Non è la parola ultima della filosofia. E porta a risposte abominevoli pur di salvare un a priori fideista.
In fondo speravo che Adriano Virgili rispondesse al mio articolo sulla teodicea paracula. E lui ha risposto. Non solo: ha risposto con onestà intellettuale, senza sottrarsi alle due domande finali. Con altrettanta onestà intellettuale replico brevemente.
Tutta la risposta di Virgili – che almeno avrebbe potuto avere la buona creanza di citare il mio nome, così come io ho citato il suo, ma queste sono quisquilie – è costruita sulle categorie della metafisica tomista e si muove in quel quadro concettuale. Facci caso: è tutto un citare Platone, Aristotele, Agostino, Tommaso, Leibniz. Lui si muove dentro lì: potenza, atto, forma, essenza, finalità.
Le affermazioni della metafisica tomista Adriano Virgili le cala dall’alto, in modo apodittico: quella per lui è l’unica possibile razionalità. La parola ultima della filosofia al di fuori della quale ci sono solo ingenuità, semplicismo, superficialità, forse perfino ignoranza, di sicuro spinte irrazionali.
Se le risposte che abbiamo fornito possono suonare insoddisfacenti, elusive o «paracule» a un orecchio non avvezzo al linguaggio della metafisica, ciò non dipende da una loro presunta vacuità, ma, al contrario, dalla loro densità. Esse presuppongono un universo concettuale, una grammatica del pensiero – quella del teismo classico – che il nostro critico sembra ignorare o voler deliberatamente scartare. È come tentare di spiegare la meccanica quantistica a chi si rifiuta di andare oltre la fisica di Newton: le conclusioni appariranno sempre paradossali o assurde.
Peccato che la meccanica quantistica e la metafisica tomista non abbiano affatto le stesse qualità epistemiche. La prima gode di una quantità enorme di verifiche sperimentali ed è entrata a far parte della conoscenza del mondo acquisita dagli umani. La seconda è una scuola di pensiero fra molte, alla quale è legittimo non aderire e alla quale preferire altro, con fondamenti concettuali diversi, più parsimoniosi e – en passant – più umani.
Invece per Adriano Virgili chi non aderisce alla metafisica tomista, chi non le riconosce alcuna autorevolezza, chi segue una scuola di pensiero differente dev’essere ignorante e/o superficiale e in tutta evidenza mosso da altre pulsioni. Pulsioni non razionali. Nobili ma pur sempre solo pulsioni: non ragionamenti, non conoscenza.
Questo è il nucleo della critica di Virgili: poiché Choam Goldberg non accetta la metafisica tomista, poiché non si rende conto della profondità di pensiero e della conoscenza della realtà acquisita grazie al pensiero tomista, allora Choam Goldberg nasconde dietro un velo di apparente razionalità quelli che in realtà sono i suoi moti di stizza.
Ora, i miei moti di stizza ci sono eccome. Nel mio articolo io l’ho detto in modo chiaro: c’è anche Ivan Karamàzov. Anche. Ma ben prima di Ivan Karamàzov c’è un’argomentazione razionale, nella quale le emozioni non giocano alcun ruolo: pure questo l’ho detto. L’indignazione e la ribellione di Ivan sono un «di più», che aggiunge una dimensione umana a una riflessione astratta e razionale. Una riflessione al di fuori della metafisica tomista. Che no, non è l’ultima parola possibile in filosofia. C’è chi ha ragionato e tuttora ragiona con categorie e concetti diversi e arriva a conclusioni diverse.
La Natura è ed è come è: la vedo, la osservo, la esploro, la conosco. La Natura è l’Essere. Non esistono delle «essenze», ma solo gli oggetti, gli eventi, lo spaziotempo, le leggi che li descrivono. Il divenire e la molteplicità non sono un problema, poiché lo spaziotempo fa parte della Natura. Non esistono finalità metafisiche ma solo naturali: i viventi cercano di sopravvivere. La Natura è come è, con le proprie leggi, dalle quali non è necessario desumere l’esistenza di un’Intelligenza creatrice. Lasciamo il reverendo Paley in campagna a elucubrare sugli orologi e andiamo avanti.
Il resto della replica di Virgili è una reiterazione degli stessi argomenti del suo libro, dei quali nell’articolo egli espone il fondamento – indovina un po’ – nella metafisica tomista.
Alla fine, in modo intellettualmente onesto, Adriano Virgili risponde alle due domande che pongo nel mio articolo. Proprio per questo io gli rispondo adesso qui.
Dio non può o non vuole? Dio non vuole.
Se non vuole, è comunque buono? Sì, Egli è buono.
Sulla base di tutto il resto, non potevano essere risposte differenti.
