Per quasi 40 anni ho discusso coi seguaci del Dio abramitico. E ne ho ricavato solo fuffa. Sicché ho rinunciato. Se però qualcuno vuole riprovarci…
Dice: «Sei ottuso». Ottuso? «Sì, ottuso», dice. «E dogmatico». Boh. Può essere. Ma perché? Dice: «Perché rifiuti di parlare coi credenti». Ma io non rifiuto affatto di parlare coi credenti. Con i deisti, per esempio, mi piace un sacco discutere. Sono i seguaci del Dio abramitico quelli che evito come la peste. Dice: «Fa niente. Sei ottuso e dogmatico lo stesso. Dovresti parlare con tutti». Con tutti? «Certo!», dice. «Magari trovi qualcuno che ti convince!». Ah, ho capito. No, non sono ottuso né dogmatico. Sono solo scoglionato.
Io sono diventato ateo a 14 anni. Da allora ho parlato di Dio, di fede, di religione con molte centinaia di credenti. Ho affrontato discussioni e dibattiti, in pubblico e in privato, in contesti formali e informali. Con rabbini. Con preti e suore. Con pastori protestanti. Con teologi di ogni confessione. Con mormoni e geovisti. Con imam e mullah. Mai, in nessun caso che io ricordi, ho ricavato da quel confronto uno straccio di argomento decente a favore dell’esistenza del Dio delle tradizioni abramitiche. Alla fine, messo di fronte alla dimostrazione cogente dell’impossibilità di quel Dio, il mio interlocutore mi ha sempre – sempre sempre sempre – dato la stessa risposta: «Eh, ma io ci credo lo stesso. Io ho fede. Se tu non hai fede, non puoi capire». La formulazione può essere diversa. Per esempio, di recente uno mi ha detto: «Ho le mie aporie e ci convivo benissimo». Nondimeno la sostanza non cambia. E può essere tradotta così: «So che le mie credenze sono cazzate. So che sono incoerenti e irrazionali. Ma ci credo comunque. Rinuncio alla razionalità e perfino al buon senso e credo in Yahweh/Dio/Allah». Che va bene, eh. Ci mancherebbe: ciascuno con la propria intelligenza può fare quel che più gli aggrada. Però a quel punto, se la fede è la credenza cieca e testarda in qualcosa di falso in modo manifesto… be’, diamine, non c’è più spazio per un dialogo proficuo: lui crede perché ha la fede, io la fede non ce l’ho e non credo, perciò manca ogni possibilità di arrivare a una conclusione condivisa e il confronto è sterile. Poiché ormai ho imparato che finisce sempre così, ho rinunciato a discutere: il mio tempo ha un valore e preferisco impiegarlo in maniera più costruttiva.
Loro però non mollano. C’è sempre qualcuno – di solito qualche nuova conoscenza – che ci prova: «Per quale ragione non credi in Dio? Ne vuoi parlare? Vuoi considerare la mia esperienza del cammino nella fede?». E che palle. Se riapro il discorso, finisco dove so. Se non lo riapro, sembro io quello ottuso e dogmatico. Che fare?
Ecco l’idea: una sfida preliminare, solo superata la quale la discussione può proseguire. Altrimenti nisba. Se proprio ci tiene a parlare con me del Dio delle tradizioni abramitiche, il credente provi a confrontarsi in modo razionale con il più solido degli argomenti contro quel Dio. L’argomento definitivo, ossia la vexata quaestio dell’esistenza del Male. Ma anzitutto che cos’è il Male?
Il Male è ogni forma di sofferenza non voluta di un essere dotato di un sistema nervoso sviluppato, ossia ogni condizione di dolore fisico o psicologico o di altro genere dalla quale un essere senziente rifugge se può. Non è definito in rapporto a qualcos’altro suo opposto, come il Bene. Il Male è solo questo: la sofferenza. La Natura, là fuori, se ne stracatafotte del Male e del Bene. I fenomeni naturali si verificano e basta, e un essere senziente che ne è toccato li considera Male o Bene a seconda delle loro conseguenze su di sé. Il giudizio è soggettivo e relativo: per esempio, il Male della gazzella è il Bene del leone. E spesso il Male può essere gratuito: c’è un essere senziente che soffre e non c’è nessun altro che ne ricava un vantaggio.
Il Dio abramitico, che si pretende buono, che si vuole amorevole verso le proprie creature, dovrebbe agire affinché quelle creature non soffrano, ossia non sperimentino il Male. E potrebbe agire così. Infatti, oltre che buono, il Dio abramitico è anche onnisciente e onnipotente: sa tutto e può tutto.
Ecco dunque la sfida della teodicea:
Come può un Dio onnisciente, onnipotente e buono permettere la sofferenza di un innocente prima della sua morte provocata da cause naturali, nonostante quello stesso innocente invochi la morte pur di smettere di soffrire?
