Alice

L’esempio definitivo che demolisce ogni teodicea, dalle più cretine fino alle più sofisticate.


Forse ricordi Alice: ho parlato di lei in un articolo sulla teodicea. Ho riflettuto parecchio sul suo caso e l’ho perfezionato in modo da renderlo un esempio inattaccabile di sofferenza capace di demolire qualsiasi teodicea.

Alice ha 4 anni e si trova sepolta sotto le macerie della sua casa distrutta da un terremoto. Benché l’abitazione fosse stata costruita rispettando le migliori tecnologie antisismiche, la scossa è stata troppo forte e l’edificio è crollato. Tuttavia Alice non è morta sul colpo e non ha neppure perso conoscenza. I detriti l’hanno ferita ma senza ledere gli organi vitali. Sicché lei si trova da sola, al buio e terrorizzata, con un braccio schiacciato dai mattoni e in preda a fitte lancinanti. Alice sarà sottoposta a una tortura che si prolungherà per ore, forse per giorni. Un supplizio del quale nessuno verrà mai a conoscenza. Infatti, quando infine verrà estratta dalle macerie, Alice sarà morta.

Perché la storia di Alice demolisce qualsiasi teodicea, cioè qualsiasi tentativo di conciliare la sofferenza umana con l’ipotesi di una divinità onnisciente, onnipotente e buona? Cerchiamo di capirlo escludendo anzitutto le teodicee non pertinenti, risalendo poi dalle più cretine fino alle più sofisticate. Che sono però anche le più demenziali.

1. La punizione (1): Dio punisce Alice.
Per quale motivo? Che cosa mai potrà aver fatto di male agli occhi di Dio una bambina di 4 anni? Non ha senso.

2. La punizione (2): Dio punisce i genitori di Alice.
Questa di senso ne ha perfino meno. È vero che i genitori potrebbero essere i peccatori peggiori dell’universo, ma lei che c’entra? Non solo: anche ammesso, perché alla bambina viene inflitta quel tormento, del quale i peccaminosi genitori non sapranno mai nulla?

3. Il libero arbitrio: è colpa di qualcuno.
Subito esclusa, com’è ovvio: la sofferenza e la morte di Alice non sono provocate né dall’azione né dalla negligenza di qualcuno. Si tratta di una classico caso di Male naturale, dunque il Male morale è fuori gioco.

4. Satana: il Maligno si diverte a provocare il dolore degli umani.
Satana è stato creato da Dio. Dio, siccome è onnisciente, nel momento stesso in cui lo creava sapeva che Satana si sarebbe ribellato, sarebbe diventato malvagio, avrebbe torturato Alice. Ergo alla fine la responsabilità è ancora di Dio.

5. Il peccato originale: Alice ha comunque una colpa.
Cerchiamo di non dire stronzate sesquipedali, per favore. Su Alice ricade la colpa di qualche remoto antenato? Anzitutto che le colpe dei padri ricadano sui figli è un’idea degna di una tribù primitiva, non di una cultura civile. E poi quale colpa? Non quella di aver mangiato un frutto, poiché si tratta solo di un’allegoria. Allora quale? E quando? E commessa da chi? Da un Homo sapiens? Oppure molto prima, magari da un Homo ergaster? Boh. La teodicea del peccato originale è una tale vaccata che nemmeno merita di essere discussa oltre.

6. Il sacrificio di Cristo: Dio si è fatto uomo per condividere la sofferenza umana.
Ma ‘sticazzi? Davvero: ‘sticazzi? Alice soffre un epsilon di meno perché Dio – sempre ammesso che davvero fosse Dio – si è fatto crocifiggere 2000 anni fa? Alice vuole essere salvata. Alice vuole un analgesico potente e il conforto di un abbraccio. Al limite, non potendo avere altro, Alice vuole morire subito, per non soffrire più. Sai quant’è grande il cazzo che gliene frega del sacrificio di Cristo, mentre urla disperata nel suo inferno di dolore sotto le macerie?

7. La necessità: Dio ha creato il mondo con queste leggi naturali.
Non si tratta di chiedere a Dio una violazione delle leggi naturali, cioè un miracolo per salvare Alice. Però le stesse leggi naturali avrebbero potuto provocare la sua morte immediata, senza imporle uno strazio prolungato. E invece…

8. Il Bene che gli altri esseri umani possono compiere attraverso la sofferenza di Alice.
Potrebbe funzionare se qualcuno riuscisse a salvarla. Ma non è questo il caso. Infatti la bambina morirà. Nessuno potrà aiutarla.

9. Il paradiso: Alice verrà accolta nella beatitudine celeste.
Perché allora non subito? Perché non muore sul colpo? Perché subisce un’agonia di ore o di giorni? Perché Dio non la fa morire immediatamente?

10. La gioia che Alice proverà in paradiso, tanto più intensa quanto più forte è stato il dolore precedente.
Se è così, per quale ragione agli altri bambini, morti sul colpo nello stesso terremoto, Dio nega cotanto «privilegio»? Sono meno meritevoli di Alice, per godere di una gioia meno intensa?

