Per la Sinistra islamofila, se non ha lo straccio in testa la candidata di origine straniera non va bene.
Mariam Ali non ce l’ha fatta. Candidata per Democrazia solidale alle elezioni comunali a Roma nella coalizione di Centro-sinistra, la 20enne velata non è stata eletta. Portata a esempio di integrazione di successo, Mariam ha una sorella maggiore, Tasnim, che è una influencer con centinaia di migliaia di follower e pure lei indossa sempre il velo islamico. Mariam e Tasnim sono figlie di Sami Salem, l’imam di origini egiziane che guida la moschea di via della Magliana. Una bella famigliola integratasi – si direbbe – alla perfezione nella società e nella cultura italiane. Ah, il bello del multiculturalismo, la ricchezza di una società variegata e vivace!
Però, però.
Però magari dovremmo scavare un pochino. Scopriremmo qualche idea quanto meno discutibile. Leggiamo le parole del padre nell’intervista rilasciata a Geraldine Schwarz:
«Quando ci sono limitazioni esagerate nei confronti delle donne sono frutto dell’ignoranza. Mia moglie ad esempio può uscire con le amiche ma se sa che io torno alle sei, è giusto che alle sei prima del tramonto si faccia trovare a casa.»
– Sami Salem
Ah, ecco. Le limitazioni frutto dell’ignoranza sono quelle esagerate. E quando diventano esagerate, di grazia? Dove pone il limite esattamente? Perché – immagino – il principio non si tocca, ovvero che comunque qualche limitazione ‘ste donne debbano pur averla, diamine. Ché non sia mai che un uomo torni a casa la sera e non trovi sua moglie ad aspettarlo. Il contrario non vale, giusto? Ma l’intervistatrice muta: hai visto mai che Sami Salem s’incazzi nel sentirsi rimbrottare da una femmina. Proseguiamo:
«(…) un gesto come mettere l’hijab o sposare un musulmano diventano gesti naturali che le donne fanno per scelta, se sono educate bene dai loro padri.»
– Sami Salem
Solo io vedo una contraddizione fra «gesti naturali» e «educate bene dai loro padri»? Anche ‘sta cosa l’intervistatrice avrebbe potuto farla notare. E poi perché «dai loro padri»? Le madri non contano? Altre domande meritevoli di una risposta. Ma che cosa possiamo aspettarci da una giornalista che si presenta all’incontro velata per non disturbare l’intervistato e per precauzione dopo aver occultato il tau appeso al collo, simbolo della propria religione? Fatemi capire: le ragazze musulmane possono esporre i propri simboli religiosi, ma la giornalista cristiana, per non ferire la delicata sensibilità religiosa del loro papà, nasconde la croce?
La candidata velata, la sorella influencer e pure velata, il padre imam attivo in politica, aperto al dialogo con le istituzioni e la società e con una spolverata superficiale di femminismo apparente. Questa cosa ha un nome: pinkwashing. Cioè l’operazione di ripulitura dell’immagine dell’islam offuscata dalle accuse di patriarcato, misoginia, sessismo eccetera. «No no», dicono i musulmani desiderosi di sembrare moderni e aperti ai valori dell’Occidente. «L’islam non è così. L’islam protegge le donne. Di più: le valorizza. Il velo è un simbolo femminista indossato dalle musulmane in totale libertà. L’islam è una religione di pace, di tolleranza, di uguaglianza».
Non c’è alcun motivo per dubitare della scelta di Mariam e Tasnim Ali: sono giovani italiane libere e autonome. E guai a chiunque si permetta sia di imporre loro il velo sia di negare loro il diritto di indossarlo come, dove e quando vogliono. Ci mancherebbe.
Però, però.
Però, così come loro hanno il diritto di indossare il velo, noi abbiamo il diritto di dire che quel velo è il prodotto di una religione primitiva e patriarcale, secondo la quale una donna non è una brava musulmana e brucerà fra le fiamme dell’inferno se, esponendo la propria chioma, suscita pensieri peccaminosi negli uomini. Come se lo sguardo languido, il trucco pesante e il culo e le gambe affusolate fasciate nei pantaloni aderenti delle ragazze velate non fossero segnali sessuali e lasciassero indifferente il maschio etero quadratico medio: bella ipocrisia, no?
