Seghe mentali

Ovvero come provare (invano) a risolvere il problema della teodicea e a giustificare l’ingiustificabile. Ma noi dobbiamo tirare i credenti giù dall’Iperuranio della metafisica e, come si fa con i cuccioli, mettergli il naso nella cacca delle loro credenze concrete e quotidiane.


L’argomento della teodicea è definitivo: di fronte all’esistenza della sofferenza innocente – perché subita da chi non ha colpa e non compiuta da qualcuno – l’ipotesi di un Dio onnisciente, onnipotente e buono è impossibile. Per quanto mi riguarda, l’argomento agisce come filtro per ogni credente che voglia confrontarsi con me sulla questione dell’esistenza del Dio abramitico. Nondimeno un follower, Raffaele, parecchio tempo fa aveva portato alla mia attenzione un paio di articoli pubblicati nel sito Croce-Via. Pellegrini nella Verità, «Dottor Veronesi, ascolti: se il male esiste, Dio esiste! /01» e «Dottor Veronesi, ascolti: se il male esiste, Dio esiste! /02», che all’argomento della teodicea propongono una risposta in apparenza meno idiota di quelle solite, come il rispetto del libero arbitrio umano, il peccato originale o il sacrificio di Cristo. Adesso finalmente trovo un po’ di tempo per occuparmene.

Premessa: qui si parla del Dio abramitico. Non di un Dio astratto, di un’ipotesi filosofica. No no: si parla del Dio della tradizione che da Abramo passa per Mosè e poi anche per Gesù e magari pure per Maometto, se qualcuno ci crede. Quel Dio – a sentire i suoi fedeli – gode di tre facoltà: è onnisciente (conosce ogni cosa), è onnipotente (può fare o impedire ogni cosa) ed è buono (detesta e combatte il Male). Un Dio amorevole e premuroso verso le proprie creature. Un Dio che è Amore, secondo la lettura evangelica popolare, ingenua e superficiale che pilucca dal Nuovo testamento solo quello che le fa comodo. L’argomento della teodicea, così come l’ho presentato, non è un’invenzione recente, e ci era arrivato già Epicuro: posto che il Male è la sofferenza innocente, di cui tutti conosciamo innumerevoli esempi, quel Dio lì è impossibile.

Prendiamo il caso di Alice. Alice ha 4 anni. Alice sta morendo con una lenta, dolorosa, atroce agonia sotto le macerie della sua casa, distrutta da un terremoto. Non è colpa di qualcuno. Nemmeno degli ingegneri civili, perché l’edificio era antisismico ma stavolta la scossa è stata troppo intensa ed è venuto giù tutto. Sicché ecco: una bambina muore, priva di colpa e per colpa di nessuno. Questa è la realtà osservabile e non discutibile. Noi consideriamo la sofferenza innocente una manifestazione del Male, che quindi si presenta come un fatto nella nostra realtà. Possiamo immaginare una realtà differente? Certo: il terremoto non si verifica e Alice gioca serena nella sua cameretta. Nondimeno, fra le opzioni possibili (Alice muore, Alice vive), si realizza questa (Alice muore) e non l’altra (Alice vive). Dio, creatore e signore di ogni realtà, avrebbe potuto preferire la seconda alla prima? Se è onnipotente, sì. Ma allora non ha voluto, perciò ha consentito la sofferenza innocente, cioè il Male, perciò Dio non è buono. Oppure no, avrebbe voluto ma non ha potuto preferire la seconda alla prima, perciò Dio non è onnipotente.

Minstrel, autore di entrambi gli articoli pubblicati da Croce-Via, ammette l’antichità dell’argomento, rileva come i pensatori cristiani se ne siano occupati fin dai tempi di Lattanzio, ma aggiunge che, dai tempi di Lattanzio, «ora gli strumenti a disposizione dell’approfondimento teologico sul rapporto Male-Dio si sono molto raffinati». Traduzione mia: «Abbiamo inventato nuovi arzigogoli per giustificare l’ingiustificabile».

