Ma anche no. Perché almeno una domanda è lecita. La solita, peraltro.
Io non volevo parlare di Silvia Romano. Davvero: non volevo. E non ne avrei parlato, se non avessi cambiato idea. Sulla sua conversione all’islam mi ero fatto subito un’opinione abbastanza precisa, riassumibile in due parole: «Ma ‘sticazzi?». Ovvero: sono contento che sia tornata, ma se da cattobigotta si è trasformata in islamobigotta sono affari suoi. Eppure…
…eppure, nel ripensarci, mi sono accorto del mio condizionamento pavloviano: se i fascisti affermano X, allora io devo concludere non-X. Nel caso specifico: se i fascisti aggrediscono Silvia, io, non potendo difendere la sua scelta di diventare musulmana, devo per lo meno sostenere che sono affari suoi. Ma così non va bene: proprio perché m’importa una sega della feccia fascista, io devo formulare un pensiero autonomo. Pensiero che si concretizza in una domanda. E, se mi conosci anche solo un po’, puoi immaginarla da te.
Dunque Silvia Romano, sequestrata dai fanatici islamisti e infine liberata dopo un anno e mezzo di prigionia, all’arrivo in Italia dichiara, fra le altre cose, di essersi convertita all’islam in modo spontaneo e di aver assunto il nome Aisha. E si presenta intabarrata nel jilbab, l’abito casto e modesto indossato da molte donne musulmane per rispettare le prescrizioni del Corano:
E di’ alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non mostrare, dei loro ornamenti, se non quello che appare; di lasciar scendere il loro velo fin sul petto e non mostrare i loro ornamenti ad altri che ai loro mariti, ai loro padri, ai padri dei loro mariti, ai loro figli, ai figli dei loro mariti, ai loro fratelli, ai figli dei loro fratelli, ai figli delle loro sorelle, alle loro donne, alle schiave che possiedono, ai servi maschi che non hanno desiderio, ai ragazzi impuberi che non hanno interesse per le parti nascoste delle donne. E non battano i piedi, sì da mostrare gli ornamenti che celano. Tornate pentiti ad Allah tutti quanti, o credenti, affinché possiate prosperare.
– Il Corano 24,31
O Profeta, di’ alle tue spose, alle tue figlie e alle donne dei credenti di coprirsi dei loro veli, così da essere riconosciute e non essere molestate. Allah è perdonatore, misericordioso.
– Il Corano 33,59
Come ho detto, la mia prima reazione è stata: «Ma ‘sticazzi?». Sono contento per la liberazione di Silvia, ma in fin dei conti di quale sia o sia diventata la sua religione mi frega il giusto, cioè zero. Non è che se fosse tornata scintoista o atea sarebbe cambiato qualcosa. Sarei stato contento uguale. Soprattutto considerato il fatto che la sua conversione è stata, come lei stessa riferisce, del tutto libera e spontanea. E che nessuno le ha torto un capello durante la prigionia.
Ora, io non voglio affrontare la polemica sul pagamento del riscatto. Su ‘sta cosa io una posizione chiara e convinta non ce l’ho. È giusto che uno Stato paghi un riscatto e finanzi i terroristi? La domanda è legittima, ma non c’è una risposta priva di controindicazioni. Ci sono Stati che pagano e Stati che nemmeno considerano la possibilità di trattare. Pagare significa sì finanziare i terroristi, ma non pagare significa assumersi il rischio di perdere l’ostaggio. Perciò sono contento di non essere io ad avere la responsabilità di questa decisione. Nondimeno constato che per altri ostaggi – guarda un po’, tutti uomini – tutto ‘sto casino non lo ha sollevato nessuno. E non sono state scatenate polemiche né sul riscatto né sulla conversione.
C’è un fatto assodato: Silvia è stata liberata. Ci sono pure due fatti ipotetici: Silvia si è convertita all’islam e ha agito senza costrizioni. Sono ipotetici perché è Silvia a sostenerli e soltanto lei conosce la verità nel proprio foro interiore. Noi o ci fidiamo o non ci fidiamo. Se non ci fidiamo, dobbiamo opporre delle ragioni per smentirla. Siccome però nessuno può sondare i pensieri di Silvia, queste ragioni mancano. Ergo io propendo per la fiducia e ammetto che sì, Silvia si è convertita all’islam in modo libero e spontaneo.
«Ma ‘sticazzi?». Ma anche no. ‘Sticazzi se Silvia fosse una persona qualunque. Invece Silvia non è una persona qualunque e sa di non esserlo. Silvia torna in Italia sapendo di essere oggetto di attenzione dei media e manifesta la propria conversione. Qualcuno dirà: «Eh, ma lei non voleva farne un caso mediatico. È stata una fuga di notizie». Calma. Non è così semplice. Infatti Silvia non rientra in Italia con la propria conversione interiore e basta. Silvia arriva indossando un abito che di quella conversione è il simbolo. Anche l’abbigliamento è comunicazione e anche un abito è un messaggio. Con il jilbab, Silvia comunica non solo la propria conversione all’islam, ma all’islam più retrogrado, misogino e patriarcale, l’islam che alle donne impone un dress code discriminante. Con quella conversione palese, nelle parole e soprattutto nell’abito, Silvia copre il proprio corpo e nel contempo espone il proprio credo. Silvia sa che in nome di quel credo milioni di donne sono discriminate? Silvia è consapevole che in nome di quel credo migliaia di apostati sono minacciati di morte e centinaia vengono assassinati per rispettare i dettami del suo libro sacro, il Corano? Silvia si rende conto che, se un giorno volesse cambiare idea e tornare cattolica o diventare buddhista o atea, quello sarebbe il suo destino?