Soprattutto, noi abbiamo il dovere morale di ricordare che, per milioni di donne nei Paesi dove vige la Shari’a, il velo è un precetto religioso imposto con l’indottrinamento infantile, le pressioni psicologiche e la violenza. Chi si ribella è costretta a subire la riprovazione sociale, l’arresto, la prigione, le frustate, la morte. Dice qualcosa il nome di Nasrin Sotoudeh?
Allora indossare il velo qui, nell’Occidente libero e civile e moderno, significa legittimare un codice di abbigliamento misogino imposto altrove da una demenziale credenza arcaica. D’altronde è facile fare le musulmane velate in Occidente, ma provassero un po’ a fare le atee a capo scoperto in Iran o in Nigeria.
I simboli non sono mai neutri e indifferenti. I simboli si portano appresso storie, ideologie, credenze, quindi soprusi e sofferenze. Io potrei, da uomo libero, uscire per strada con un Magen David giallo cucito sul petto, ma non sarei un po’ stronzo? Non è proprio quello che pensiamo tutti noi, persone civili, dei no-vax che sbandierano la stella gialla come simbolo della repressione della dittatura sanitaria, atteggiandosi a vittime come gli ebrei nella Germania nazista? Ecco, appunto.
L’islam è davvero una religione patriarcale? Questo si dovrebbe chiedere al papà imam, alla figlia candidata e all’altra figlia influencer. E poi squadernare loro davanti il Corano e chieder loro ragione del suo contenuto. Per esempio, è vero o non è vero che la testimonianza di una donna vale la metà di quella di un uomo? Così sta scritto: Sura 2,282. È vero o non è vero che l’eredità di una donna deve essere la metà di quella di un uomo? Anche questo sta scritto: Sura 4,11. E ancora, è vero o non è vero che un uomo può, anzi deve picchiare la moglie insubordinata? Sta scritto pure questo: Sura 4,34. Infine è vero o non è vero che per Allah l’uomo è superiore alla donna? Così sta scritto: Sura 2,228 e anche Sura 4,34. Questo schifo è o non è puro e semplice patriarcato? Queste domande, più che al babbo, al quale il patriarcato può pure stare bene, dovrebbero essere poste a Mariam e Tasnim. Come possono delle giovani donne colte ed emancipate aderire a una religione nella quale sono considerate inferiori sia da Dio sia dagli uomini?
Ma poi sai che c’è? Anche chissenefrega. Voglio dire: se a qualcuno/a garba di aderire a un’ideologia che lo/la disprezza, saranno un po’ affaracci suoi. Insomma, esistono gli omosessuali cattolici, no? La gente fa scelte idiote e autolesioniste. Se un afroamericano vuole iscriversi al Ku Klux Klan o un’ebrea a un partito neonazista, chi siamo noi per giudicare? Abbiamo visto donne coperte fino alle unghie manifestare a favore dei talebani a Kabul, sostenendo che a loro piace essere educate in modo diverso e separato dagli uomini e che chi non indossa il velo fa del male a tutte. Contente loro…
Ciononostante non si può passare sotto silenzio la complicità nel pinkwashing islamico da parte dei corifei delle forze politiche progressiste, ossia lo schieramento che dovrebbe considerarsi erede dei Lumi e avere più a cuore il rispetto, la tolleranza, i diritti umani e la laicità, la razionalità, la lotta contro la superstizione e l’oscurantismo.
Invece pare che, se non ha il velo, la candidata di origine straniera non va bene, non è credibile, non si differenzia. Se si vuole promuovere l’integrazione, bisogna mettere in lista per forza – per forza, eh! – una tizia con lo straccio in testa. Cercare qualche laica, magari atea e arrivata in Italia per sfuggire alla cultura misogina e bigotta, faceva brutto? Era troppo difficile? Sono tutte bigotte le musulmane candidabili? Qualcuno fra codesti progressisti islamofili si è chiesto quali saranno le loro posizioni in materia di famiglia, di aborto, di divorzio, di diritti delle persone lgbt+, di libertà di espressione sulla religione, quando dovranno decidere in rappresentanza di chi le avrà votate?