Il problema della teodicea viene affrontato da Minstrel in due passaggi. Anzitutto si considerano l’onniscienza e l’onnipotenza e si mostra come non siano affatto incompatibili con il Male. In seguito si passa a occuparsi del Male, definendolo in modo tale che il Male stesso, alla fine, diventa una prova dell’esistenza di Dio. Io cercherò di riassumere gli argomenti di Minstrel, ma ti invito a leggere i suoi articoli originali e ad ascoltare la lezione da cui sono tratti per farti un’idea completa e anche per apprezzarne la sicumera del tipo «adesso vi frego io, atei che vi illudete di essere furbi con il vostro problema della teodicea, perché il mio esimio professore aveva già demolito il vostro argomento in modo definitivo durante una fantastica lezione chiarificatrice».

Per cominciare, Minstrel riconosce che l’argomento epicureo è inattaccabile – ma tu guarda, eh? –, per cui la sua unica possibilità di demolirlo consiste nel ridefinire Dio. Siccome Dio deve essere semplice, anzi deve essere la Semplicità assoluta, non può dipendere dalle proprie facoltà come la volontà e la potenza. Dunque non si può distinguere Dio dalle sue facoltà. Dunque Dio deve essere la Volontà e la Potenza:

(…) non si può separare in Dio la Volontà e la Potenza dalla essenza stessa di Dio. (…) Dio vuole tutto ciò che può e può tutto ciò che vuole. In Dio volere e potere sono la stessa cosa: sostanza divina per essenza.

Apprezziamo insieme la formidabile efficacia di questa furbata teologica: si prende una facoltà assurda, incoerente, illogica di Dio, la si considera un Assoluto astratto, la si trasforma in Dio stesso. Et voilà: il gioco è fatto. Dio non vuole: Dio è la Volontà. Dio non può: Dio è la Potenza. Scacco matto, Epicuro!

Se ci garba, possiamo applicare il procedimento ad altre facoltà divine. Prendiamo l’onniscienza: come si procede? Dio non conosce: Dio è la Conoscenza. Fantastico, vero?

Oppure proviamo con la stessa esistenza divina. Dio non è: Dio è l’Essere. Proprio l’Essere per definizione, l’Essere ontologicamente necessario, per il quale l’esistenza è intrinseca all’essenza. È il Dio della prova ontologica di Anselmo, ma ben prima di lui troviamo quel Dio nell’Antico testamento:

E Dio disse a Mosè: – Sono chi sono! Poi soggiunse: – Così dovrai rispondere agli Israeliti: Il Dio che si chiama «Io-Sono» mi ha mandato da voi.
– Esodo 3,14

Esercizio per chi legge: applicare questa astrazione spersonalizzante anche alla facoltà della divina bontà. Che, a prescindere dal conflitto insanabile con la sofferenza innocente, è essa stessa internamente incoerente, come dimostra il dilemma di Eutifrone, proposto da Socrate nell’omonimo dialogo platonico: «il pio è amato dagli dei perché è pio, oppure è pio perché è amato dagli dei?». In sintesi: Dio vuole il Bene perché è Bene oppure il Bene è Bene perché lo vuole Dio? Nel primo caso, Dio è sottomesso a un Bene superiore, dal quale dipende e che non può non volere. E poi per quale motivo dovremmo adorare Dio invece che il Bene? Nel secondo caso, cadiamo nella teoria del comando divino: qualsiasi cosa Dio voglia, essa è Bene. Se Dio ordina di uccidere i bambini, allora poche storie: si uccidano i bambini, perché ciò è Bene. (Per inciso, il Dio abramitico ordina proprio di uccidere i bambini, quando non li ammazza lui stesso.) Come se ne viene fuori?

Svolgimento dell’esercizio: non c’è alcun dilemma, perché Dio è il Bene per definizione.

Questo pippone su Dio che è l’Essere e la Conoscenza e la Volontà e la Potenza e il Bene sembra pure funzionare, in astratto. Tuttavia, usato dai credenti nel Dio abramitico per provare a risolvere il problema della teodicea, si rivela subito per quello che è davvero: un espediente disonesto sul piano intellettuale. E noi dobbiamo tirare i credenti giù dall’Iperuranio della metafisica e, come si fa con i cuccioli, mettergli il naso nella cacca delle loro credenze concrete e quotidiane. Dobbiamo costringerli a discutere del loro vero Dio, quello di cui parlano quando non si dilettano con l’alta filosofia, quello che adorano durante i loro riti, quello che è descritto nei loro testi sacri.

