15 pensieri su “La sfida della teodicea

  1. Caro Choam,
    rispondo alla tua sfida della teodicea con una riflessione che mi deriva dalla nota parabola del contadino cinese:
    Molti anni fa, nelle campagne cinesi, un uomo e suo figlio vivevano in un piccolo villaggio. Essendo molto poveri, avevano solo una baracca, in cui vivevano e un campo sul quale il contadino cinese lavorava duramente tutti i giorni con il suo cavallo.
    Quando il cavallo scappò, gli abitanti del villaggio andarono a trovare il contadino cinese e gli dissero a gran voce: “Il cavallo ti era utile per poter lavorare. Che disgrazia hai avuto!”.
    E il contadino cinese rispose: “Forse sì, forse no. Vedremo”.
    La settimana dopo, il cavallo ritornò alla baracca: assieme a lui vi erano due cavalli selvatici. Il contadino cinese e il figlio si ritrovarono quindi ad avere tre cavalli. Gli abitanti del villaggio questa volta dissero all’uomo: “Avevi un solo cavallo e ora ne hai tre. Che fortuna hai avuto!”.
    Anche questa volta il contadino cinese rispose: “Forse sì, forse no. Vedremo”.
    Qualche giorno dopo il figlio stava pulendo la stalla del cavallo, quando uno di loro si agitò e lo calciò con forza, facendolo cadere. Il ragazzo si ruppe una gamba. Gli abitanti del villaggio questa volta dissero al contadino cinese: “Tuo figlio è l’unico che ti può aiutare nel tuo lavoro. Che disgrazia hai avuto!”
    Ancora una volta, il contadino cinese rispose: “Forse sì, forse no. Vedremo”.
    Qualche settimana più tardi, alcuni soldati dell’esercito arrivarono nel villaggio e iniziarono a reclutare giovani uomini da portare a combattere in una guerra dove nutrivano poche speranze di vittoria. Quando passarono dalla casa del contadino cinese videro suo figlio con la gamba rotta e decisero quindi di passare oltre.
    Gli abitanti del villaggio, una volta appresa la notizia, si rivolsero al contadino cinese: “I nostri figli vanno a morire in guerra mentre il tuo è infortunato. Che fortuna hai avuto!”
    E il contadino cinese, come sempre, rispose: “Forse sì, forse no. Vedremo”.
    Ὁ μῦθος δηλοῖ ὅτι:
    1) mi pare che la sfida che tu hai posto si fondi su un presupposto fallace.
    Infatti, non è in alcun modo possibile stabilire se la sofferenza e la morte della bambina dipendente da cause naturali sia davvero e necessariamente un male, valutato in una prospettiva assoluta che va oltre la capacità di percezione umana. “Forse si, forse no. Vedremo”.
    2) La nostra valutazione di bene o male dipende da una percezione soggettiva e limitata e non è inscrivibile in categorie assolute (a meno che chi valuta non sia onniscente, come si postula essere il Dio abramitico).
    3) Di conseguenza, in questi termini Dio è (potrebbe essere) giustificato in una prospettiva totalizzante della realtà fenomenica e metafisica. Ciò che nessun essere umano può avere.
    Mi piacerebbe avere un tuo parere al riguardo.
    P.S.: non sono ateo e del tuo divieto, onestamente, non me ne frega un cazzo.
    Con stima e affetto.
    Mauro Pirari

    • “(…) non è in alcun modo possibile stabilire se la sofferenza e la morte della bambina dipendente da cause naturali sia davvero e necessariamente un male, valutato in una prospettiva assoluta che va oltre la capacità di percezione umana.”
      “La nostra valutazione di bene o male dipende da una percezione soggettiva e limitata e non è inscrivibile in categorie assolute”
      “Di conseguenza, in questi termini Dio è (potrebbe essere) giustificato in una prospettiva totalizzante della realtà fenomenica e metafisica. Ciò che nessun essere umano può avere.”

      La sfida consiste nel rispondere alla domanda seguente:

      perché il Dio abramitico, se esiste, lascia che i bambini muoiano dopo una lunga agonia, invece di portarli subito in paradiso senza alcun dolore?

      Le tue non sono risposte ma solo riformulazioni e parafrasi di “Dio ha le sue ragioni che noi non possiamo conoscere perché noi siamo limitati mentre lui è onnisciente”, ovvero “Non so rispondere alla domanda sulla inutile sofferenza innocente di una bambina, però credo lo stesso in un Dio onnisciente, onnipotente e buono”. In sintesi estrema: “Mistero della fede!”. Sempre lì arrivate tutti quanti.

