La coerenza di don Leonardo

In primo piano

Il parroco con la schiena dritta contro i parrocchiani ipocriti e mentecatti

Video:
Una sofferta ma inevitabile scelta di vita
Ringraziamenti e precisazioni sulla mia sospensione, prima parte
Ringraziamenti e precisazioni sulla mia sospensione, seconda parte

Qualsiasi reazione a questo o altri video che non sia preceduta da una risposta alla domanda precisa formulata nella sfida della teodicea sarà considerata una provocazione indegna di attenzione e verrà ignorata.

Perché la maschera e il filtro vocale? Perché il turpiloquio? Perché tanto odio verso Dio?
Le risposte sono nelle FAQ de L’Eterno Assente.
Ogni domanda la cui risposta è già nelle FAQ verrà cancellata dai commenti.

Se vuoi esprimere la tua opinione su questo video, scrivi a leternoassente@gmail.com

Il Male e il minimalismo filosofico

Non è finita finché non è finita.


No, non è finita. La discussione sul Male, iniziata con l’articolo sulla teodicea paracula, è ancora aperta. Ora tocca a Cristian Arcidiacono esporre il proprio pensiero.


Prima premessa: da ateo, leggendo l’articolo di Adriano Virgili, ho trovato alcuni aspetti interessanti che intendo analizzare. Sono un follower del blog e del canale YouTube de L’Eterno Assente, ma non sono qui in quanto suo avvocato, bensì solo per esporre le mie riflessioni. Non voglio necessariamente aprire un dibattito. Non mi aspetto necessariamente una risposta da parte di Adriano Virgili. L’importante per me è non essere considerato qualcuno che desidera lo scontro a tutti i costi.

Seconda premessa: ho seguito solo parzialmente la diatriba tra Choam Goldberg e Adriano Virgili e non ho letto il libro dal quale è partita. Quindi si tenga conto di questo: io mi baso soltanto sull’articolo di Virgili.

Terza e ultima premessa: la mia risposta ad Adriano Virgili vorrebbe essere completa ma non lo è. Infatti mi sono reso conto che vengono discussi tanti (troppi!) temi e non riesco a sviscerarli tutti. Per cui le mie critiche sono indirizzate solo a specifici punti delle sue argomentazioni.

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Misterioso e molto molto tradizionale

La sfida della teodicea affrontata da un credente baha’i.

Fra tutte le religioni abramitiche, la più presentabile e decente è la fede baha’i, un ramo scismatico – e per questo perseguitato – dell’islam sciita. In passato mi è capitato di avere a che fare con alcuni seguaci di Bahá’u’lláh e sempre ho incontrato persone aperte, tolleranti, civili, moderne e perfino razionali, a modo loro e compatibilmente con la credenza nel Dio abramitico. Cioè poco, però gli altri monoteismi stanno messe molto peggio. Ora anche Samuel, un fedele baha’i, mi ha scritto per proporre la propria risposta alla sfida della teodicea.

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Superata la sfida!

Ancora un apologeta. Stavolta un giovane prete. Ci prova e ce la fa.


Dopo una settimana esatta dal miserevole tentativo precedente, ricevo un email da un altro apologeta. Stavolta un prete. L’argomento è lo stesso: la sfida della teodicea. «Un altro che non avrà capito», penso.

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Un altro ci prova e fallisce

Poi s’incazzano quando io li perculo chiedendo se ci sono o ci fanno.


La montagna Massimo Zambelli, dopo mesi di riflessioni, ha generato il topolino, cioè la sua risposta alla sfida della teodicea. Per essere proprio sicuro che io gliela pubblicassi, l’ha accompagnata con un video nel quale propone le solite divagazioni ad minchiam che sono il suo marchio di fabbrica e poi fa leggere il testo a una voce sintetica.

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La teodicea paracula

Se ridefinisci il Bene, ridefinisci il Male, ridefinisci pure Dio, alla fine ti trovi con una teodicea inutile perché non fornisce alcun sollievo agli umani. Stupooore!