Per esempio, come può un Dio con quelle tre caratteristiche lasciar morire fra atroci sofferenze Alice, una bambina di 4 anni, sotto le macerie della sua casa distrutta da un terremoto, sebbene lei lo implori di portarla subito in paradiso? Se vuole impedirlo ma non può, non è onnipotente. Se può impedirlo ma non vuole, non è buono. Se vuole e può ma non lo impedisce, allora non ne sa nulla e non è onnisciente.
È un problema antico: già Epicuro se lo poneva. Ed è un problema che non ha mai trovato una soluzione soddisfacente. Fior di filosofi e di teologi si sono lambiccati sulla questione. Le menti più colte e più brillanti dell’umanità se ne sono occupate. Eppure non sono riuscite a escogitare una risposta razionale, logica, sensata. Il problema della teodicea è dunque l’argomento definitivo contro l’esistenza del Dio abramitico.
Proprio per questo io uso la teodicea come sfida per qualunque credente voglia discutere con me sull’esistenza del Dio abramitico: che risponda a quella domanda, che proponga un argomento convincente per spiegare la lunga sofferenza atroce di Alice prima della sua morte, e solo allora io ascolterò e parleremo. Altrimenti – già lo so – finirò solo per sprecare il mio prezioso tempo.
Appunto per evitare questo spreco, anticipo che non accetterò le risposte che la filosofia ha già demolito o che sono così manifestamente idiote da non meritare nemmeno un commento. Peraltro di molte di queste risposte io stesso mi sono occupato nei miei articoli e nei miei video, demolendole.
-
- «Il dolore è il prezzo da pagare per avere il libero arbitrio.»
Sembra funzionare per la sofferenza provocata dal libero arbitrio di qualcuno: la bambina uccisa da un’auto guidata da un ubriaco, per esempio. Sembra soltanto, però, perché un Dio che dà più valore alla libertà dell’assassino di quanta ne dia alla sofferenza della vittima è un mostro. Tuttavia non intendo addentrarmi in una discussione sul libero arbitrio. Del resto milioni di innocenti sono morti, muoiono e moriranno per cause naturali, senza un colpevole: è anzitutto questo ciò che Dio dovrebbe impedire e non impedisce.
Vedi anche:
Il Male morale - «Il dolore è causato dalle colpe di chi soffre.»
Di quali colpe può mai essersi macchiata una bambina di 4 anni, colpe così tremende da farle meritare la morte fra sofferenze atroci? - «Noi umani siamo marchiati dal peccato originale.»
In un remoto passato un antenato si è reso colpevole di un atto che ha conseguenze su tutti i discendenti? Ma siamo impazziti? Se il credente non si rende conto di quale stronzata è, ha un problema molto serio. Peggio ancora: se crede davvero che le colpe dei padri ricadano sui figli, è pericoloso per la collettività.
Vedi anche:
Il peccato originale
L’errore di Ivan/Giovanni
Dio bugiardo (Video)
La sofferenza animale (Video)
La teodicea del peccato originale (Video) - «Il dolore serve a metterci alla prova e a renderci migliori. La sofferenza purifica.»
Dio è onnipotente. Potrebbe rendere le persone migliori senza farle soffrire. Invece preferisce torturarle. Non solo: in che cosa consisterebbe esattamente la prova per quella bambina che, dopo un’agonia terribile, morirà? Che cosa dovrebbe imparare, di preciso? In che modo dovrebbe purificarsi?
Vedi anche:
Credenti «razionali» e dove trovarli - «Per raggiungere l’ordine e la complessità, Dio ha creato la natura con le sue leggi fatte così, e il dolore ne è una conseguenza.»
Perciò Dio non poteva creare una natura ordinata e complessa con leggi diverse? Ma non era onnipotente? - «Senza il male non potrebbe esistere il bene. Senza il dolore non potremmo apprezzare il piacere.»
La sofferenza della bambina è gratuita e senza scopo. Il suo esito è la morte. «Sì, ma poi potrà godere della pace in Dio e…». Certo, ma alla fine, da adulta, sarebbe morta come tutti e, se fosse stata buona, avrebbe goduto della pace in Dio. Quindi perché lasciarla crepare male da piccola? Magari per non darle l’occasione di peccare? Dunque morire da piccoli è un privilegio? Che culo! - «Il dolore serve a far emergere il bene attraverso gli esseri umani che cercano di lenirlo.»
Che pensiero carino. Grazie, ma ne avremmo fatto volentieri a meno. Dio avrebbe potuto trovare un metodo meno terribile per far emergere il bene attraverso gli esseri umani. Oppure no? Ma non era onnipotente? - «Il colpevole della sofferenza innocente è Satana.»
Satana è stato creato da Dio. Dio, prima di crearlo, sapeva che Satana si sarebbe ribellato, perché Dio è onnisciente. Quindi la responsabilità è ancora di Dio.