      Fregatene pure del mio divieto, ma cliccando hai dichiarato di essere ateo. Se non è vero e lo hai fatto solo per toglierti lo sfizio di postare questo commento, ricorda che il tuo Dio – se il tuo Dio è quello abramitico – non apprezza per niente l’apostasia, anche quando è ipocrita come la tua.

      • Su questo argomento, lieto dell’onore delle armi non ho più di che argomentare. Ho altre idee che esibiscono le insanabili contraddizioni da cui è affetta l’apologetica cristiana ed eminentemente quella cattolica. In privato (via mail) ti avevo già parlato dell’atto massimamente amorevole in ottica cattolica che consisterebbe nell’uccidere i bambini appena battezzati donando così loro la certezza della felicità eterna. Ma non ero stato originale e Voltaire mi aveva autorevolmente anticipato. Un’altra idea sarebbe quella di mettere in evidenza come il suicidio dovrebbe essere un atto lodevolissimo in ottica cristiana e biblica, meritevole del dono della vita eterna dal momento che in Mt 7,21 leggiamo: “Non chiunque mi dice: Signore Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”. Quale è stata nella sostanza la volontà fondamentale del Padre nel Nuovo Testamento? È innegabile che sia stata quella di immolare il Figlio per coronare la propria macabra recita salvifica. Come ci insegna il dogma Padre e Figlio sono la stessa “sostanza” (non commento l’aporia della dottrina trinitaria che è palese). Ergo, Dio ha progettato la sua volontà suprema come suicidio. Sulla croce si è posto ed è morto Dio. Dio ha creato un interno universo, fin da principio, come palcoscenico su cui esibire se stesso come suicida. Intendendo ciò come la manifestazione suprema dell’amore. Quindi se per andare in cielo dobbiamo imitare la volontà del Padre, dobbiamo suicidarci. Imitazione di Dio e di Cristo. A nulla di più alto può aspirare un credente. Ma caro Choam questi sono solo cenni e non saprei dove argomentare con più cogenza e rigore di queste ed altre idee. Ringraziandoti davvero per l’attenzione che mi hai riservato mi congedo e attendo tuoi nuovi interventi su YouTube.

      • Ti dico io dove argomentare: qui. Prendi queste tue interessantissime riflessioni sul suicidio, trasformale in un articolo e io te lo pubblico qui nel blog come guest post. Che ne pensi?

    • Ciao Mauro considera questo:
      1. La “sofferenza” se non pensata o immaginata ma percepita in atto è un dato originario ed incontrovertibile, ovvero ab-soluto dalle valutazioni ipotetiche (il tuo “forse si, forse no. Vedremo”). Valutabili sono gli atti intenzionali, le ragioni e le ipotesi. L’esperienza diretta del dolore è viceversa autosignificante come male, male reale appunto in quanto percepito. Il male fisico patito dalla bambina è quindi “assoluto”. La morte non essendo percepita è viceversa passibile di valutazione a posteriori (a noi al momento indecidibile) ma qui il “fatto” da giustificare è l’inutile ed orribile agonia della bambina.
      2. Immagino tu sia credente, lo si evince dal tenore della tua teodicea e dalla tua stessa dichiarazione (“non sono ateo”, e presumo nemmeno agnostico), dunque sei costretto dalla dottrina cattolica ed intendere la Scrittura come Parola di Dio (leggi: il contenuto è assolutamente vero), bene ; in Gn 3,22 è scritto (dallo Spirito Santo in ultima analisi): “Ecco l’uomo è diventato come uno di noi quanto alla conoscenza del bene e del male”. Come la mettiamo? Non si afferma forse qui, senza possibilità di interpretazione allegorica o metaforica, che la nostra assiologia è fondata, legittima e veridica agli occhi di Dio? Kant esprime lo stesso concetto quando parla della legge morale inscritta in noi… inscritta da chi? Da Dio. Difatti Kant salva il Dio morale dopo avere ucciso quello teoretico. Ma non mi dilungo su questo. Ergo quando valutiamo “umanamente e limitatamente” come male la sofferenza della bambina non sbagliamo, “parola del Signore… lode a Te o Cristo”.