Esponendo il proprio credo, Silvia si espone a una domanda. E si espone giustappunto perché viene data per scontata la sua assoluta libertà nella conversione. La domanda è la solita: come accidenti è possibile che una donna libera, moderna, intelligente, colta, civile si converta a una delle religioni più sessiste, misogine, patriarcali, intolleranti, ottuse e becere che esistano?
Qualcuno dirà: «Ma l’islam non è così». Ah, no? Be’, il dress code imposto alle donne per dimostrare la propria modestia non è esattamente la prova della loro sottomissione al patriarcato? E Silvia Romano, indossando il jilbab, non accetta precisamente questa sottomissione?
Qualcun altro dirà: «È solo pudore». Grazie, l’ho già sentita e ne ho già discusso. A parte il fatto che il pudore è un riserbo acquisito nella prima infanzia e non a seguito di una conversione da adulti, potrebbe essere una spiegazione per l’hijab. Ma invocare il pudore per giustificare il jilbab è solo ipocrisia.
Ecco, di questa cosa io non mi capacito mai: come possa una donna libera, intelligente e colta convertirsi all’islam e accettarne le prescrizioni sessiste. Lo chiedo per Silvia Romano, ma lo avevo chiesto anche ai tempi della sardina velata. Proverei lo stesso sconcerto di fronte a un ebreo iscritto al partito nazionalsocialista o a un afroamericano affiliato al Ku Klux Klan.
Poi – sia chiaro – ciascuno con la propria vita e la propria libertà fa un po’ quel che vuole e di sicuro Silvia non è tenuta a rispondere alla mia domanda. Ci mancherebbe altro. Allora davvero «Ma ‘sticazzi?». Però io sono libero di porla, quella domanda. E sono certo che la porrebbero anche milioni di donne oppresse e discriminate con quell’abito, che soffrono senza potersi ribellare, e migliaia di atei ex musulmani costretti a nascondersi o a fuggire per non essere imprigionati o assassinati. Altro che conversione spontanea di ‘stocazzo.
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Io personalmente scelgo di non fidarmi dell’affermazione di spontaneità di questa conversione: a fronte di fenomeni noti (sia pure con qualche dubbio sulla loro frequenza) come la sindrome di Stoccolma, dell’evidente livello di minaccia per lo meno implicita nel semplice fatto di essere stata rapita e tenuta in ostaggio per un anno e mezzo e sul relativo stress emotivo impicito, e su quanto deve averle semplificato la vita essersi convertita durante la sua prigionia, per me il rasoio di Occam è di non fidarsi di nulla che venga detto almeno fino a un anno due dopo la liberazione.
Se proseguirà a sostenere la propria affilliazione anche allora, se ne potra riparlare e a quel punto si, più o meno concorderò con quanto qua detto.
Ok, l’Islam è quello che è, così come le altre religioni. Ma i ‘fedelii’ sono tutta un’altra cosa. Si va dal gay che si vuole sposare in chiesa ai catto-sovranisti che ‘vivono nel peccato’ fino a quelli che oltre a fare tutti i sacramenti, dal battesimo al matrimonio, prima dell’estrema unzione non fanno altro che bestemmiare e andare a zoccole. Vale per i cattolici e vale, con sfumature differenti, pure per le altre religioni, vedi Teheran e Kabul negli anni 70. ‘aderire’ a una religione non vuol dire nulla se te l’insegnano da bambino, sarebbe come dire aderire alla lingua italiana. Per quel che concerne Silvia c’è davvero poco da fare ipotesi. 18 mesi imprigionata, da degli invasati totali, lungo i quali la sola concessione è la lettura de Corano. Senza la minima prospettiva temporale. Una situazione che poche persone riuscirebbero ad affrontare anche solo con un grumo di razionalità. Quindi sì, ‘sticazzi’ è di rigore in un caso come questo.
«’Sticazzi» è di rigore se parti dal presupposto che la sua conversione non sia stata libera e spontanea. Se invece si prende per buono quel che lei dice di sé stessa, allora diventa legittima la domanda «Ma chi te lo fa fare di convertirti a una religione in cui sei considerata un essere inferiore?». È la stessa domanda che va posta a qualsiasi musulmana convertita senza costrizione.
Grazie per le riflessioni.
Per quel poco che ho vissuto in paesi dove le persone neanche si preoccupano di fingere rispetto per le donne, ho maturato la convinzione che se fossi donna in quei paesi, non a maggioranza islamica, per essere meno molestato/a indosserei il velo, anche abbastanza coprente, per dimostrare appartenenza a un qualcosa che garantisca una maggiore protezione.
In paesi dove sia imposto il problema non si porrebbe.
Anime belle osserverebbero: non ci piega….
Accetto questa osservazione solo da soggetti che abbiano raggiunto i 12 anni, con fenotipo femminile, in quei paesi.