Vedi anche:
Il Maligno - «Gesù Cristo, cioè Dio stesso, si è sacrificato per liberarci dal peccato e dal dolore.»
Quanto a stupidità, questa risposta fa a gara con il peccato originale. Anzitutto va in culo a tutti quelli che sono vissuti e hanno sofferto prima di Cristo: loro non contavano niente? Inoltre il sacrificio non è servito a un cazzo: pure oggi i bambini continuano a morire nel dolore. E poi anche chissenefrega: in che modo la morte di Dio – sempre ammesso che fosse Dio – in croce 2000 anni fa dovrebbe lenire la sofferenza di chi vive nel presente? Infine, perché la condivisione con Dio dovrebbe ridurre quel dolore? Se per sbaglio ti tiri una martellata sulla mano, preferisci che io ti dia un analgesico oppure che, per solidarietà, mi smartelli la mano a mia volta? Comunque vediamo se ho capito: Dio prima crea gli esseri umani e dona loro il libero arbitrio, ma siccome è onnisciente già sa che loro peccheranno, tuttavia li lascia peccare, istigati da un essere malvagio che peraltro lui stesso aveva creato, poi condanna al dolore i due peccatori e tutte le generazioni future, in seguito si incarna in un umano, sacrifica sé stesso a sé stesso e si fa ammazzare con un supplizio terribile, e alla fine tutti continuano a soffrire come prima? È andata così? E questa storia dovrebbe avere un senso?
Vedi anche:
Chissenefrega… (Video)
Le solite fregnacce (Video)
Credenti «razionali» e dove trovarli - Il Male è l’assenza del Bene.
Anzitutto prova a dirlo ad Alice che tutto il suo dolore e la sua disperazione sono «l’assenza del Bene». Prova e vedi se non ti manda ‘affanculo, come meriti.
Ma poi c’è un problema: che cos’è il Bene? Voglio dire: se il Male è il dolore, il Bene è… il piacere? Perché non pensarla al contrario, ovvero che il Bene (il piacere) è l’assenza del Male (il dolore)?
Oppure il Bene è Dio? Ho sentito anche questa. D’accordo: il Bene è Dio. Perciò il Male è l’assenza di Dio. Se c’è il Male, dobbiamo concludere che in qualche punto nel tempo e nello spazio – per esempio nel corpo di Alice in quel momento sotto le macerie – Dio non c’è, Dio non esiste. Ma aspetta… Dio non dovrebbe essere onnipresente? Se Dio non c’è in qualche momento e in qualche luogo, allora dev’essersi ritirato spontaneamente. Perché lo ha fatto? Perché Dio lascia certi momenti e luoghi sprovvisti della sua presenza? Non può o non vuole essere presente? Si torna sempre lì: anche questa teodicea non spiega un accidente. - «Dio non vuole: Dio è la Volontà. Dio non può: Dio è la Potenza. Perciò Dio vuole tutto ciò che può e può tutto ciò che vuole.»
Questa è una furbata teologica: si prende una facoltà assurda, incoerente, illogica di Dio, la si considera un Assoluto astratto, la si trasforma in Dio stesso. Un espediente che funziona se Dio è un concetto astratto: Dio è l’Essere, è la Conoscenza, è la Volontà, è la Potenza, è il Bene. Ed è pure una furbata intellettualmente disonesta, quando viene proposta dai credenti nel Dio abramitico, il Dio della tradizione che da Abramo passa per Mosè e poi anche per Gesù e magari pure per Maometto. Infatti quello è un Dio che fa e disfa, crea e distrugge, ama e odia, ordina e proibisce, premia e punisce, promette e mantiene ma a volte anche no, un Dio che si rivela e si nasconde, un Dio che imbroglia, un Dio che perfino annusa. È il Dio che è Ammmore, il Dio clemente e misericordioso, il Dio che ama gli esseri umani e che può e vuole eliminare il loro dolore. Il Dio che i credenti adorano e pregano, il Dio con il quale parlano, il Dio nel nome del quale svolgono i propri riti. Allora il Male come inteso dagli umani, il Male come sofferenza di un essere senziente e in particolare di un essere umano, condanna questo Dio in modo definitivo: quel Dio lì non esiste.
Vedi anche:
Seghe mentali - «Dio sa perché. Noi dobbiamo solo accettare la sua volontà.»
Traduzione: «Mistero della fede». Ovvero: «Non capisco, ma credo lo stesso». Ehi! Io avevo chiesto una risposta ra-zio-na-le.
Vedi anche:
Va’ dove ti porta il Mistero
Il Mistero e il mistero
Le solite fregnacce (Video)
Credenti «razionali» e dove trovarli
- «Il dolore è il prezzo da pagare per avere il libero arbitrio.»