Non si può non constatare la politica dei due pesi e due misure di questa Sinistra. Da un lato la critica legittima e dovuta al bigottismo cattolico misogino e omofobo di Pillon, agli orripilanti rosari di Salvini e all’identitarismo del presepe di Meloni. E ci sta tutta, quella critica. Ma dall’altro lato la totale cecità, anzi la complicità pavida e ipocrita verso il medesimo, identico bigottismo islamico, fino ad arrivare ad ammettere e addirittura inglobare e rivendicare l’esibizione plateale del simbolo religioso musulmano. Non si capisce perché la Sinistra islamofila non candiderebbe mai una bigotta di Comunione e Liberazione e invece non si fa alcun problema nel candidare una bigotta musulmana. Come se l’hijab facesse meno schifo del crocifisso e del rosario. Come se le idee di Sami Salem fossero meno spregevoli delle idee di Adinolfi.
Come si spiega l’islamofilia di codesti sedicenti progressisti? Azzardo tre ipotesi.
- Anzitutto c’è un senso di colpa irrisolto: siccome noi occidentali abbiamo colonizzato e represso le altre culture, ora dobbiamo accettare qualsiasi idea esse contengano. Pure se è una stronzata. Pure se la stessa stronzata la combattiamo quando la troviamo nella nostra cultura.
- Poi c’è la solidarietà verso gli immigrati a prescindere. Ora, che si debba essere solidali con chi arriva in Europa fuggendo da povertà, guerre e persecuzioni non ci piove. Che la xenofobia dei destronzi sia spregevole è scontato. Tuttavia non per questo degli immigrati dobbiamo accettare tutto. Se gli immigrati, pur con tutto il bene che vogliamo loro, hanno delle idee del cazzo, noi dobbiamo dire che le loro sono idee del cazzo. Gli immigrati sono da sostenere in quanto bisognosi di aiuto, però se si rivelano misogini e omofobi e bigotti sono da sfanculare come i misogini e omofobi e bigotti indigeni. Infatti gli immigrati devono essere responsabili delle proprie azioni e convinzioni come tutti, e considerarli eterne vittime a prescindere è una forma di razzismo al contrario. Semmai a maggior ragione bisogna difendere i diritti degli immigrati discriminati e perseguitati da altri immigrati, le minoranze delle minoranze, dunque ancora più neglette: le donne, gli omosessuali, gli atei. Qualche esempio? Vatti a leggere le esperienze raccontate da Muhammad Hisham Nofal e Yahya Mustafa Ekhou nel n. 5/2021 di «Nessun Dogma»: in quanto atei, sono stati ostracizzati, insultati e pestati da altri immigrati. Solidarietà dalla Sinistra islamofila? Non pervenuta.
- Infine c’è un bieco calcolo elettorale: le comunità di immigrati che hanno acquisito la cittadinanza iniziano a diventare interessanti bacini di voti. Voti che ovviamente non andranno ai destronzi, ma che nemmeno la Sinistra può dare per scontati e che perciò devono essere conquistati e fidelizzati. E certo non ci si riesce candidando delle donne emancipate, laiche e critiche verso il patriarcato. Meglio, molto meglio scegliere delle rassicuranti musulmane velate per far contenti i loro correligionari e poi propinare ai progressisti gonzi l’ossimoro del «femminismo islamico».
Beninteso queste sono spiegazioni, non giustificazioni. Nondimeno i progressisti islamofili provano a motivare la loro ottusa difesa a oltranza dell’islam e la loro decisione di candidare una bigotta velata.
Per cominciare affermano che quella particolare candidata è una donna libera e consapevole e nessuno si deve azzardare non solo a farle togliere il velo ma neppure a criticarla o a scandalizzarsi per la sua scelta religiosa.
Ebbene, che quella donna sia libera e consapevole non ho alcun dubbio. E mai e poi mai mi permetterei di imporle di girare a capo scoperto. Peraltro fa un po’ strano sentir difendere la libertà delle donne di coprirsi per un precetto religioso da parte delle stesse persone che si scandalizzano per il corpo femminile scoperto e oggettivizzato dalla pubblicità. Forse la modella che si presta a mostrare tette e culo accanto a un’auto non è consapevole e libera di fare con il proprio corpo ciò che più le aggrada? In realtà il problema non è la musulmana velata o la modella spogliata, bensì il messaggio inviato da quelle donne: è giusto e legittimo permettere agli uomini di gestire il corpo delle donne, per nasconderlo oppure per esporlo, per reprimere oppure per suscitare un’eccitazione sessuale.