11. Un Bene superiore: la sofferenza di Alice è indispensabile per raggiungere uno scopo.
Quale scopo? Per esempio rendere migliore qualcuno? Magari sviluppare il carattere di Alice o permetterle una crescita morale? Avrebbe senso se lei sopravvivesse e nella sua vita successiva imparasse qualcosa dalla sofferenza subìta. Tuttavia, al termine dell’agonia sotto le macerie, la bambina morirà e andrà in cielo. A che cosa le sarà servito un supplizio disumano? A capire che cosa esattamente, che Dio non avrebbe potuto insegnarle senza torturarla? Oppure la sofferenza di Alice servirà a insegnare qualcosa ad altri? Forse potrebbe farlo la sua morte, quando il suo cadavere verrà ritrovato. Ma il suo dolore resterà sconosciuto a tutti, pertanto sarà stato inutile.

12. La finitudine: Alice è una creatura finita, quindi la sua vita deve avere un termine.
Perché proprio un termine così orribile? Questa teodicea spiega la morte della bambina, ma non ne giustifica la sofferenza.

13 (a). La natura del Male, che è solo assenza di Bene.
13( b). La Natura di Dio. Dio non vuole: Dio è la Volontà. Dio non può: Dio è la Potenza. Perciò Dio vuole tutto ciò che può e può tutto ciò che vuole.
Qui siamo nell’Iperuranio della teologia teoretica, sul piano delle pippe mentali astratte. Che forse vanno bene per digerire l’impepata di cozze nel chiacchiericcio post-prandiale sui massimi sistemi, ma, quando vengono calate nella realtà delle fitte lancinanti, della disperazione e del terrore, una realtà di lacrime, di sangue e di merda, non servono a un cazzo. Peggio: sono un insulto al dolore umano vero, reale, atroce. Vadano a raccontarle ad Alice, le loro spudorate e adiafore seghe mentali, i teologi. Vadano e si becchino un meritato vaffanculo: questo meritano, quegli onanisti della teologia, con il loro Dio astratto che lascia crepare una bambina nel dolore e nell’angoscia senza muovere un’unghia.

Io ho inventato la vicenda di Alice. Tu puoi escogitare qualsiasi altro caso di un bambino morente per cause naturali fra sofferenze atroci e prolungate, delle quali nessuno verrà mai a conoscenza. Questa è la peculiarità dell’esempio: non la morte, bensì il dolore. Un Dio onnipotente e buono che ama le proprie creature non dovrebbe permettere quella tortura. Non è neanche concepibile una ragione in grado di giustificare l’agonia di Alice. Eppure Dio la consente. Non fa assolutamente nulla. Potrebbe sopprimere Alice e farla ascendere subito in paradiso, ma la lascia nello strazio. Noi umani concediamo questa misericordia ai nostri animali da compagnia. Dio – il Dio che è Ammmore – invece no. Dio se ne sbatte i coglioni dell’inferno nel corpo e nella mente di una bambina di 4 anni. Perché? Non può o non vuole?

Ecco la domanda da porre ai bigotti credenti nel Dio abramitico, onnisciente, onnipotente e buono: perché Dio lascia soffrire Alice? Non può o non vuole impedire il suo dolore?

Se l’unica risposta che otterrai – e di fatto sì, quella è l’unica risposta che otterrai, per quanto in varianti diverse – sarà «Mistero della fede», avrai costretto i bigotti a riconoscere che l’ipotesi dell’esistenza di quel Dio è una stronzata, smentita dall’evidenza della sofferenza innocente naturale. Nondimeno loro hanno fede e ci credono lo stesso.

Che va bene, eh. Sia chiaro: va bene. Va benissimo. Libero qualunque bigotto di credere alle cazzate che vuole. Però, se quel bigotto ha pure la pretesa che quelle cazzate abbiano un fondamento razionale, di fronte al dolore di Alice si rivela del bigotto non solo la fede ma anche la faccia di culo.

Choam Goldberg


Aggiornamento:

Simone, un mio affezionato follower, mi segnala che il filosofo William Rowe ha proposto un esempio simile:

(…) [s]uppose in some distant forest lightning strikes a dead tree, resulting in a forest fire. In the fire, the fawn is trapped, horribly burned, and lies in terrible agony for several days before death relieves its suffering.
– William Rowe

Il caso proposto da Rowe presenta però delle differenze rispetto a quello di Alice. Un problema del cerbiatto consiste nella sua non umanità: un bigotto potrebbe obiettare che lui della sofferenza animale se ne frega, perché solo il dolore umano conta. Certo, così il bigotto dimostrerebbe di essere una persona molto meschina. Alice supera questa obiezione. D’altro canto la bambina ha il problema del peccato originale: un bigotto potrebbe obiettare che Alice condivide con tutti gli esseri umani la primordiale ribellione dei suoi antenati a Dio. Superfluo dire che è una risposta cretina, ma sappiamo che i bigotti sono capaci di credere alle cazzate più assurde. Al cerbiatto invece non si può attribuire alcun peccato originale.


Articolo aggiornato il 27 novembre 2022.


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1 pensiero su “Alice

  1. Un ottimo commento a questo articolo è la citazione di una frase di Primo Levi: “C’è Auschwitz, dunque non può esserci Dio.”

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