Queste sono le teodicee che mi sono sentito rifilare in quasi 40 anni di ateismo. Perciò adesso non le posso più sentire. Se un credente vuole propormene una, magari in una versione mista o modificata, si risparmi la fatica: finirebbe dritta nel cesso. E non mi frega un cazzo della sua «esperienza del cammino di fede»: o mi dà una risposta razionale al problema della teodicea, oppure ciao.
A questo punto qualche bigotto potrebbe credersi astuto rimbalzando la domanda: «Ma allora come spieghi tu, ateo, la presenza del Male, se Dio non esiste?». Semplice: non la spiego. Infatti non ho proprio nulla da spiegare. Io constato solo che esistono i fenomeni naturali e che molti di quei fenomeni procurano sofferenza agli esseri senzienti. Me ne dolgo assai. Se è in mio potere, cerco di lenire quella sofferenza. Ma non devo spiegare proprio nulla: non sono io quello che crede in un Dio onnisciente, onnipotente e buono. Non sono io quello che ha problemi di coerenza.
In conclusione, se un seguace del Dio abramitico vuole tentare con qualcosa di diverso, se ha escogitato una teodicea razionale, allora prego, si accomodi: scriva un articolo documentato e argomentato e lo spedisca a choamgoldberg@gmail.com. Ma non provi a sbolognarmi fuffa, discorsi fumosi, arrampicate sugli specchi, concetti mal definiti, sofismi, giochi di parole o stronzate affini. Voglio argomenti chiari e ragionamenti consequenziali. Non ho tempo per le cazzate.
Dopodiché – va da sé – si pensi pure che quello ottuso e dogmatico sono io: il cazzo che me ne frega è così grande che si vede dall’orbita terrestre.
Articolo aggiornato il 31 gennaio 2025.
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Caro Choam,
rispondo alla tua sfida della teodicea con una riflessione che mi deriva dalla nota parabola del contadino cinese:
Molti anni fa, nelle campagne cinesi, un uomo e suo figlio vivevano in un piccolo villaggio. Essendo molto poveri, avevano solo una baracca, in cui vivevano e un campo sul quale il contadino cinese lavorava duramente tutti i giorni con il suo cavallo.
Quando il cavallo scappò, gli abitanti del villaggio andarono a trovare il contadino cinese e gli dissero a gran voce: “Il cavallo ti era utile per poter lavorare. Che disgrazia hai avuto!”.
E il contadino cinese rispose: “Forse sì, forse no. Vedremo”.
La settimana dopo, il cavallo ritornò alla baracca: assieme a lui vi erano due cavalli selvatici. Il contadino cinese e il figlio si ritrovarono quindi ad avere tre cavalli. Gli abitanti del villaggio questa volta dissero all’uomo: “Avevi un solo cavallo e ora ne hai tre. Che fortuna hai avuto!”.
Anche questa volta il contadino cinese rispose: “Forse sì, forse no. Vedremo”.
Qualche giorno dopo il figlio stava pulendo la stalla del cavallo, quando uno di loro si agitò e lo calciò con forza, facendolo cadere. Il ragazzo si ruppe una gamba. Gli abitanti del villaggio questa volta dissero al contadino cinese: “Tuo figlio è l’unico che ti può aiutare nel tuo lavoro. Che disgrazia hai avuto!”
Ancora una volta, il contadino cinese rispose: “Forse sì, forse no. Vedremo”.
Qualche settimana più tardi, alcuni soldati dell’esercito arrivarono nel villaggio e iniziarono a reclutare giovani uomini da portare a combattere in una guerra dove nutrivano poche speranze di vittoria. Quando passarono dalla casa del contadino cinese videro suo figlio con la gamba rotta e decisero quindi di passare oltre.
Gli abitanti del villaggio, una volta appresa la notizia, si rivolsero al contadino cinese: “I nostri figli vanno a morire in guerra mentre il tuo è infortunato. Che fortuna hai avuto!”
E il contadino cinese, come sempre, rispose: “Forse sì, forse no. Vedremo”.
Ὁ μῦθος δηλοῖ ὅτι:
1) mi pare che la sfida che tu hai posto si fondi su un presupposto fallace.
Infatti, non è in alcun modo possibile stabilire se la sofferenza e la morte della bambina dipendente da cause naturali sia davvero e necessariamente un male, valutato in una prospettiva assoluta che va oltre la capacità di percezione umana. “Forse si, forse no. Vedremo”.
2) La nostra valutazione di bene o male dipende da una percezione soggettiva e limitata e non è inscrivibile in categorie assolute (a meno che chi valuta non sia onniscente, come si postula essere il Dio abramitico).
3) Di conseguenza, in questi termini Dio è (potrebbe essere) giustificato in una prospettiva totalizzante della realtà fenomenica e metafisica. Ciò che nessun essere umano può avere.
Mi piacerebbe avere un tuo parere al riguardo.
P.S.: non sono ateo e del tuo divieto, onestamente, non me ne frega un cazzo.
