La suprema contraddizione di Dio

Non intellexistis, non intelligitis, nec intellecturi estis.


Dio è inconoscibile, dicono i credenti sulla base delle Scritture. Scritture però che di quel Dio parlano parecchio, alla faccia della coerenza. Dario spiega a quale conclusione conduce l’imperscrutabilità divina. Con un paradosso finale.


1. L’errore fondamentale di credenti e non credenti

Ovviamente Dio non esiste. Tuttavia il dibattito sulla teodicea è mal posto fin dall’inizio. Da una parte gli apologeti si sforzano di salvare la coerenza logica di un Dio buono e onnipotente di fronte all’esistenza del Male. Dall’altra gli atei provano a demolire queste difese proponendo alternative morali o logiche. Ma entrambi in fondo stanno giocando con un’illusione: l’idea che il Dio abramitico sia conoscibile, analizzabile, comprensibile almeno in parte.

Il punto, ignorato da molti, è che secondo le stesse Scritture Dio è e rimane imperscrutabile. Sempre. Su tutto.

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I credenti non credono in Dio

Se Dio esistesse davvero ma nessuno ne avesse mai parlato ad altri, quanti ci crederebbero?


I credenti non credono in Dio (o negli dèi): suona provocatorio, quasi un paradosso, ma è esattamente la tesi con la quale Dario chiude questa trilogia critica sulla religione. Chi dice di credere in Dio crede in realtà a ciò che altri esseri umani hanno raccontato su Dio.


Fin dall’infanzia ci viene narrata una storia: esiste un Essere supremo che ha fatto questo e quello, ha dettato regole, ha compiuto prodigi e ha scritto o ispirato libri sacri. Ma di quella storia noi conosciamo solo le parole di altri esseri umani. Nessuno di noi ha mai ricevuto il manoscritto autografo di Dio né una telefonata dall’Aldilà. Abbiamo ascoltato dei racconti, letto dei testi antichi, partecipato a dei rituali inventati da esseri umani. Abbiamo creduto a loro. In poche parole: il credente medio non ha fede in Dio in quanto tale bensì in una tradizione umana che parla di Dio.

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Breve storia di Dio

Dalla Natura fino all’astrazione totale.


Dio muta, cambia, evolve. Ovviamente non Dio, bensì il concetto di Dio. Dario ripercorre la sua storia e osserva un Dio che passa dalla Natura all’umanità alla trascendenza, diventando sempre più impalpabile, rarefatto, indefinibile. E alla fine scompare.


Dio non è nato onnipotente, onnisciente e imperscrutibile. Non è sempre stato un’entità fuori dallo spazio e dal tempo, perfetta e assoluta. È stato prima bestia, poi uomo, poi idea. Un concetto che si è adattato ai bisogni delle civiltà, cambiando pelle per sopravvivere alle epoche.

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La coerenza di Dio nelle Sacre scritture

Dio è buono. Ma in che senso? Se leggiamo le Sacre scritture, scopriamo che l’idea più comune e popolare della bontà divina è ingenua e sbagliata. Perché anzitutto Dio è coerente.


R. smonta il sillogismo sulle teodicea demolendo una delle sue premesse.


Introduzione

Un argomento spesso avanzato per dimostrare l’impossibilità logica dell’esistenza di un Dio contemporaneamente onnipotente e buono così recita: come è possibile che un Dio onnipotente e buono permetta la sofferenza innocente nel mondo? Se Dio fosse onnipotente, potrebbe eliminare la sofferenza; se fosse buono, dovrebbe volerlo fare; poiché la sofferenza esiste, Dio risulta o non onnipotente o non buono. Di conseguenza l’esistenza del Dio cristiano è logicamente insostenibile.

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O più potenti o più buoni di Dio

In ogni caso migliori.


Il Male non esiste in Natura. Ok, l’ho detto: il Male non esiste in Natura. Ma allora, se il Male non esiste in Natura, come sta in piedi la prova della non esistenza di Dio fondata proprio sull’esistenza del Male? Semplice: basta intendersi sul concetto di Male.

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L’insospettabile

Lui, proprio lui fornisce un ottimo argomento contro la resurrezione di Cristo.