Consideriamo la perculata di Minstrel rivolta a noialtri ateacci che antropomorfizziamo Dio:

In pratica si compie l’errore di interpretare Dio come fosse un uomo; alla faccia di chi dice che il teista costruisce Dio antropologizzando [sic!] il mistero della realtà…

Ah ah ah. Questa gente si ispira a Sacre scritture nelle quali c’è un Dio che fa e disfa, crea e distrugge, ama e odia, ordina e proibisce, premia e punisce, promette e mantiene ma a volte anche no, un Dio che si rivela e si nasconde, un Dio che imbroglia, un Dio che perfino annusa… e poi quelli che antropomorfizzano siamo noi? La faccia come… come… vabbe’, ci siamo capiti. Ma che cazzo è ‘sto Dio, se non un’entità antropomorfa? Sono le Sacre scritture a rivelarlo così: un Dio che possiede le facoltà della volontà e della potenza, non che è la Volontà e la Potenza. Un Dio che sceglie un’azione e non ne sceglie un’altra. Un Dio con il quale gli umani si mettono in relazione personale, non un concetto astratto. Che razza di relazione personale si può avere con un concetto astratto? I credenti lo pregano, quel Dio lì. Perché? Per dirgli quanto lo amano, quanto lo adorano? Ma va’ là: lui è la Conoscenza, quindi lo sa già. Oppure per chiedergli qualcosa, per ottenere una grazia? Figuriamoci: Dio è la Volontà e la Potenza, « Dio vuole tutto ciò che può e può tutto ciò che vuole», perciò è inutile chiedergli qualcosa che lui non abbia già potuto e voluto. E ancora: come accidenti fa il concetto astratto Essere/Conoscenza/Volontà/Potenza/Bene a creare una realtà immanente, addirittura a entrare lui stesso nella realtà immanente incarnandosi in un umano? Come diamine riesce il concetto astratto Essere/Conoscenza/Volontà/Potenza/Bene a interessarsi agli umani, a condizionare le loro vite, a prescrivere codici morali, a premiare e a punire? Boh. Ah, già: Mistero della fede! Traduzione mia: «Non so che cazzo rispondere, capisco anch’io che è una stronzata, però ci credo lo stesso».

Ma torniamo ad Alice, sempre lì in agonia sotto le macerie. «Dio vuole tutto ciò che può e può tutto ciò che vuole»: allora perché accidenti Dio dovrebbe essere sollevato dalla responsabilità morale della morte di Alice? Dio può e vuole che Alice stia lì sotto a crepare lentamente. Noi possiamo immaginare una realtà nella quale il terremoto non si verifica e Alice è viva e serena. Se possiamo noi, vuoi che non possa immaginarla anche Dio? Nondimanco Dio ha potuto e voluto non quella realtà, bensì questa realtà, in cui Alice muore soffrendo. Vogliamo dire che questo è Male? Diciamolo. Allora Dio può e vuole il Male, ergo Dio non è buono. Diciamolo meglio: Dio è uno stronzo sesquipedale, una testa di cazzo cosmica. Trascendente, ma sempre stronzo e testa di cazzo.

Ma poi che è ‘sto Male? Minstrel se ne occupa nel suo secondo articolo. E subito chiarisce: non basta fare degli esempi. Gli esempi non sono definizioni. Mmm… ok. Allora Alice agonizzante sotto le macerie non fa al caso nostro per definire il Male. Vabbe’. E dunque?

Dunque ecco qua: per definizione, il Male è l’assenza del Bene. E poi? E poi basta: il Bene non viene definito. Questo è il momento in cui tu resti lì basito e pensi: «Non è possibile. Non è possibile che abbia detto una simile stronzata». Invece l’ha detta: il Male è l’assenza del Bene, e del Bene non si dà una definizione.

Minstrel afferma che il Bene può essere assente solo in un essere dedito al Bene. Cioè? Che cosa significa, se prima non si definisce il Bene? Minstrel esemplifica proponendo il caso della vista, che è un Bene e si può dare o non dare solo per chi possiede gli occhi. Ehi! Ma non si era detto che gli esempi non valgono? Ma chissenefrega: «L’uomo è quindi fatto per il bene, per cercarlo, conseguirlo, bramarlo, viverlo». Intanto noi continuiamo a non sapere che cosa sia il Bene. Mah.