Con stima e affetto.
Mauro Pirari
“(…) non è in alcun modo possibile stabilire se la sofferenza e la morte della bambina dipendente da cause naturali sia davvero e necessariamente un male, valutato in una prospettiva assoluta che va oltre la capacità di percezione umana.”
“La nostra valutazione di bene o male dipende da una percezione soggettiva e limitata e non è inscrivibile in categorie assolute”
“Di conseguenza, in questi termini Dio è (potrebbe essere) giustificato in una prospettiva totalizzante della realtà fenomenica e metafisica. Ciò che nessun essere umano può avere.”
La sfida consiste nel rispondere alla domanda seguente:
perché il Dio abramitico, se esiste, lascia che i bambini muoiano dopo una lunga agonia, invece di portarli subito in paradiso senza alcun dolore?
Le tue non sono risposte ma solo riformulazioni e parafrasi di “Dio ha le sue ragioni che noi non possiamo conoscere perché noi siamo limitati mentre lui è onnisciente”, ovvero “Non so rispondere alla domanda sulla inutile sofferenza innocente di una bambina, però credo lo stesso in un Dio onnisciente, onnipotente e buono”. In sintesi estrema: “Mistero della fede!”. Sempre lì arrivate tutti quanti.
Fregatene pure del mio divieto, ma cliccando hai dichiarato di essere ateo. Se non è vero e lo hai fatto solo per toglierti lo sfizio di postare questo commento, ricorda che il tuo Dio – se il tuo Dio è quello abramitico – non apprezza per niente l’apostasia, anche quando è ipocrita come la tua.
Su questo argomento, lieto dell’onore delle armi non ho più di che argomentare. Ho altre idee che esibiscono le insanabili contraddizioni da cui è affetta l’apologetica cristiana ed eminentemente quella cattolica. In privato (via mail) ti avevo già parlato dell’atto massimamente amorevole in ottica cattolica che consisterebbe nell’uccidere i bambini appena battezzati donando così loro la certezza della felicità eterna. Ma non ero stato originale e Voltaire mi aveva autorevolmente anticipato. Un’altra idea sarebbe quella di mettere in evidenza come il suicidio dovrebbe essere un atto lodevolissimo in ottica cristiana e biblica, meritevole del dono della vita eterna dal momento che in Mt 7,21 leggiamo: “Non chiunque mi dice: Signore Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”. Quale è stata nella sostanza la volontà fondamentale del Padre nel Nuovo Testamento? È innegabile che sia stata quella di immolare il Figlio per coronare la propria macabra recita salvifica. Come ci insegna il dogma Padre e Figlio sono la stessa “sostanza” (non commento l’aporia della dottrina trinitaria che è palese). Ergo, Dio ha progettato la sua volontà suprema come suicidio. Sulla croce si è posto ed è morto Dio. Dio ha creato un interno universo, fin da principio, come palcoscenico su cui esibire se stesso come suicida. Intendendo ciò come la manifestazione suprema dell’amore. Quindi se per andare in cielo dobbiamo imitare la volontà del Padre, dobbiamo suicidarci. Imitazione di Dio e di Cristo. A nulla di più alto può aspirare un credente. Ma caro Choam questi sono solo cenni e non saprei dove argomentare con più cogenza e rigore di queste ed altre idee. Ringraziandoti davvero per l’attenzione che mi hai riservato mi congedo e attendo tuoi nuovi interventi su YouTube.
Ti dico io dove argomentare: qui. Prendi queste tue interessantissime riflessioni sul suicidio, trasformale in un articolo e io te lo pubblico qui nel blog come guest post. Che ne pensi?
Ciao Mauro considera questo:
1. La “sofferenza” se non pensata o immaginata ma percepita in atto è un dato originario ed incontrovertibile, ovvero ab-soluto dalle valutazioni ipotetiche (il tuo “forse si, forse no. Vedremo”). Valutabili sono gli atti intenzionali, le ragioni e le ipotesi. L’esperienza diretta del dolore è viceversa autosignificante come male, male reale appunto in quanto percepito. Il male fisico patito dalla bambina è quindi “assoluto”. La morte non essendo percepita è viceversa passibile di valutazione a posteriori (a noi al momento indecidibile) ma qui il “fatto” da giustificare è l’inutile ed orribile agonia della bambina.