Voglio ringraziare Adriano Virgili. Finora nessun apologeta aveva avuto l’onestà intellettuale di rispondere in modo esplicito. E sì, le sue risposte al mio orecchio suonano brutali, crudeli, mostruose e ripugnanti. Dovrebbero suonare ripugnanti all’orecchio di qualunque umano decente. Io non sono nel foro interiore di Virgili e non pretendo di sapere che cosa sente lui, ma mi piace pensare che suonano ripugnanti anche per lui e che suonavano ripugnanti anche per Agostino, Tommaso, Leibniz e compagnia pensante. Loro però, pur di salvare l’a priori fideista del Dio onnisciente, onnipotente e buono, hanno costruito quell’edificio filosofico che è la metafisica tomista, costretta a inventare concetti inutili e a ridefinire Dio, la Bontà, il Bene e il Male a costo di rendere Dio un mostro abominevole per la sensibilità umana. Ai loro occhi quel Dio ripulito si salva dall’abominio, così possono continuare a credere nella sua esistenza, come hanno sempre fatto ma per tutt’altre ragioni, che con la metafisica tomista non c’entrano niente.
Io non ho bisogno di questa ipotesi. Non ne ho mai avuto bisogno, fin dal mio primo sguardo sulla realtà. Perciò non ho bisogno di salvare niente e della metafisica tomista non so che farmene.
Natura sive Deus? Certo. L’ho già detto che a me non serve altro?
Post Scriptum:
Adriano Virgili ha ragione: parliamo lingue diverse perché partiamo da assunti, approcci e perfino sensibilità diverse. Le posizioni di entrambi sono chiare e argomentate e non ritengo che proseguire il confronto possa condurre a cambiamenti di opinione dell’uno o dell’altro. Però oh, pe’ quassi cosa, a ‘sposizione.
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Caro Choam, non commento, per ora.
Ho stampato il testo, un testo lungo (24 pagine!) che non può essere letto distrattamente, ma meditato. Ci vuole un tempo che ora non ho. Leggerò appena possibile.
Allora perché questo “non commento”? Ecco la spiegazione: i testi lunghi e i discorsi lunghi sono sempre defatiganti e talvolta ripetitivi. Perché impegnare un’ora e più per leggere o ascoltare ciò che potrebbe essere esposto in dieci minuti? Il rasoio di Occam vale anche qui.
Con l’occasione ti esprimo pure il mio dubbio (per quel poco che vale) sull’opportunità di partecipare a Illuminismo 3.0, perché 2 ore e + di chiacchiere sono per me insopportabili.
La psicologia applicata insegna che esiste una “curva dell’attenzione” che consiglia di non superare i 20-30 minuti per mantenere vivo l’interesse di chi ascolta.
Durante la live sono state presenti circa 120 persone fino alla fine. Dopodiché fino a questo momento ha già raccolto più di 1’600 visualizzazioni.
Anche i contenuti lunghi hanno degli estimatori.
D’altronde, se nessuno apprezzasse il long reading, i libri nemmeno esisterebbero più.
Volevo scrivere la stessa cosa. Non nego la capacità di filosofare di Virgili, anzi lo fa in modo eccellente. Penso sia uno dei migliori dialoghi tra Choam e un credente. Ma la divinità che descrivono è un’entità astratta, distante e appunto filosofica, a dispetto dei commenti entusiasti dei soliti apologeti ultracattolici sotto l’articolo. Cos’ha tale divinità da spartire con Gesù figlio di dio, anzi incarnazione di dio, morto e risorto, che spedisce all’inferno chi non crede in lui? E come lo spiega Virgili satana, il peccato originale, la dannazione, la transustanziazione, la verginità della madonna?
Ti seguo da parecchio tempo; sono “ateo” (anche se non mi piace definirmi con qualcosa che non sono piuttosto che con cosa sono ma è una mia idiosincrasia). Sono iscritto al tuo canale e agli altri omologhi (non occorre specificare quali) e vorrei dare un mio parere sul concetto del dio che usi. Secondo me al posto del dio “abramitico” citerei il dio ” confezionato e spacciato dalla Chiesa Cattolica”, usando naturalmente una espressione più sintetica. Un saluto e un incoraggiamento!
Buongiorno. Ho letto sia la tua critica al libro, sia la risposta dell’autore, sia la tua risposta alla risposta e nella mia infinita ignoranza mi chiedo: ma non siamo sempre davanti allo stesso tema del dio filosofico e del dio abramitico? Mi pare che quell’autore abbia descritto il dio dei filosofi, un dio inconoscibile , un prodotto speculativo , che manca di ogni prova di esistenza, quanto di non esistenza….il problema è quando quel dio lo si vuole calare nelle descrizioni bibliche , dove diventa un dio criticabile sia nelle sue azioni, sia nelle sue intenzioni…
Sbaglio o non ho capito un cappero di tutta la diatriba?
Hai centrato perfettamente la questione.
D’altronde con loro è così: se gli parli del Dio abramitico ti rispondono con il Dio filosofico, ma se poi vuoi discutere del Dio filosofico tornano al Dio abramitico. Non se ne viene fuori.
Esatto! Quanto la menano su quell’ “Abbà” con cui Gesù si rivolge al Padre (che sarebbe un “babbino” nella traduzione odierna). E’ tutto un ripetere che il nostro è un Dio “Vicino”, “Che si fa uomo” al quale chiedere con fiducia. E poi, se vai a vedere il bluff, facendo le domande “stupide” (che nelle questioni religiose sono le più importanti) ecco che tutto va a nascondersi dietro il paravento dell’inconoscibilità del Mistero.