto. Siccome le opzioni ontologiche sono molteplici, ci si chiede perché questa e non un’altra. Ovvero: perché esiste l’universo invece che nulla? La risposta del bigotto è: poiché l’universo non ha in sé una ragione sufficiente per esistere, allora la ragione va cercata fuori ed è Dio. L’ateo obietta: perché esiste Dio? E il bigotto: Dio esiste perché sì, perché Dio ha in sé la ragione sufficiente, perché in Dio l’esistenza è connaturata all’essenza, perché Dio è ontologicamente necessario, perché Dio, a differenza dell’universo, non è concepibile come non esistente. Ed ecco il punto in cui si manifesta tutta la fragilità dell’argomento.

Un Dio siffatto è inutile. Infatti chiunque possa credere in un Dio ontologicamente necessario può fermarsi un passo prima e credere in un universo ontologicamente necessario. La non esistenza di Dio non è concepibile? Cazzata: centinaia di milioni di atei la concepiscono benissimo e non ci vedono niente di strano. Insomma la risposta alla domanda «Perché esiste l’universo invece che nulla?» è: «Perché sì». È una forma di panteismo? Certo, come ho già argomentato. Ma anche ‘sticazzi, perché pure la ragione sufficiente come puntello dell’esistenza divina l’abbiamo archiviata.

Che cosa resta? Niente. Alla fine l’argomento cosmologico è pattume intellettuale. E il bigotto che continua a riciclarlo è o ignorante o in malafede. E uno non esclude l’altro.

Choam Goldberg

(Foto: Bruno Gilli/ESO)


Articolo aggiornato il 13 luglio 2024.


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2 pensieri su “L’argomento cosmologico

  1. Concordo perfettamente, in ogni singolo morfema.
    Grazie, con i miei migliori complimenti, scritto davvero bene.
    Bye, Angelo Basile

    PS. Sono (molto) ateo; a livello di quark!

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