Non solo: il Male può essere soltanto parziale e relativo, ovvero dipendente da qualcosa o da qualcuno. Difatti, senza il soggetto che sperimenta il Male, non c’è alcun Male. Al punto che il Male assoluto annienta sé stesso. Per esempio, se una malattia uccide il malato, si annienta da sola, perché senza il malato non può esserci malattia. Siamo sempre lì: esempi, esempi, esempi, senza uno straccio di definizione generale.

Pertanto il Male implica l’esistenza del Bene. Che continua a non essere definito. Minstrel si chiede allora: il Bene implica l’esistenza del Male? Be’, non si capisce perché no. Il ragionamento può essere sviluppato in modo speculare: esiste il Bene, inteso come assenza del Male, che non definiamo, ma il Bene dev’essere relativo, eccetera eccetera. Si arriva così al misoteismo, che in fondo è una teologia verosimile quanto ogni altra. Giusto? Minstrel non è d’accordo: «la risposta non può assolutamente essere fornita con le armi della logica filosofica. (…) Sarebbe infatti una deduzione gratuita che sorpassa la logica e punta diritto alla fede». Surrettiziamente, ci anticipa che il sommo Bene è Dio, ma aggiunge che «dall’esistenza di Dio sommo bene io non posso dedurre né che ci sia il male né che non ci possa essere». E questa sarebbe teologia razionale? Ma proseguiamo, va’. Ché bisognerà pur arrivare a Dio, prima o poi.

Dunque il Male è sempre relativo, mai assoluto. Ma relativo a che cosa? A un Bene, però relativo pure lui. E ora attenzione: «Ma se tutto è relativo, nulla è relativo!». Sì, ha detto anche questo. Serio, eh: ha detto proprio così. Ergo deve esistere un Bene assoluto. Lo dico? Devo proprio dirlo? È davvero necessario? Ok, lo dico: il Bene assoluto è Dio. (Sì, questo s’era già detto prima. Tante grazie.)

Conclusione: il Male esiste ed è la prova dell’esistenza del Bene assoluto, cioè di Dio. Riassunto finale di Minstrel a beneficio dei più gnucchi:

Se c’è il male, c’è il bene relativo.
Se c’è il bene relativo, c’è il bene assoluto.
Se c’è il bene assoluto, c’è Dio.
Dunque se c’è il male, c’è Dio.

Adesso Minstrel e il suo esimio prof vadano a esporre questo sofisticato ragionamento ad Alice in agonia sotto le macerie, e vedano un po’ se non si beccano un cordiale vaffanculo.

Abbandoniamo tutta questa straordinaria masturbazione metafisica e vediamo dove sta la magagna. Ed è presto detto: il Male e il Bene non esistono in Natura, il Male e il Bene sono soltanto giudizi soggettivi. La Natura, là fuori, se ne stracatafotte del Male e del Bene. I fenomeni naturali si verificano e basta, e un essere senziente che ne è toccato li considera Male o Bene a seconda delle loro conseguenze su di sé. Nel caso di Alice, un movimento geologico profondo ha provocato un sisma in superficie, a causa del quale è crollato un edificio in cui si trovava un cucciolo di sesso femminile di Homo sapiens sapiens che, sepolto dalle macerie, è deceduto attraversando un lungo processo fisiologico nel quale alcune reazioni chimiche hanno provocato nel soggetto un’intensa e sommamente sgradevole sensazione percepita come dolore fisico. Tutto molto semplice e molto naturale, no?

Perché allora noi atei sosteniamo, fin dai tempi di Epicuro, che l’esistenza del Male è la prova dell’impossibilità del Dio abramitico? Perché la nostra definizione umana – umana, eh! – del Male non è un pippone del tipo «assenza del Bene» senza definizione del Bene, bensì un concetto molto più semplice e concreto: è Male ogni forma di sofferenza non voluta di un essere dotato di un sistema nervoso sviluppato, ossia ogni condizione di dolore fisico o psicologico o di altro genere dalla quale un essere senziente rifugge se può. Ecco la definizione generale del Male che Minstrel pretendeva, al di là dei singoli esempi. Che poi però si possono elencare a piacimento: da Alice agonizzante sotto le macerie fino al topo torturato e divorato dal gatto, ogni sofferenza è Male.