2. Immagino tu sia credente, lo si evince dal tenore della tua teodicea e dalla tua stessa dichiarazione (“non sono ateo”, e presumo nemmeno agnostico), dunque sei costretto dalla dottrina cattolica ed intendere la Scrittura come Parola di Dio (leggi: il contenuto è assolutamente vero), bene ; in Gn 3,22 è scritto (dallo Spirito Santo in ultima analisi): “Ecco l’uomo è diventato come uno di noi quanto alla conoscenza del bene e del male”. Come la mettiamo? Non si afferma forse qui, senza possibilità di interpretazione allegorica o metaforica, che la nostra assiologia è fondata, legittima e veridica agli occhi di Dio? Kant esprime lo stesso concetto quando parla della legge morale inscritta in noi… inscritta da chi? Da Dio. Difatti Kant salva il Dio morale dopo avere ucciso quello teoretico. Ma non mi dilungo su questo. Ergo quando valutiamo “umanamente e limitatamente” come male la sofferenza della bambina non sbagliamo, “parola del Signore… lode a Te o Cristo”.
Ciao Choam,
premetto che da Epicuro in poi (nella versione presentata da Lattanzio, il problema della teodicea viene presentato esattamente come lo presenti coerentemente anche tu) considero non superata o risolta la questione del male (soprattutto quello naturale e degli innocenti, alla Ivan Karamazov) da NESSUNA teodicea.
Premesso questo ti presento quindi come semplice gioco intellettuale la mia teodicea:
1. Dio ha creato come realmente esistente e senziente solo me.
2. La totalità della realtà esperita è solo una mia esperienza interiore (solipsismo radicale, con una parafrasi contemporanea direi alla “Matrix”).
3. La sola sofferenza ed il solo dolore reale sono i miei, tutti gli altri sono apparenti.
4. La teodicea deve giustificare Dio dinnanzi alla sofferenza ed al solo dolore reale.
5. Io ritengo il mio dolore reale e la mia sofferenza reale gestibili e causati dal mio inadeguato comportamento.
6. In summa ritengo la mia esistenza gratificante ed assolutamente preferibile alla non esistenza.
7. Dio ponendomi nell’essere ha posto del Bene (in riferimento alla mia singola ed assoluta esistenza).
8. Dio è giustificato.
P.s. Potrei autopormi moltissime obiezioni, come l’assurdità di una tale esistenza, il fatto che sarebbe una messinscena assolutamente orribile quella del dolore altrui degli innocenti da me immaginato anche se de facto inesistente. Il Creatore di una simile “spettacolo”’ad personam sarebbe senz’altro folle e sulla soglia della psicopatologia! Ma nonostante ciò, un tale Dio sarebbe esente dalla colpa della sofferenza innocente e quindi giustificato. Insensato ma giustificato. Questa teodicea è allucinata ma regge.
Choam adoro il tuo modo iper razionale e godibilmente blasfemo di argomentare vs i nostri amici apologeti.
In realtà, come ci ricorda Nietzsche citando Stendhal, “Dio ha una sola scusa, non esiste”.
È una teodicea molto molto interessante.
Vedo però alcuni problemi.
5. (a) Forse sono gestibili adesso. Ma in futuro? La penserai ancora così quando sarai sottoposto a dolori lancinanti?
(b) Usando l’aggettivo “inadeguato” introduci un giudizio morale. Da parte di chi? Di te stesso? Sulla base di quale codice etico? Oppure da parte di Dio? Allora questo Dio non è solo il tuo creatore ma è anche il tuo giudice: un ruolo nuovo che richiederebbe almeno un altro punto per essere esplicitato. E ancora: che relazione sussiste fra Dio e il suo codice etico?
6. Di fronte a due opzioni, puoi preferire una all’altra se puoi esperire o almeno immaginare di esperire entrambe. Ebbene, prova a immaginare di esperire la tua non esistenza. Prova, se ci riesci. Te lo dico io: non ci riesci. Perciò il confronto non è possibile e tu non puoi sapere se è preferibile per te esistere o non esistere.
Risposte:
5. Dio farà sì che io non possa subire dolori insopportabili o tali da mettere in scacco la sua bontà.
6. Autovaluto il mio “errato” operare nel reale come causa delle mie sofferenze e quindi valuto tale operare perfettibile. Nessun giudice o giudizio al di là del mio pragmatismo etico.
In ogni caso c’è errore e non colpa.
7. Pensare il nulla è autocontraddittorio (Mi sono laureato con una tesi sull’aporetica del nulla in Emanuele Severino e Martin Heidegger) questo è vero. Rimane realizzabile, peraltro, l’esperimento mentale di pensarmi come privo di esperienze, e nella mia ipotesi virtuale, le esperienze sono sostanzialmente positive e quindi preferibili all’assenza di esse. Pensare l’esistenza in quanto tale come positiva in quanto posta in essere e pensare l’essere come preferibile al non essere.
Se poi la tua domanda passasse sulla biografia ed esperienza (realmente) personale, ti direi che viviamo probabilmente se non nel peggiore, perlomeno, in uno dei peggiori mondi possibili. Ma ciò non inficia la mia ipotesi di un essere senziente sostanzialmente felice ed entusiasta di esistere. In sostanza, un bene. Tale bene è posto da Dio. Quindi Dio, rimane giustificato.