  2. Ciao Choam,
    premetto che da Epicuro in poi (nella versione presentata da Lattanzio, il problema della teodicea viene presentato esattamente come lo presenti coerentemente anche tu) considero non superata o risolta la questione del male (soprattutto quello naturale e degli innocenti, alla Ivan Karamazov) da NESSUNA teodicea.
    Premesso questo ti presento quindi come semplice gioco intellettuale la mia teodicea:
    1. Dio ha creato come realmente esistente e senziente solo me.
    2. La totalità della realtà esperita è solo una mia esperienza interiore (solipsismo radicale, con una parafrasi contemporanea direi alla “Matrix”).
    3. La sola sofferenza ed il solo dolore reale sono i miei, tutti gli altri sono apparenti.
    4. La teodicea deve giustificare Dio dinnanzi alla sofferenza ed al solo dolore reale.
    5. Io ritengo il mio dolore reale e la mia sofferenza reale gestibili e causati dal mio inadeguato comportamento.
    6. In summa ritengo la mia esistenza gratificante ed assolutamente preferibile alla non esistenza.
    7. Dio ponendomi nell’essere ha posto del Bene (in riferimento alla mia singola ed assoluta esistenza).
    8. Dio è giustificato.

    P.s. Potrei autopormi moltissime obiezioni, come l’assurdità di una tale esistenza, il fatto che sarebbe una messinscena assolutamente orribile quella del dolore altrui degli innocenti da me immaginato anche se de facto inesistente. Il Creatore di una simile “spettacolo”’ad personam sarebbe senz’altro folle e sulla soglia della psicopatologia! Ma nonostante ciò, un tale Dio sarebbe esente dalla colpa della sofferenza innocente e quindi giustificato. Insensato ma giustificato. Questa teodicea è allucinata ma regge.
    Choam adoro il tuo modo iper razionale e godibilmente blasfemo di argomentare vs i nostri amici apologeti.
    In realtà, come ci ricorda Nietzsche citando Stendhal, “Dio ha una sola scusa, non esiste”.

    • È una teodicea molto molto interessante.
      Vedo però alcuni problemi.
      5. (a) Forse sono gestibili adesso. Ma in futuro? La penserai ancora così quando sarai sottoposto a dolori lancinanti?
      (b) Usando l’aggettivo “inadeguato” introduci un giudizio morale. Da parte di chi? Di te stesso? Sulla base di quale codice etico? Oppure da parte di Dio? Allora questo Dio non è solo il tuo creatore ma è anche il tuo giudice: un ruolo nuovo che richiederebbe almeno un altro punto per essere esplicitato. E ancora: che relazione sussiste fra Dio e il suo codice etico?
      6. Di fronte a due opzioni, puoi preferire una all’altra se puoi esperire o almeno immaginare di esperire entrambe. Ebbene, prova a immaginare di esperire la tua non esistenza. Prova, se ci riesci. Te lo dico io: non ci riesci. Perciò il confronto non è possibile e tu non puoi sapere se è preferibile per te esistere o non esistere.

      • Risposte:
        5. Dio farà sì che io non possa subire dolori insopportabili o tali da mettere in scacco la sua bontà.
        6. Autovaluto il mio “errato” operare nel reale come causa delle mie sofferenze e quindi valuto tale operare perfettibile. Nessun giudice o giudizio al di là del mio pragmatismo etico.
        In ogni caso c’è errore e non colpa.
        7. Pensare il nulla è autocontraddittorio (Mi sono laureato con una tesi sull’aporetica del nulla in Emanuele Severino e Martin Heidegger) questo è vero. Rimane realizzabile, peraltro, l’esperimento mentale di pensarmi come privo di esperienze, e nella mia ipotesi virtuale, le esperienze sono sostanzialmente positive e quindi preferibili all’assenza di esse. Pensare l’esistenza in quanto tale come positiva in quanto posta in essere e pensare l’essere come preferibile al non essere.
        Se poi la tua domanda passasse sulla biografia ed esperienza (realmente) personale, ti direi che viviamo probabilmente se non nel peggiore, perlomeno, in uno dei peggiori mondi possibili. Ma ciò non inficia la mia ipotesi di un essere senziente sostanzialmente felice ed entusiasta di esistere. In sostanza, un bene. Tale bene è posto da Dio. Quindi Dio, rimane giustificato.