Questo che cosa c’entra con Dio? Dipende. Dipende dal Dio di cui stiamo discettando.

Se Dio è un concetto filosofico, se è un’astrazione, se è l’Essere ingenerato, incorruttibile, immobile e indivisibile di Parmenide, se è l’Essere ontologicamente necessario di Anselmo, se è il «Deus sive Natura» di Spinoza, allora il Bene e il Male con lui non c’entrano nulla e il problema della teodicea nemmeno si pone. Quel Dio lì non ha niente a che vedere con i destini degli esseri umani – non più di quanto abbia a che vedere con i destini delle nane brune o dei ragni o dei gluoni – e perciò se ne frega delle definizioni umane del Male.

Ma tutt’altra faccenda è il caso del Dio abramitico. Il Dio che è Ammmore, il Dio clemente e misericordioso, il Dio che ama gli esseri umani e che può e vuole eliminare il loro dolore. Il Dio che i credenti adorano e pregano, il Dio con il quale parlano, il Dio nel nome del quale svolgono i propri riti. Allora il Male come inteso dagli umani, il Male come sofferenza non voluta di un essere senziente e in particolare di un essere umano, c’entra. C’entra eccome. E, siccome quel Dio lì non elimina il Male, allora quel Dio lì non esiste.

Il resto – tutto il resto – è solo un cumulo di colossali, inutili e disoneste seghe mentali.

Choam Goldberg


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6 pensieri su “Seghe mentali

  1. Ci sono differenze sostanziali nelle discussioni con le religioni non Abramitiche? Religioni in cui la divinità non è assolutamente buona. Penso alle religioni Asiatiche : induismo, buddism, shintoismo…

      • Ti è mai capitato di avere discussioni simili con persone di queste religioni? Per alcuni mesi ho vissuto un Canada ed ero in contatto soprattutto con immigrati asiatici Coreani e Giapponesi e mi sono accorto della diversità e soprattutto della mia totale ignoranza. L’impressione, che ammetto totalmente superficiale, e stata quasi di “superstizione”. C’è stato questo ragazzo di Taiwan (un ingegniere) che mi ha regalato queste due mezzelune che potevo lanciare per avere un auspicio sul futuro. Mi ha inoltre redarguito sull’ usarle troppo frequentemente e di non far dipendere tutte le mie decisioni da loro perchè “pericoloso”. E’ stato serissimo in questo e ho capito che, per lui, il regalo era importate e di valore. Io non ho commentato o chiesto niente. Come da etichetta “orientale” ho enormemente ringraziato e mi sono dimostrato commosso dal regalo.

      • Be’, guarda… chi conosce la mia storia personale so che ho qualche trascorso in un monastero buddhista. Sicché un pochino ne so.

        E sì, è vero: molta spiritualità orientale sconfina nella superstizione.

  2. Attendevo da quest’estate questo post e finalmente è uscito. Devo dire però che non ha rispecchiato le mie aspettative… Infatti le ha superate. Questo articolo è un capolavoro assoluto, niente da aggiungere. Vedo tra l’altro che hai aggiornato anche il post “la sfida della teodicea”, un po’ come se fosse una bacheca dove si smontano tutte le soluzioni proponibili. Tra l’altro oggi a italiano in DAD abbiamo letto una parte delle “Confessioni” di S. Agostino, in cui – guarda un pò – proponeva la teodicea del peccato originale. Ma tanto ho visto che hai risposto anche a quella e quindi non c’è niente che posso aggiungere. Complimenti

    • Urca. “Capolavoro assoluto”. Sono troooppo lusingato. Che dire? Be’, grazie, Jakopo.

      Quanto all’articolo di sfida… be’, certo. Doveva essere aggiornato. Sia mai che arriva il bigotto che vuole il confronto e mi rifila anche questa risposta metafisica. Se succede, adesso è servito in anticipo. 😀

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