Risposte:
5. Risposta convincente.
6. “C’è errore e non colpa”. Ok, buona risposta. Mi ricorda un po’ il buddhismo: c’è ignoranza e non peccato. Il buddhismo però è agnostico, perciò non ha il problema di un Dio onnipotente. (Siamo sempre nell’ipotesi di un Dio onnisciente, onnipotente e buono.)
Se la tua sofferenza è provocata non da un giudizio divino ma da una inadeguatezza del tuo comportamento rispetto alle esigenze della realtà, resta il fatto che Dio ti ha immerso in una realtà con quelle particolari esigenze, pur sapendo – perché Dio è onnisciente – che tu saresti stato inadeguato.
7. La mia domanda non voleva toccare la tua esperienza personale. Ovviamente qui stiamo discutendo nella massima astrattezza.
“Rimane realizzabile, peraltro, l’esperimento mentale di pensarmi come privo di esperienze”: non ne sono così sicuro. Non conosco bene Severino e men che meno Heidegger – per inciso: complimenti, nelle rare occasioni in cui ho provato a leggere Heidegger non ho capito un accidente di niente –, però ho l’impressione che un’esistenza senza esperienze sia di fatto una non esistenza. Ma forse sto dicendo una cazzata: devo pensarci meglio. Grazie per lo spunto.
Resta un fatto: in questa tua esistenza un po’ di dolore c’è. Sarà tollerabile, ma c’è. Dio, che è onnisciente e onnipotente, aveva la possibilità di crearti in una realtà che ti provocasse ancora meno dolore. Al limite nessun dolore. Ma ti ha creato in questa realtà, dove soffri un po’. Non troppo, ma un po’ sì. Perciò Dio non può essere assolutamente buono.
Choam rispondo alle tue ultime considerazioni in modo sintetico:
Concordo con te che un Dio “assolutamente” buono mi avrebbe potuto porre nella condizione di essere “assolutamente” senza dolore (fisico) e sofferenza (morale). Vero. Ma nella mia allucinata teodicea ne esce un Dio “sostanzialmente” buono e che alla fine della mia esistenza solipsistica mi condurrà a sé accogliendomi nel suo amorevole abbraccio eterno (in cosa poi possa consistere non ne ho idea essendo una fesseria da apologeti). Felicità eterna garantita in ultima analisi. Perché nella mia ipotesi è anche preclusa la stessa possibilità della dannazione eterna. La libertà è illusoria anch’essa, vige il determinismo radicale. E questa non è solo un’ipotesi. Anche l’idea di libertà è autocontraddittoria (ma qui dovrei dilungarmi e parlare di Severino). Chiudo quindi affermando che questa è una teodicea che salva Dio dall’obiezione della sofferenza innocente pur presentandolo perfettibile.
Sulla possibilità effettiva dell’esperimento mentale ti invito ad immaginare l’esperienza dell’assenza di dolore/piacere (la stanza vuota di Matrix) e confrontarla con la figurazione di una esperienza estremamente piacevole, in questo senso il “positivo” dell’esperienza piacevole è preferibile al neutro dell’assenza di esperienze.
Grazie per il tuo contributo, Ivan.
La tua teodicea solipsistica è molto originale ma penso che non abbia superato la sfida. Non è la prima volta che succede: vengono proposte teodicee interessanti, ma nessuna centra il punto del problema. Quel Dio lì non è il Dio abramitico.
Nel tuo caso, il problema non sta nel solipsismo bensì nelle proprietà di Dio, che sei costretto a modificare rispetto all’ipotesi del Dio abramitico. Il Dio abramitico è assolutamente buono, non solo sostanzialmente buono, ed è perfetto, non solo perfettibile.
Sull’esperimento mentale della mancanza di esperienza, il caso della stanza vuota non mi sembra convincente. Anche in una stanza perfettamente vuota, qualche esperienza ti rimane sempre: non foss’altro che la sensazione del pavimento che sorregge il tuo peso. Perciò mi chiedo: una esistenza di pensiero puro – immagino un cervello scollegato da ogni terminazione nervosa – è davvero un’esistenza? Non lo so. Non ho le idee chiare. Comunque preferirei non provare di persona.
