Una proposta di teodicea: se non ci fosse la sofferenza, l’esistenza umana sarebbe noiosa.
Infine qualcuno ha accolto la sfida della teodicea e ha fatto ciò che la sfida richiede: scrivere un articolo. Infatti Carlo mi ha inviato la sua argomentata spiegazione della sofferenza innocente.
Dio, il male e la sofferenza innocente
Se non esistessero il male e la sofferenza non esisterebbe nemmeno il mondo, il sig. Goldberg non gestirebbe alcun canale di comunicazione e io non sarei qui al computer a scrivere questo tentativo di esprimere il mio pensiero. Ma dato che ci sono, anche ci provo, guardandomi bene, però, dallo scomodare la teologia e cercando di coinvolgere soltanto la logica.
Dio onnisciente, onnipotente ed infinitamente buono dovrebbe intervenire per evitare che un bambino innocente muoia di cancro a tre anni tra atroci sofferenze. E dovrebbe ovviamente intervenire per via soprannaturale se la medicina – almeno allo stato attuale delle conoscenze – nulla può.
Sarebbe lecito attendersi che Dio intervenisse (lasciamo a Lui decidere come) anche per evitare che un sanissimo ed innocente bambino di tre anni muoia sotto un terremoto o venga violentato, torturato ed ucciso da un maniaco criminale. Anzi, in quest’ultimo caso il comportamento di Dio sarebbe ancora più grave in quanto non solo non ha fatto niente per impedire il delitto, ma ha anche dotato il maniaco di un libero arbitrio che è stato usato e forse potrà essere usato ancora per fini odiosi e criminali.
Detto questo, aggiungo che è un male anche quello fatto dalla ragazza nomade che mi ruba il portafoglio in metropolitana, lasciandomi così senza documenti e magari senza i soldi della mia modesta pensione che ho appena ritirato alla Posta. Anche questo evento provoca sofferenza. Ma è ovvio che il paragone è improponibile e che il buon senso mi impedisce di imprecare contro Dio che non ha fulminato la ragazza prima che mi rubasse il portafoglio.
È quindi una questione di misura?
In una scala da 0 a 100 dove mettiamo l’asticella? Supponiamo di porla a 90, considerandolo un limite di sofferenza oltre il quale è lecito attendersi un intervento soprannaturale di Dio.
Vuol dire che fino a 89,9999 (dopo la virgola aggiungiamo quanti 9 vogliamo) consideriamo il male e la sofferenza come inevitabili e facenti parte del mondo?
Ma fra chi soffre a quota 89,9999… e chi soffre a quota 90 che differenza c’è? Quello sotto direbbe a Dio che il suo senso della giustizia fa schifo e gli chiederebbe di abbassare, seppur di pochissimo, il limite per il suo intervento soprannaturale: cosa che chiunque considererebbe giusto aspettarsi da un Dio onnipotente e di infinita bontà e quindi di disponibilità.
Il cerino e le stesse considerazioni passerebbero poi a chi è in quota 89,999…8 e così via a scendere per i gradini della lunghissima scala fino ad arrivare a quota zero, ove il male e la sofferenza non esisterebbero in alcuna forma, comprese quelle dipendenti da fattori naturali (come la fame, la sete, il freddo) e di conseguenza non esisterebbe nessuna delle attività che al male e alla sofferenza sono collegate.
Inutile pretendere di fermarsi lungo la discesa in quanto si formerebbero sempre delle fasce grige da eliminare a vantaggio di chi sta sotto.
Insomma, Dio, accogliendo tutti gli appelli rivoltigli, avrebbe finalmente realizzato la fine del Male, cioè – per dirla con Choam Goldberg (cfr. il suo articolo «La sfida della teodicea») – «di ogni forma di sofferenza non voluta di un essere dotato di un sistema nervoso sviluppato, ossia ogni condizione di dolore fisico e psicologico dalla quale un essere senziente rifugge se può».
Quindi:
non esisterebbero ospedali, medici, infermieri, case farmaceutiche, autisti di ambulanze, ecc.,
non esisterebbero tribunali, giudici, avvocati, carceri, secondini, ecc.,
non esisterebbero l’esercito, i carabinieri, la polizia, i pompieri, i controllori sui tram, ecc.,
non esisterebbero le aziende alimentari, gli stabilimenti termali, gli installatori di sistemi di sicurezza, ecc.,
non esisterebbero nemmeno le scuole, il lavoro, le banche, i soldi, ecc., perché non avrebbero scopo alcuno,
(…)
Per farla breve (ma l’ho già fatta lunga e mi scuso) non esisterebbe nessuna attività perché nessuno avrebbe bisogno di niente. Nemmeno io e il sig. Goldberg – per tornare all’inizio di questo mio scritto – saremmo qui a leggere e scrivere, sia perché non avremmo alcun argomento, sia perché a leggere e scrivere non ci avrebbe insegnato nessuno (che necessità c’era?).
Verremmo al mondo senza il travaglio di una donna e trascorreremmo tutta la nostra vita intenti solo ad ascoltare musica celestiale finché, arrivata l’ora per noi stabilita, ci libreremmo in Cielo, trasformati in petali di rosa.
Ma a questo punto non ci resterebbe che chiedere alla bontà infinita di Dio un piccolo ultimo sforzo: ci risparmi questo pallosissimo paradiso terrestre e passi subito alla successiva e ultima fase del suo lavoro facendoci entrare direttamente nel paradiso vero, dove almeno – speriamo – non ci annoieremo.