Il problema non è il velo: se lo mettano pure, se vogliono. Il problema è la candidatura politica di una donna con idee bigotte, una donna che accetta la propria inferiorità e sottomissione all’uomo. Perciò quella candidatura può, anzi deve essere criticata. Perché una candidata con siffatte credenze di sicuro non assumerà posizioni progressiste in fatto di diritti umani e civili: è palese il conflitto insanabile fra, da una parte, la superstizione religiosa manifestata e rivendicata attraverso il simbolo e, dall’altra parte, i valori che dovrebbero ispirare una persona davvero di Sinistra.
In secondo luogo, messi di fronte alla loro islamofilia pregiudiziale, cioè alla contraddizione fra le loro critiche alla religione cristiana e la loro accettazione supina delle cazzate islamiche, codesti progressisti replicano, per esempio, che «(…) [il cristianesimo] è molto più rilevante per la mia vita, dato che vivo in Europa e mentre voi vi preoccupate delle donne che scelgono di indossare il velo, è in nome del cristianesimo che in Italia e in Europa vengono attaccati i diritti di milioni di persone». Traduzione: «In Europa l’islam non è un problema nemmeno paragonabile al problema del cristianesimo».
Mmm… sicuro? Sicuro sicuro? Dipende da come paragoniamo i problemi. Su un piano quantitativo, non c’è dubbio che la grande massa dei bigotti cristiani supera di gran lunga la minoranza dei bigotti musulmani. Sul piano qualitativo, invece… beh, sul piano qualitativo certo, molto c’è ancora da fare per la laicità dello Stato in tanti Paesi occidentali. Il potere della pretaglia vaticana in Italia è indiscutibile e stronca ogni tentativo di evoluzione legislativa civile del Paese. Altrove si sta pure peggio: la Polonia e l’Ungheria sono la prova lampante che si può non progredire e addirittura si può regredire. Eppure, per quanto la vita delle donne, delle persone lgbt+ e degli/delle atei/e sia scomoda e difficile in molti Paesi a maggioranza cristiana, non è neanche confrontabile con le discriminazioni, le persecuzioni e le violenze subite dove la maggioranza è musulmana, vale a dire nei Paesi dominati da un regime islamico ma anche in Europa all’interno delle comunità islamiche. Non solo: le persecuzioni e le violenze debordano al di fuori. Se io bestemmio o mando ‘affanculo il Papa, in Italia al massimo rischio una multa per blasfemia o per vilipendio a un capo di Stato straniero. Che è un sopruso, sia chiaro. Tuttavia dicono qualcosa i nomi di Mila e di Samuel Paty? Ci rendiamo conto di quanto, anche nel civile Occidente, sul piano qualitativo l’intolleranza e la violenza islamiche siano assai peggiori di quelle cristiane?
«I haven’t seen anybody coming out of a Catholic or Jewish school advocating violence against women or homosexuals, or wanting to murder innocent people in the name of their religion.»
– Ayaan Hirsi Ali
È allora il caso di candidare persone che dell’adesione a una fede bigotta, ottusa, dogmatica, irrazionale, intollerante, violenta, misogina e omofoba fanno un vanto?
Se tu ti permetti di dire «Bah» sull’islamofilia di questa Sinistra traditrice della laicità e della razionalità, ti senti subito apostrofare come islamofobo e come razzista. Come ho già spiegato, io la mia islamofobia la riconosco e la rivendico. Beninteso non verso i credenti, bensì verso l’idea. Infatti ogni idea deve poter essere criticata, demolita, perculata a piacimento. Sono islamofobo perché, più in generale, sono religiofobo: tutte le fedi fanno schifo. L’accusa di razzismo invece se la possono serenamente ficcare su per il culo, ché l’islam non è una razza e perciò dare del razzista a chiunque critichi una religione significa dimostrare una misera confusione di idee sulle identità ideologiche e le identità non ideologiche.
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