Caro Choam,
proseguo il nostro “carteggio” di cui ti ringrazio di cuore, affermando che avevo già esplicitato che tale teodicea non può superare in toto la sfida dal momento che un “Dio perfettibile” (come ho scritto) non può essere il Dio abramitico (definizione che intendo ma che nella tua versione è molto grecizzato, dal momento che il Dio “della bibbia” non possiede con chiarezza gli attributi assoluti che tu definisci in modo filosofico, ma penso che questo tu lo sappia bene, e ti riferisca in sostanza al Dio sostenuto da teologi ed apologeti) da te definito. Facendomi patire anche un solo semplice fastidio non può essere assolutamente buono, in quanto potrebbe impedire anche tale fastidio. Tale teodicea supera altresì l’obiezione (che è quella radicale e definitiva) della sofferenza innocente prodotta da cause naturali. La supera perché nella mia ipotesi tale sofferenza è apparente, non esiste in quanto non realmente esperita. La sola esperienza è la mia, ed io sono sostanzialmente felice in terra ed eternamente e completamente felice in cielo. Fosse così sarebbe un Dio quasi perdonabile… e sottolineo “quasi” per i motivi da te giustamente addotti. Sull’esperimento mentale non mi sono forse spiegato bene. Ovvio che una “stanza vuota” è colma di esperienze (non solo il pavimento, ma la mia stessa corporeità, lo spazio visivo, brusio di fondo acustico, etc.), ma per il mio intento era sufficiente affermare che una esperienza piacevole e “positiva” (come quella presente nella mia ipotesi solipsistica) fosse preferibile ad un’esperienza “neutra” di cui possiamo figurarci l’idea. In. termini psicologici, la vita sentita alla morte della privazione di esperienze piacevoli, ergo, l’esser stato creato al non esser stato creato. Concordo e l’ho già detto (mi sono laureato su questo), che il nulla in quanto tale e, in termini antropomorfi, l’assenza totale di esperienza non siano né pensabili né tantomeno esperibili. Sfida non superata, concordo, ma tentativo razionale e non radicalmente distante dall’obiettivo, e questo, forse, potresti concedermelo. L’onore delle armi. Grazie Choam
Tentativo razionale e molto apprezzato. Te l’ho detto: l’ho trovata una risposta molto originale. Ti concedo assolutamente l’onore delle armi. Altroché. E non esitare a continuare a scrivere.
Ciao Choam,
È da qualche tempo che vorrei scriverti, e finalmente mi sono preso un po’ di tempo per farlo.
Ho scoperto il tuo lavoro nel mio viaggio di emancipazione dall’indottrinamento cristiano della mia infanzia. Meglio tardi che mai. Sul mio percorso non mi dilungo, ma magari un giorno scriverò una storia per la tua rubrica “Io senza Dio”.
Sono arrivato a conoscerti mediante youtube. Sulle prime ero perplesso dalle tue misure di anonimato (con quella maschera e la voce cammuffata sembri proprio un tipo losco) ma capisco le tue motivazioni. Trovandoti preparato sull’argomento mi sono fatto coraggio e mi sono visto tutti i tuoi video de “L’Eterno Assente”, dal primo all’ultimo. Ora sono sintonizzato al tuo sito attraverso il feed RSS.
Purtroppo, anche se l’onere della giustificazione tocca al credente, mi aspetto di dover giustificare in futuro le mie acquisite posizioni. I tuoi articoli chiari ed esaurienti sono fonte di ispirazione, dunque volevo esprimerti gratitudine per quanto hai fatto e per quanto farai.
Detto questo, pur dichiarandomi ateo, volevo affrontare in modo ironico la sfida della teodicea, con una pensata che di seguito espongo.
Hai senz’altro presente l’espressione “Good, fast, cheap. Choose two”, tipicamente accompagnata con la rappresentazione grafica di tre insiemi intersecati due a due. Il concetto si applica ugualmente a onnipotenza/onniscenza/bontà del Dio Abramitico.
Dunque tiriamo in ballo il concetto di Trinità: nessuno fino ad ora non ci ha mai capito un cazzo, ma io si! Eccola servita con scappellamento a destra:
– Dio Padre: onniscente e onnipotente, ma stronzo! L’Antico Testamento riporta alcuni episodi iconici.
– Gesù: buono e onnipotente, ma non onniscente. Per esempio, la senape mica è il seme più piccolo di tutti! E poi mica ci ha azzeccato con le previsioni apocalittiche! Ma neanche con gli orari del bus va forte: siamo sempre qui, ad aspettare che torni.
– Lo Spirito Santo: onniscente e buono, ma non onnipotente. Si OK, qualche gravidanza miracolosa, qualche effetto speciale con fiammelle e piccioni, ma come illusionista ne sa di più Simone il Mago, secondo me.
Questi tre personaggi sono una cosa sola, e il gioco è fatto! Eh? Ho risolto due problemi in uno!
Ammesso che ti fosse passato per la testa di farlo, non serve che pubblichi sta robaccia. Sperando piuttosto di averti fatto sghignazzare, ti saluto calorosamente.
-Patta
Grazie per le lodi e l’apprezzamento. Mi fanno molto piacere e mi motivano a proseguire.
Originale e divertente la tua teodicea originaria. Forse proprio farci tutto un video no, ma almeno citarla in chiusura di uno dei prossimi potrebbe essere una buona idea. Ci penso. Comunque, visto che mi segui con i feed RSS – fratello! – (ma sai che puoi usarli anche per i canali YouTube, evitando così di iscriverti?), non te la perderai.