Mi lancio in una proposta di conclusione:
Dio Padre dovrebbe prendersi la massima cura delle sue creature ed essere sempre sensibile alle loro richieste di soccorso (vale – implicitamente – anche per il mondo animale), ma c’è il rischio che la sua infinita Disponibilità lo porti ad esagerare nei suoi interventi di copertura fino a rendere la vita (almeno quella umana) priva di alcun bisogno e quindi priva di qualsiasi motivazione.
Ma poi: quale credibilità avrebbe un dio che pone in atto degli «interventi» quando nulla dovrebbe essere sfuggito alla sua programmazione ab aeterno?
E d’altronde che senso hanno espressioni – usate nel linguaggio corrente, soprattutto dei preti – del tipo: dio ti ascolta, dio ti punisce, dio ti perdona, dio di mette alla prova, dio ti dà un’altra possibilità, come se la nostra vita scorresse in contemporanea con l’eternità di dio e dio si riservasse di decidere in quali momenti della sua eternità intervenire per adottare – volta per volta, ma sempre durante la sua eternità – comportamenti ed atteggiamenti su misura per ogni singolo essere vivente?
Mistero della fede? No, la fede e i misteri non c’entrano proprio niente con queste mie riflessioni.
«Sfida della teodicea»? Affascinante, ma, se proprio dobbiamo lanciare una sfida, io personalmente preferirei – se non altro per sollecitare l’esercizio dialettico – una «sfida dell’asticella». Sono sicuro che qui i pareri fioccherebbero a iosa e sarebbe veramente divertente metterli tutti a confronto.
Stop alle riflessioni e un cordiale saluto.
Carlo
Prima di rispondere, riassumo per punti gli argomenti di Carlo.
- Non è chiaro in quali casi Dio dovrebbe e in quali non dovrebbe intervenire per impedire il dolore di qualcuno.
- Una possibilità potrebbe consistere nel porre una soglia oltre la quale Dio interviene e al di sotto della quale invece lascia correre.
- Tuttavia, siccome la soglia è arbitraria e chiunque si trovasse al di sotto si sentirebbe scontento, alla fin dei conti Dio dovrebbe intervenire sempre.
- Se però Dio intervenisse sempre, non sussisterebbe mai alcun bisogno, poiché – si sottintende – ogni bisogno insoddisfatto è una forma di sofferenza.
- Un’esistenza priva di bisogni sarebbe un’esistenza noiosa perché priva di motivazioni e allora tanto varrebbe rinunciare alla vita terrena e andare dritti filati in paradiso.
Non raccolgo la sfida dell’asticella proposta da Carlo alla fine del suo articolo per una ragione molto semplice: sono d’accordo con lui. L’asticella dovrebbe essere posta a 0. Ovvero: Dio dovrebbe impedire ogni sofferenza. Non solo: proprio come Carlo, anch’io penso che Dio non dovrebbe intervenire affatto, creando piuttosto un universo privo di sofferenza ab initio.
Il nocciolo dell’argomento di Carlo, sul quale dissento, è che la sofferenza è necessaria e Dio la permette perché, in sua assenza, l’esistenza delle creature senzienti sarebbe noiosa. Se non ci mancasse qualcosa o se non avessimo qualcosa a infastidirci, non avremmo alcuno stimolo per pensare, imparare, inventare. Che palle! Per tanto così, Dio potrebbe fin dal principio farci vivere in paradiso.
Giustappunto. Per quale motivo Dio non ci ha creati fin da subito affinché vivessimo in sempiterna e non noiosa – Carlo stesso nutre la speranza che non sia noiosa – felicità? Se una felicità senza noia è possibile, Dio potrebbe darcela. Ed è possibile: in paradiso i santi e i beati sono felici e non si annoiano. Quindi si può fare. Dio onnipotente può farlo e lo fa. Ma non qui.
Infatti Dio, per non annoiarci durante la nostra vita terrena, ci impone supplizi spesso atroci e insensati. In che modo la morte di Alice dopo una tortura terrificante dovrebbe rendere l’esistenza – di chi?… di Alice?… di altri? – più interessante? Boh. Mi chiedo se Carlo, trovandosi al posto di Alice, pure lui sommerso dal dolore e dalla paura, pure lui schiacciato dalle macerie e senza alcuna speranza di essere salvato, continuerebbe a pensare che anche quella sua esperienza è permessa da Dio per rendere la vita interessante e non noiosa.
Sicché no, nemmeno la teodicea di Carlo – senza un po’ di sofferenza la vita sarebbe noiosa – regge. Dio è onnipotente, perciò avrebbe potuto farci vivere un’esistenza interessante e senza neanche un dolorino piccino picciò.
Invece Alice muore, e muore male. Dunque Dio o non è buono o non è onnipotente. Oppure non è né buono né onnipotente, perché non esiste.
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Il punto è che la sofferenza non è un accidente in questo mondo. E’ la regola! Per sopravvivere un organismo vivente deve mangiare gli altri, evitare di essere mangiato e comunque lottare per ogni risorsa. Tutto questo infliggendo sofferenza a destra e manca.
Guardando al funzionamento del mondo come si fa a pensare che un eventuale Dio creatore sia “buono”?
Infatti un Dio buono ci avrebbe fatti sopravvivere tutti usando solo la fotosintesi clorofilliana.
Temo che sia un gatto che si morde la coda e che rischiamo di andare fuori tema. La noia è sofferenza, la mancanza di sofferenza è noia. Come usciamo dal paradosso? Non ne usciamo.
Carlo
Se in un mondo senza dolore restasse solo la noia, sarebbe quella la nostra sofferenza, e la necessità di combatterla porterebbe comunque al progresso umano: si svilupperebbero giochi, arte e tutto ciò che serve a conoscere, esplorare e superare i limiti umani.