      • Risposte:
        5. Risposta convincente.
        6. “C’è errore e non colpa”. Ok, buona risposta. Mi ricorda un po’ il buddhismo: c’è ignoranza e non peccato. Il buddhismo però è agnostico, perciò non ha il problema di un Dio onnipotente. (Siamo sempre nell’ipotesi di un Dio onnisciente, onnipotente e buono.)
        Se la tua sofferenza è provocata non da un giudizio divino ma da una inadeguatezza del tuo comportamento rispetto alle esigenze della realtà, resta il fatto che Dio ti ha immerso in una realtà con quelle particolari esigenze, pur sapendo – perché Dio è onnisciente – che tu saresti stato inadeguato.
        7. La mia domanda non voleva toccare la tua esperienza personale. Ovviamente qui stiamo discutendo nella massima astrattezza.
        “Rimane realizzabile, peraltro, l’esperimento mentale di pensarmi come privo di esperienze”: non ne sono così sicuro. Non conosco bene Severino e men che meno Heidegger – per inciso: complimenti, nelle rare occasioni in cui ho provato a leggere Heidegger non ho capito un accidente di niente –, però ho l’impressione che un’esistenza senza esperienze sia di fatto una non esistenza. Ma forse sto dicendo una cazzata: devo pensarci meglio. Grazie per lo spunto.
        Resta un fatto: in questa tua esistenza un po’ di dolore c’è. Sarà tollerabile, ma c’è. Dio, che è onnisciente e onnipotente, aveva la possibilità di crearti in una realtà che ti provocasse ancora meno dolore. Al limite nessun dolore. Ma ti ha creato in questa realtà, dove soffri un po’. Non troppo, ma un po’ sì. Perciò Dio non può essere assolutamente buono.

      • Choam rispondo alle tue ultime considerazioni in modo sintetico:
        Concordo con te che un Dio “assolutamente” buono mi avrebbe potuto porre nella condizione di essere “assolutamente” senza dolore (fisico) e sofferenza (morale). Vero. Ma nella mia allucinata teodicea ne esce un Dio “sostanzialmente” buono e che alla fine della mia esistenza solipsistica mi condurrà a sé accogliendomi nel suo amorevole abbraccio eterno (in cosa poi possa consistere non ne ho idea essendo una fesseria da apologeti). Felicità eterna garantita in ultima analisi. Perché nella mia ipotesi è anche preclusa la stessa possibilità della dannazione eterna. La libertà è illusoria anch’essa, vige il determinismo radicale. E questa non è solo un’ipotesi. Anche l’idea di libertà è autocontraddittoria (ma qui dovrei dilungarmi e parlare di Severino). Chiudo quindi affermando che questa è una teodicea che salva Dio dall’obiezione della sofferenza innocente pur presentandolo perfettibile.
        Sulla possibilità effettiva dell’esperimento mentale ti invito ad immaginare l’esperienza dell’assenza di dolore/piacere (la stanza vuota di Matrix) e confrontarla con la figurazione di una esperienza estremamente piacevole, in questo senso il “positivo” dell’esperienza piacevole è preferibile al neutro dell’assenza di esperienze.

      • Grazie per il tuo contributo, Ivan.
        La tua teodicea solipsistica è molto originale ma penso che non abbia superato la sfida. Non è la prima volta che succede: vengono proposte teodicee interessanti, ma nessuna centra il punto del problema. Quel Dio lì non è il Dio abramitico.
        Nel tuo caso, il problema non sta nel solipsismo bensì nelle proprietà di Dio, che sei costretto a modificare rispetto all’ipotesi del Dio abramitico. Il Dio abramitico è assolutamente buono, non solo sostanzialmente buono, ed è perfetto, non solo perfettibile.
        Sull’esperimento mentale della mancanza di esperienza, il caso della stanza vuota non mi sembra convincente. Anche in una stanza perfettamente vuota, qualche esperienza ti rimane sempre: non foss’altro che la sensazione del pavimento che sorregge il tuo peso. Perciò mi chiedo: una esistenza di pensiero puro – immagino un cervello scollegato da ogni terminazione nervosa – è davvero un’esistenza? Non lo so. Non ho le idee chiare. Comunque preferirei non provare di persona.