Il dogma centrale del cristianesimo è la resurrezione di Gesù Cristo. Lo dice Paolo:

Noi dunque predichiamo che Cristo è risuscitato dai morti. Allora come mai alcuni tra voi dicono che non vi è risurrezione dei morti? Ma se non c’è risurrezione dei morti, neppure Cristo è risuscitato! E se Cristo non è risuscitato, la nostra predicazione è senza fondamento e la vostra fede è senza valore. Anzi finiamo per essere falsi testimoni di Dio, perché, contro Dio, abbiamo affermato che egli ha risuscitato Cristo. Ma se è vero che i morti non risuscitano, Dio non lo ha risuscitato affatto. Infatti, se i morti non risuscitano, neppure Cristo è risuscitato. E se Cristo non è risuscitato, la vostra fede è un’illusione, e voi siete ancora nei vostri peccati. E anche i credenti in Cristo, che sono morti, sono perduti. Ma se abbiamo sperato in Cristo solamente per questa vita, noi siamo i più infelici di tutti gli uomini.
– 1 Corinzi 15,12-20

Ebbene Paolo – san Paolo, l’apostolo dei gentili, proprio lui, mica l’ultimo coglione – fornisce un ottimo argomento contro la plausibilità della resurrezione di Cristo.

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Un’idea abominevole

Ma anche un’invenzione geniale, se ci pensi.


«Dio è Amore. Dio ti ama. Dio ama te, proprio te, con tutte le tue debolezze e imperfezioni e con tutte le tue colpe. Dio ti ama così tanto che ha sacrificato suo Figlio, cioè sé stesso, per te e per la tua salvezza»: questa è la manfrina propinata oggi dalle religioni abramitiche, in particolare dalle varie confessioni cristiane. L’islam è rimasto attaccato a una divinità sì misericordiosa, ma anzitutto arcigna e giudicante. Anche per il cristianesimo una volta era così: sì sì, Dio ti ama, però soprattutto ti giudica e, se necessario, ti punisce. Sulla punizione i cristiani contemporanei invece tacciono. E dimenticano l’inferno.

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Elogio di Giuda

Nel piano di salvezza era indispensabile quanto Gesù. Però brucia all’inferno per l’eternità e sarà vituperato da chiunque fino alla fine dei tempi.


A sentire gli apologeti bigotti, un solido argomento in favore della verità del messaggio cristiano sta nel destino terreno del suo fondatore: poiché fu ucciso nel più umiliante dei modi come il più spregevole degli uomini, Gesù dev’essere davvero il Figlio di Dio. Siccome sembra assurda, questa storia non può essere stata inventata: i suoi seguaci si sarebbero vergognati e non avrebbero tramandato la sua vicenda. Siamo sempre lì: «Credo quia absurdum». Ovvero: «Più grossa è la cazzata e più io ci credo, ché a credere nelle cose ragionevoli c’è poco merito agli occhi di Dio». Sottovalutando la capacità tutta umana di Pietro, Giacomo, Paolo e compagnia credente di convivere con le dissonanze cognitive e di continuare a credere nelle stronzate anche quando ormai sono conclamate. Superfluo aggiungere che, se invece Gesù avesse goduto di un immediato e strepitoso successo terreno, proprio quella sarebbe stata la prova della verità del suo messaggio. Maometto sta lì a dimostrarlo per centinaia di milioni di musulmani. Insomma, che il fondatore fallisca o abbia successo, tutto fa brodo per rassicurare chi già crede per tutt’altri motivi e vuole cercare una conferma purchessìa, a costo di farsi andar bene tutto o il contrario di tutto. La falsificabilità dell’ipotesi sta a zero e vaffanculo a Popper.

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Libertà? Ma quale libertà?

Io non sono libero e Dio non è solo un osservatore e soprattutto è stronzo.


Secondo i credenti, il grande dono di Dio fin dall’origine dei tempi è il libero arbitrio. Dio non voleva delle marionette, bensì delle creature libere e indipendenti. Tuttavia la libertà implica la capacità di sbagliare: cosa che gli umani hanno fatto fin dal principio, mangiando il frutto dell’albero della conoscenza. E la fanno tuttora: si ribellano a Dio quando compiono un atto in contrasto con le prescrizioni divine. Cattivi che sono, gli umani. Ma, ammesso pure che esista – e ci sono motivi a strafottere per dubitarne –, che razza di dono è il libero arbitrio?

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«Dio è il Bene!»

Una supercazzola che sembra sofisticata ma che non risolve niente.


Quando si osserva il mondo per cercare di capire com’è, nessuno è una tabula rasa. Tutti abbiamo ipotesi pregresse. Quelle ipotesi vanno poste a confronto con la realtà e, se vengono smentite, vanno rigettate. In questo consiste l’onestà intellettuale: la capacità di rinunciare alle proprie ipotesi di fronte a prove contrarie cogenti. E per questo la sofferenza innocente è un incubo filosofico per i credenti abramitici: siccome per loro l’esistenza di un Dio onnisciente, onnipotente e buono è un dogma indiscutibile e irrinunciabile, il confronto con l’evidenza innegabile del dolore dei bambini li costringe a masturbazioni intellettuali e a supercazzole filosofiche oltre il limite del ridicolo. Sono le teodicee, una più assurda e demenziale dell’altra.

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