Io sono una persona semplice. Il mio è un pensiero minimalista, senza fronzoli. Il più semplice possibile, ma non più semplice del necessario. Soprattutto è un pensiero che desidera una verità se non assoluta almeno razionale, difendibile con argomenti convincenti. Perciò si sforza di prescindere dalla soggettività. In particolare le mie emozioni sono soggettive e non devono influenzare il mio pensiero. Per esempio, io ho paura della morte. Anzi no: ho paura del morire. Tuttavia non permetto alla paura del morire di influenzare il mio pensiero fino a indurmi a credere di essere immortale. Sicché, quando mi interrogo sull’essere e sul dover essere, cerco di mantenermi il più possibile distaccato.

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La suprema contraddizione di Dio

Non intellexistis, non intelligitis, nec intellecturi estis.


Dio è inconoscibile, dicono i credenti sulla base delle Scritture. Scritture però che di quel Dio parlano parecchio, alla faccia della coerenza. Dario spiega a quale conclusione conduce l’imperscrutabilità divina. Con un paradosso finale.


1. L’errore fondamentale di credenti e non credenti

Ovviamente Dio non esiste. Tuttavia il dibattito sulla teodicea è mal posto fin dall’inizio. Da una parte gli apologeti si sforzano di salvare la coerenza logica di un Dio buono e onnipotente di fronte all’esistenza del Male. Dall’altra gli atei provano a demolire queste difese proponendo alternative morali o logiche. Ma entrambi in fondo stanno giocando con un’illusione: l’idea che il Dio abramitico sia conoscibile, analizzabile, comprensibile almeno in parte.

Il punto, ignorato da molti, è che secondo le stesse Scritture Dio è e rimane imperscrutabile. Sempre. Su tutto.

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Quale prova per Dio?

Che cosa servirebbe per convertirmi. Però.


Secondo Karl Popper, una teoria è scientifica non quando può essere verificata, ma quando può essere falsificata. Occhio però: non quando è falsa, bensì quando si può immaginare che cosa la renderebbe falsa. In sintesi estrema: un’affermazione scientifica si assume il rischio del fallimento. Più in generale ogni affermazione sulla realtà, per essere razionale, deve essere messa alla prova non per confermarla ma per cercare di demolirla. Se invece per sostenerla vale tutto e il contrario di tutto, allora grazie al cazzo: sono solo parole in libertà, del tutto prive di valore epistemico.

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I credenti non credono in Dio

Se Dio esistesse davvero ma nessuno ne avesse mai parlato ad altri, quanti ci crederebbero?


I credenti non credono in Dio (o negli dèi): suona provocatorio, quasi un paradosso, ma è esattamente la tesi con la quale Dario chiude questa trilogia critica sulla religione. Chi dice di credere in Dio crede in realtà a ciò che altri esseri umani hanno raccontato su Dio.


Fin dall’infanzia ci viene narrata una storia: esiste un Essere supremo che ha fatto questo e quello, ha dettato regole, ha compiuto prodigi e ha scritto o ispirato libri sacri. Ma di quella storia noi conosciamo solo le parole di altri esseri umani. Nessuno di noi ha mai ricevuto il manoscritto autografo di Dio né una telefonata dall’Aldilà. Abbiamo ascoltato dei racconti, letto dei testi antichi, partecipato a dei rituali inventati da esseri umani. Abbiamo creduto a loro. In poche parole: il credente medio non ha fede in Dio in quanto tale bensì in una tradizione umana che parla di Dio.

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Breve storia di Dio

Dalla Natura fino all’astrazione totale.


Dio muta, cambia, evolve. Ovviamente non Dio, bensì il concetto di Dio. Dario ripercorre la sua storia e osserva un Dio che passa dalla Natura all’umanità alla trascendenza, diventando sempre più impalpabile, rarefatto, indefinibile. E alla fine scompare.


Dio non è nato onnipotente, onnisciente e imperscrutibile. Non è sempre stato un’entità fuori dallo spazio e dal tempo, perfetta e assoluta. È stato prima bestia, poi uomo, poi idea. Un concetto che si è adattato ai bisogni delle civiltà, cambiando pelle per sopravvivere alle epoche.

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