      • Caro Choam,
        proseguo il nostro “carteggio” di cui ti ringrazio di cuore, affermando che avevo già esplicitato che tale teodicea non può superare in toto la sfida dal momento che un “Dio perfettibile” (come ho scritto) non può essere il Dio abramitico (definizione che intendo ma che nella tua versione è molto grecizzato, dal momento che il Dio “della bibbia” non possiede con chiarezza gli attributi assoluti che tu definisci in modo filosofico, ma penso che questo tu lo sappia bene, e ti riferisca in sostanza al Dio sostenuto da teologi ed apologeti) da te definito. Facendomi patire anche un solo semplice fastidio non può essere assolutamente buono, in quanto potrebbe impedire anche tale fastidio. Tale teodicea supera altresì l’obiezione (che è quella radicale e definitiva) della sofferenza innocente prodotta da cause naturali. La supera perché nella mia ipotesi tale sofferenza è apparente, non esiste in quanto non realmente esperita. La sola esperienza è la mia, ed io sono sostanzialmente felice in terra ed eternamente e completamente felice in cielo. Fosse così sarebbe un Dio quasi perdonabile… e sottolineo “quasi” per i motivi da te giustamente addotti. Sull’esperimento mentale non mi sono forse spiegato bene. Ovvio che una “stanza vuota” è colma di esperienze (non solo il pavimento, ma la mia stessa corporeità, lo spazio visivo, brusio di fondo acustico, etc.), ma per il mio intento era sufficiente affermare che una esperienza piacevole e “positiva” (come quella presente nella mia ipotesi solipsistica) fosse preferibile ad un’esperienza “neutra” di cui possiamo figurarci l’idea. In. termini psicologici, la vita sentita alla morte della privazione di esperienze piacevoli, ergo, l’esser stato creato al non esser stato creato. Concordo e l’ho già detto (mi sono laureato su questo), che il nulla in quanto tale e, in termini antropomorfi, l’assenza totale di esperienza non siano né pensabili né tantomeno esperibili. Sfida non superata, concordo, ma tentativo razionale e non radicalmente distante dall’obiettivo, e questo, forse, potresti concedermelo. L’onore delle armi. Grazie Choam

      • Tentativo razionale e molto apprezzato. Te l’ho detto: l’ho trovata una risposta molto originale. Ti concedo assolutamente l’onore delle armi. Altroché. E non esitare a continuare a scrivere.

  3. Ciao Choam,

    È da qualche tempo che vorrei scriverti, e finalmente mi sono preso un po’ di tempo per farlo.

    Ho scoperto il tuo lavoro nel mio viaggio di emancipazione dall’indottrinamento cristiano della mia infanzia. Meglio tardi che mai. Sul mio percorso non mi dilungo, ma magari un giorno scriverò una storia per la tua rubrica “Io senza Dio”.

    Sono arrivato a conoscerti mediante youtube. Sulle prime ero perplesso dalle tue misure di anonimato (con quella maschera e la voce cammuffata sembri proprio un tipo losco) ma capisco le tue motivazioni. Trovandoti preparato sull’argomento mi sono fatto coraggio e mi sono visto tutti i tuoi video de “L’Eterno Assente”, dal primo all’ultimo. Ora sono sintonizzato al tuo sito attraverso il feed RSS.
    Purtroppo, anche se l’onere della giustificazione tocca al credente, mi aspetto di dover giustificare in futuro le mie acquisite posizioni. I tuoi articoli chiari ed esaurienti sono fonte di ispirazione, dunque volevo esprimerti gratitudine per quanto hai fatto e per quanto farai.

    Detto questo, pur dichiarandomi ateo, volevo affrontare in modo ironico la sfida della teodicea, con una pensata che di seguito espongo.

    Hai senz’altro presente l’espressione “Good, fast, cheap. Choose two”, tipicamente accompagnata con la rappresentazione grafica di tre insiemi intersecati due a due. Il concetto si applica ugualmente a onnipotenza/onniscenza/bontà del Dio Abramitico.

    Dunque tiriamo in ballo il concetto di Trinità: nessuno fino ad ora non ci ha mai capito un cazzo, ma io si! Eccola servita con scappellamento a destra:

    – Dio Padre: onniscente e onnipotente, ma stronzo! L’Antico Testamento riporta alcuni episodi iconici.

    – Gesù: buono e onnipotente, ma non onniscente. Per esempio, la senape mica è il seme più piccolo di tutti! E poi mica ci ha azzeccato con le previsioni apocalittiche! Ma neanche con gli orari del bus va forte: siamo sempre qui, ad aspettare che torni.

    – Lo Spirito Santo: onniscente e buono, ma non onnipotente. Si OK, qualche gravidanza miracolosa, qualche effetto speciale con fiammelle e piccioni, ma come illusionista ne sa di più Simone il Mago, secondo me.

    Questi tre personaggi sono una cosa sola, e il gioco è fatto! Eh? Ho risolto due problemi in uno!

    Ammesso che ti fosse passato per la testa di farlo, non serve che pubblichi sta robaccia. Sperando piuttosto di averti fatto sghignazzare, ti saluto calorosamente.

    -Patta

    • Grazie per le lodi e l’apprezzamento. Mi fanno molto piacere e mi motivano a proseguire.
      Originale e divertente la tua teodicea originaria. Forse proprio farci tutto un video no, ma almeno citarla in chiusura di uno dei prossimi potrebbe essere una buona idea. Ci penso. Comunque, visto che mi segui con i feed RSS – fratello! – (ma sai che puoi usarli anche per i canali YouTube, evitando così di iscriverti?), non te la perderai.

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